Capanna Margherita

 

Agosto 1998. Il classico "alpinista della domenica" parte da Milano e sale ai 4559 metri della Capanna Margherita, sul Monte Rosa. Ecco come, via e-mail, racconta l’impresa ad un’amica .

 

Lo scorso week-end abbiamo portato a termine la "grandiosa" impresa di salire fino alla Capanna Margherita, senza troppi problemi.

Per me era la seconda volta. Per due dei cinque componenti la spedizione non e' stata nemmeno la prima. Infatti solo in tre siamo riusciti a toccare i 4559 metri della cima.

Siamo partiti sabato pomeriggio, verso l'una. Eravamo io, mio padre e tre miei amici (Davide, Paolo e Giacomo).
La strada si e' rivelata piu' lunga di quanto mi ricordassi e siamo infatti giunti ad Alagna soltanto alle tre. L'ultima corsa della funivia e' alle quattro. Noi dovevamo ancora mangiare e noleggiare parte dell'equipaggiamento (due paia di ramponi e quattro piccozze).
Siamo riusciti a noleggiare la roba ma non a mangiare qualcosa di piu' di una pizzetta presa di corsa in un bar. Questo purtroppo e' stato un errore che ha condizionato le condizioni fisiche di tutti, chi piu' chi meno.
I tre tronconi di funivia portano dai 1000 metri di Alagna ai 3200 metri di Punta Indren. Di li' 400 metri di dislivello per portarsi ai 3600 metri del Rifugio Gnifetti.

Impieghiamo due ore per fare un percorso, su misto ghiaccio-roccia, che un alpinista ben allenato farebbe in un'ora e mezzo. Tutto sommato siamo abbastanza soddisfatti del ritmo.
Io, esattamente come la volta scorsa, faccio una fatica micidiale per salire. I muscoli diventano in breve legnosissimi e il fiato fatica a compensare l'effetto della quota. Ho fatto di tutto per ridurre il peso dello zaino, ma alla fine supera comunque i 12 chili, soprattutto per via dei 40 metri di corda che ci serviranno il giorno dopo per affrontare il ghiacciaio del Lys.
La difficolta' maggiore e' percorrere gli ultimi cento metri di nevaio che mi separano dal rifugio. Essendo pomeriggio inoltrato la temperatura e' ormai sufficientemente alta per rendere una poltiglia la neve sotto i piedi. Nonostante sfoggi dei nuovissimi scarponi adatti alle scalate piu' impegnative (e costati quasi 300mila lire!), non posso fare a meno di bagnarmi i piedi sprofondando nel picio-pacio fin sotto il ginocchio.
Quando arrivo, distrutto, al rifugio, mio padre e' gia' li' da circa mezz'ora e i miei compagni hanno gia' cominciato ad asciugarsi il sudore.

Il rifugio e' in una posizione strepitosa. Dal lato dell'ingresso si dominano le montagne a sud del Rosa, giu' fino alla pianura padana ricoperta da uno spesso strato di foschia. L'altro lato si affaccia invece sulla parte terminale del ghiacciaio del Lys: uno spettacolo impressionante e grandioso di profondi crepacci e colossali piramidi di ghiaccio.
Stare in rifugio e' una cosa che costa moltissimo, sia fisicamente che economicamente. Se non sei socio CAI devi spendere la bellezza di 90mila lire per avere una modesta cena, una sorta di loculo nel quale dormire e una nutriente ma non abbondante colazione.
La quota si fa sentire ogni volta che si fanno le scale per salire al piano superiore. Poi, essendo agosto, i locali sono sovraffollati, tanto che non troviamo altro posto per dormire che nel "camerone", cioe' una stanza con due enormi piani di legno su cui sono ammassate decine di materassi.

