CENNI STORICI 
a cura di Cristina Norante
Campomarino, anche nei tempi precedenti alla venuta dagli Albanesi, era luogo ben guarnito e popolato. Dell’antico castello feudale resta solo la parte centrale e, anche se l’insieme è stato trasformato in un moderno palazzo, di vecchio restano le ciclopiche mura. Le frequenti incursioni nemiche, le malattie, le pestilenze e i terremoti, in particolare quello del 5 dicembre 1456, distrussero l’abitato che rimase deserto e venne ripopolato dagli albanesi alcuni anni dopo. 
Gli Albanesi vennero nell’Italia meridionale in varie riprese, chiamati dai Re Alfonso I e Ferdinando I . Il primo contingente fu guidato da Demetrio Reres che vi si stabilì con i suoi seguaci ma aiuti più validi diedero le truppe del celebre condottiero Giorgio Kastriota Skanderberg al Re aragonese nella lotta contro gli Angioini, pretendenti al trono e contro i baroni. Il Kastriota, in ricompensa, ebbe i feudi di Trani, S. Giovanni Rotondo e Monte Garganico. Il feudo di Campomarino venne dal Re Alfonso concesso all’albanese Demetrio Mega che vi si stabilì con i suoi seguaci ridando vita al distrutto borgo (1468-1480) .  Essendo però nel 1480 caduta Otranto in mano ai Turchi, il Mega, nel timore che un’incursione si operasse anche a Campomarino, fuggì senza farsi più vivo. Il Re Ferdinando II  concesse il feudo di Campomarino al Duca di Termoli Andrea di Capua, il quale , per non tenere incolto e infruttuoso l’ampio territorio che i pochi albanesi rimasti non bastavano a coltivare, invitò altri albanesi e schiavoni a prenderne possesso perché senza stabile e fissa dimora. Questi primi insediamenti albanesi diventarono il canale attraverso i quali si sarebbe avviato un notevole passaggio immigratorio che ebbe il suo culmine nel 1466 quando a Lissa morì, combattendo contro i musulmani, il valoroso Giorgio Kastriota Skanderberg. Sorsero così nel  Molise le colonie albanesi di Aurora (Ururi), Campomarino, Portocandora (Portocannone), Montecilfone. Si persero usi e costumi e anche il rito religioso da greco divenne latino  e ciò sotto l’Arciprete albanese Don Angelo Peta  (1732). I matrimoni  con i paesi vicini aiutarono ad amalgamare e ad italianizzare i caratteri più specifici del tessuto albanese. Tenace sopravvive ancora il linguaggio arbëreshe, destinato anch’esso a scomparire per una serie di motivazioni, tra cui la crisi dell’ecosistema  culturale tradizionale e l’acculturazione di base avvenuta dopo gli anni ‘50.  

Nella storia dell’800, meritevole di ricordo per quanto triste, è che nel 1799 Campomarino fu il centro della rivolta “Sanfedista“ contro i francesi . La corte borbonica si serviva di truppe mercenarie, specialmente di quelle albanesi che, partite dai paesi del basso Molise tra cui Campomarino, si misero a capo per liberare i paesi che cospiravano contro il governo borbonico. Le squadre Sanfediste in nome della Santa Fede degenerarono dalla loro primordiale missione   macchiandosi di atroci delitti e saccheggi. Si ricorda la morte di un eroe della repubblica partenopea francese, il primo cittadino della città di Casacalenda L’Avv.  Domenico De Gennaro che nei primi mesi del 1799 è deportato a Campomarino dove viene ucciso per cospirazione contro i Borboni lungo la spiaggia della città

Nella storia del ‘ 900 la città di Campomarino ebbe un ruolo importante, durante la seconda guerra mondiale,  allorché diventò sede di numerose basi aeree Alleate, che avevano il compito di liberare il Nord-Est europeo dalle truppe germaniche. Attualmente sopravvivono poche usanze; resta però, anche se mutata, la natura fisica del luogo, seppure in parte modificata dall’opera dell’uomo. Restano le rudi bellezze del paesaggio che appagano l’occhio e rinfrancano lo spirito: dalla collina del belvedere ecco la sottostante  piana di vigneti e di orti, l’insediamento urbano di Campomarino Lido, la distesa azzurra del mare, smorzata qua e là  dalla rigogliosa pineta, e all’orizzonte, le invitanti, mitologiche isole Diomedee (Tremiti) e lo sprone  non meno mitico e suggestivo del Gargano.

Che cosa resta ancora ? Restano i pochi ruderi di Cliternia Frentana, il venerato Santuario di Madonna Grande e soprattutto un invitante desiderio di pace e un’oasi di sognante bellezza.

Un  invito all’opera dell’uomo affinché valorizzi la natura per dare al sito quel minimo di confort che la tumultuante vita moderna esige, così da potersi rilassare nella suggestiva spiaggia di Campomarino, non più “promessa” ormai, ma all’inizio del Terzio Millennio autentica realtà turistica, di vocazione non soltanto italiana ma europea.