Giovanni Verga

 (Catania 1840-1922), scrittore italiano, autore di romanzi, racconti e opere teatrali, massimo esponente del Verismo. La sua attività letteraria si può dividere in tre fasi: la narrativa storico-patriottica degli esordi; i romanzi mondani; la produzione verista. In Sicilia ebbe una formazione letteraria provinciale, come si nota leggendo i suoi tre romanzi giovanili. In particolare, I carbonari della montagna (1861) è un romanzo storico (un genere che stava ormai passando di moda) che Verga dedicò ai suoi modelli di allora, Francesco Domenico Guerrazzi e Alexandre Dumas padre.

        

Fondamentale nel suo cambiamento di interessi fu l'abbandono dell'isola: nel 1869 Verga partì per Firenze, allora capitale del Regno d'Italia. Introdotto dal poeta Francesco Dall'Ongaro nella buona società cittadina, si dedicò allo studio della vita borghese che aveva davanti agli occhi, con un particolare interesse per le figure femminili e le vicende sentimentali; sono piuttosto espliciti i titoli dei romanzi di questo secondo periodo "mondano": Una peccatrice (1866), Eva (1873), Eros (1875). Particolare successo ebbe Storia di una capinera (1871), il racconto della monacazione forzata della protagonista che, innamorata del marito della sorella, muore in preda alla disperazione.

Se il romanzo Il marito di Elena (1882) continuò lungo questa linea di ricerca espressiva, la produzione successiva a quella fiorentina prese un'altra strada. Nel 1872 Verga si era trasferito a Milano, capitale dell'editoria e città in cui frequentò gli scapigliati Arrigo Boito e Giuseppe Giacosa, soprattutto grazie all'appoggio di Salvatore Farina, uno scrittore allora molto celebre. Qui fu raggiunto dall'amico conterraneo Luigi Capuana, scrittore e critico letterario teorico del verismo.

La svolta letteraria si può datare al 1874, l'anno in cui fu pubblicata una novella intitolata Nedda, definita dall'autore un "bozzetto siciliano". L'ambiente non è più urbano ma rurale; la storia non è più ambientata al Nord ma in Sicilia; i protagonisti sono umili contadini. Anche qui protagonista della vicenda è una donna, ma la sua situazione è tragica e concreta, non astratta e sentimentale: rimane vedova e perderà il suo bambino appena nato. Da quel momento in poi la Sicilia contadina con la sua antica cultura fu al centro del lavoro dello scrittore catanese, sia nelle novelle, sia nei romanzi. I due volumi di racconti Vita dei campi (1880) e Novelle rusticane (1883) contengono alcuni dei capolavori verghiani, testi divenuti celebri come La lupa (indimenticabile la protagonista, ricordata nel titolo con il soprannome), La roba (storia di Mazzarò, un contadino diventato proprietario terriero ma rimasto vecchio e solo, ridotto alle soglie della pazzia), Rosso Malpelo (un ragazzo destinato a lavorare e a morire in miniera, ricalcando il tragico destino del padre), Cavalleria rusticana (racconto di un duello mortale scatenato dalla gelosia).

I romanzi della maturità sono due. I Malavoglia (1881) racconta la storia di una famiglia di pescatori che vive e lavora ad Aci Trezza, un piccolo paese vicino a Catania. Protagonista del romanzo è tutto il paese, fatto di personaggi uniti da una stessa cultura ma divisi da antiche rivalità; grazie a una scrittura sapiente che riproduce alcune caratteristiche del dialetto e che riesce ad adattarsi ai diversi punti di vista dei vari personaggi, il romanzo crea l'illusione che a parlare sia il mondo raccontato. L'abilità tecnica di Verga lasciò stupiti e increduli i lettori di allora, alle prese con un testo affascinante e difficile, al cui centro è il canone dell'impersonalità, una tecnica capace di dare voce ai personaggi popolari rinunciando alla mediazione di chi racconta.

Mastro don Gesualdo (1889) mette invece a fuoco la storia del protagonista che dà il titolo al romanzo. Di origini modeste, Gesualdo riesce a vincere il suo destino di miseria e diventa ricco. Il matrimonio con la nobile Bianca Trao non cancella però la sua modesta estrazione sociale: persino la figlia Isabella si vergogna del padre. Rimasto solo, Gesualdo muore nel palazzo ducale di Palermo, abbandonato dai suoi e ignorato dalla servitù che si prende gioco di lui. Anche qui l'ambientazione è siciliana (il romanzo è ambientato a Vizzini) e la lingua rispecchia in modo tecnicamente molto raffinato la realtà che fa da sfondo al romanzo.

Verga rimase amareggiato dal sostanziale insuccesso del suo lavoro e si ritirò a Catania abbandonando la scrittura. Il progettato "ciclo dei vinti", che avrebbe dovuto prevedere altri tre romanzi ambientati a un livello sociale progressivamente superiore (La duchessa di Leyra, L'onorevole Scipioni e L'uomo di lusso), restò così incompiuto. Il suo verismo ebbe una profonda influenza sul neorealismo degli scrittori e dei registi italiani del secondo dopoguerra.

Della Cavalleria rusticana lo stesso Verga elaborò una versione teatrale (rappresentata nel 1884), che fu musicata da Pietro Mascagni (1890). I Malavoglia offrirono lo spunto per il film La terra trema (1948) di Luchino Visconti, momento importante del cinema neorealista.