Naturalmente si dorme fianco a fianco con dei perfetti sconosciuti. Raramente ti capita di avere di fianco la ragazza carina che nel sonno ti si avvinghia addosso! Non perche' le ragazze siano poche a 3600 metri, quanto piuttosto perche' sono sempre accompagnate da alpinisti inesorabilmente piu' robusti e prestanti di te. In fondo, vista la quota, pensi che tanto ti mancherebbe il fiato anche solo per chiederle come si chiama...
Cosi' ti devi accontentare di dormire vicino a quello che russa, a quello che parla nel sonno o a quello che sta male per un'indigestione. E quest'ultimo e' proprio Paolo, uno della nostra cordata. Gia' venerdi' sera aveva mal digerito la mozzarella "sospetta" con cui aveva cenato. La salsiccia con la polenta offerta dal rifugio non contribuisce certo a migliorare la situazione.
E cosi' il poveretto passa la notte in bianco, turbando involontariamente anche il nostro sonno con lamenti e continui rivolgimenti nel letto.

Si va a letto alle 22 in punto. Alle 24 siamo gia' tutti svegli per assistere il malato. Il resto delle ore non passa piu'. Fa un caldo insopportabile. Lo spazio e' pochissimo. Si fa gia' fatica a respirare per via dell'altitudine, figurati quando poi la percentuale di anidride carbonica nell'aria diventa maggiore di quella dell'ossigeno.
Cosi' prendo a contare le ore. Fino alle tre. Poi mi addormento di un sonno molto agitato e leggero. Leggero come l'aria che si respira oltre i 3000 metri.
Peccato che alle quattro ci si debba gia' alzare!
Senza che nessuno si fosse messo d'accordo con gli altri, decine di sveglie suonano alla stessa ora. Io ero stato piu' magnanimo e avevo puntato quella della mia cordata per le 4.15. Ma ormai siamo svegli. Tanto vale alzarsi. Le facce sono imbruttite dalla notte pressoche' insonne. Se non ci fosse l'acqua gelida del rifugio a svegliarci non riusciremmo nemmeno a infilare un moschettone in un'asola.

Paolo da forfait. L'indigestione non gli permette certo di essere nelle condizioni necessarie per affrontare i 900 metri di dislivello in salita che ci attendono.
Gli altri mangiano con gusto, ma in raccolto silenzio.

Alle 5 siamo fuori.
C'e' ancora buio. Piu' di quanto mi immaginassi. Per fortuna che ho portato una pila. Mi potra' servire come capo cordata, ma gli altri che mi vengono dietro cosa vedono?
Il tempo di srotolare la corda e di assicurarci ad essa che l'alba spunta improvvisa.

Si parte. Il primo tratto e' di una pendenza micidiale, da tagliar le gambe. La volta scorsa non era cosi', ma il percorso e' un po' cambiato perche' i crepacci si sono allargati ed e' necessario aggirarli sulla destra. Riusciamo a fare passi moto corti, 30 cm al massimo. Il fiato e' affannoso e irregolare. Le pulsazioni sono a mille. Non abbiamo nemmeno il tempo per pensare che fa un freddo ladro.
Ce ne accorgeremo piu' in la', in cima al colle del Lys, quando ci fermiamo per rifiatare.

Mentre nel primo tratto ero stato proprio io a imporre ai miei compagni una sosta ogni quattro/cinque minuti, nell'ultimo tratto verso la cima del colle del Lys (4200 metri) riesco a prendere un buon ritmo e a sincronizzare le pulsazioni con il respiro. Cosi' riesco a stare sulle 120/130 pulsazioni al minuto. Tieni conto che a riposo, a 3600 metri, ne avevo almeno 85. Pantani a riposo ne ha 49!
Anche nell'ultimo tratto della salita al colle del Lys non riusciamo a ridurre le soste: ogni due, tre minuti sento la corda entrare in tensione. Segno inequivocabile che il resto della cordata si e' fermato.

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Il Lyskamm

Il terzo di cordata, cioe' mio padre, ha qualche difficolta'. Trovo la cosa assolutamente normale. Ma quando vedo che le difficolta' continuano dopo lo scollinamento, in discesa, allora capisco che c'e' qualcosa che non va. Lo capisce anche lui e prima della rampa finale che porta alla Capanna Margherita, rinuncia all'impresa.
Non presenta nessuno dei segni dell'High Altitude Edema (tosse, mal di testa, nausea), ma e' probabilmente in preda ad una crisi zuccherina, dovuta sicuramente anche al vento gelido che spazza con rabbia la cima del colle del Lys. Decidiamo che e' meglio per tutti se si sgancia e ritorna giu' da solo, mentre noi tre "superstiti" continuiamo la salita.

Ci si presentano due strade: una piu' corta ma piu' ripida, l'altra piu' lunga e piu' dolce. Scegliamo la prima, visto che ormai sono quasi le nove di mattina e siamo in leggero ritardo sulla tabella di marcia.
Il fisico sembra poter sopportare lo sforzo. I tempi di recupero durante le pause sono abbastanza brevi: le pulsazioni e il ritmo del respiro tornano rapidamente ai valori normali ogni qualvolta si interrompe lo sforzo.

Ma l'ultimo tratto e' molto piu' duro di quello che sembrava in un primo tempo.
Giacomo chiede di sganciarsi dalla cordata e di proseguire da solo lungo la via meno ripida. Io non ho nessuna intenzione di allungare la strada, ma costringo il mio unico compagno di cordata a una sosta ogni minuto. Ormai sono in acido lattico: i muscoli mi fanno male ad ogni passo. Non riesco a fare piu' di 15 centimetri a passo.
Stringiamo entrambi i denti. Davide, che originariamente occupava l'ultimo posto in cordata, mi passa davanti e cerca di darmi un ritmo accettabile.

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L'ultimo tratto, sullo sfondo il colle del Lys

Alle 10.20 siamo in cima. Venti minuti dopo arriva anche Giacomo.

La soddisfazione e' grandissima, il panorama e' assolutamente superbo.

Il Cervino sembra una piccola montagna. Il resto dell'arco alpino e' ridotto a una serie di collinette. Solo il Monte Bianco mostra una possenza degna del posto in cui siamo noi.
Cerchiamo di mangiare qualcosa. Io sono in preda a una crisi di freddo. Il vento si e' placato e il sole e' ormai alto e ustionante. Nonostante cio' batto i denti e tremo.
Le cose migliorano dopo essermi sforzato di mangiare controvoglia un panino, una mela e una barretta di Enervit.
C'e' chi sta peggio: l'elicottero del soccorso alpino viene a prendere un alpinista francese immobilizzato da non so quale sintomo.

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La Capanna Margherita

Verso mezzogiorno viene l'ora di scendere.

Decidiamo coraggiosamente di non legarci in cordata. E' una decisione che non condivido fino in fondo: troppa e' la stanchezza e troppi sono i grandi nomi dell'alpinismo che hanno lasciato la pelle sulla via del ritorno. Pero' ammetto che dobbiamo viaggiare spediti per non perdere l'ultima corsa della funivia.
Miracolosamente, in due ore siamo gia' al rifugio.
Il resto del gruppo ci accoglie incredulo. Siamo assolutamente a pezzi, ma consapevoli che se non vogliamo rischiare di tornare fino ad Alagna a piedi, dobbiamo muoverci.

Mio padre, non ancora del tutto ripresosi, parte per primo. Un quarto d'ora dopo partiamo anche noi. Alle tre e mezza siamo alla stazione delle funivia.
Tiro un gran bel respiro di sollievo, visto che la volta scorsa avevamo perso l'ultima funivia e avevamo dovuto dormire all'addiaccio nel bar della stazione, avvertendo via radio le famiglie del nostro ritardo. L'altra volta era calata una nebbia paurosa. Bianco sopra, bianco sotto, bianco tutt'intorno: avevamo dovuto muoverci con estrema cautela. Questa volta, invece, nemmeno una nuvola dalla sera al mattino.

A Milano ci accolgono 35 gradi e un'atmosfera insopportabilmente umida e appiccicosa. Abbiamo il tempo di fare una doccia, di cenare e poi tutti a Palazzo. La cameretta ha il ventilatore appeso al soffitto, ma il caldo e' comunque insopportabile.

E pensare che dodici ore prima eravamo prossimo allo zero a 4500 metri di quota!

 

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