NOTIZIE STORICHE SULLE ORIGINI DEL PAESE

Risalire alle origini del paese di Caria è impresa senz’altro ardua ciò in quanto, maggiormente per i paesini di campagna, le notizie sono sempre poche e frammentarie. 

E' difficile, quindi, intessere la storia di un villaggio come Caria a volere incominciare dal suo inizio.  Unica fonte attendibile ed utile a questo scopo possono soltanto essere i lavori degli studiosi più attenti nonché i vari documenti parrocchiali che, quasi in tutti i paesi, possono ritrovarsi.   Caria viene menzionata nel libro "ANTICHITA' E LUOGHI DELLA CALABRIA" di Gabriele BARRIO, prima edizione del 1571 (DE ANTIQUATE ET SITU CALABRIE). Lo riprende Tommaso ACETI fra il 1714 e il 1726.   La conferma dell'esistenza di Caria già nel 1571 è riportata nella carta geografica "CALABRIA ULTERIOR" (Calabria Meridionale) dipinta da Ignazio Danti (1536-1586) si trova nella Galleria delle Carte Geografiche dei Musei Vaticani.

Carta dipinta da Ignazio Danti (1536-1586) si trova nella Galleria delle Carte Geografiche del MUSEI VATICANI (dipinta con l'estremità inferiore verso l'alto)

Caria sorge sulla piana dolcemente declive di Monte Poro Piana S. Maria; all'altezza di m. 436 s.m. Attraversato dalla provinciale Tropea - Vibo Valentia; è aperto a tutti i venti, sicché nell'estate, si rende un luogo di villeggiatura deliziosa. (Pianta di Caria)                            

Molti Tropeani  salivano a Caria nella stagione calda a ambiamento d'aria. Molte famiglie benestanti avevano a Caria casa propria per la villeggiatura, come: le famiglie Scrugli, Toraldo di Francica, Toraldo Gasperi, Giffone, Barone, Galluppi. Case ora acquistate dai naturali di Caria, meno quella di Galluppi, acquistata dal Marchese Felice Toraldo, oggi posseduta dagli eredi.

Ad oriente gli fanno corona le colline di «Cafaro» (m. 584 s.m.) a castagneto ceduo; a mezzogiorno l'altro ramo di monte Poro detto Petti di Spilinga, coi villaggi di Spilinga, Carciadi e Panaja e i fertili terreni adiacenti; a occidente è una non lontana loggia a mare, con lo sfondo delle isole Lipari col fumante Stromboli, specula naturale di Caria. A tramontana è limitato dal suo stesso territorio, dalla piana di S. Lucia e in lontananza dagli appennini col Cocuzza e Redentino.

Gode dei benefici del mare e della montagna. Pieno di luce e di sole: questo, da che sorge dall'Appennino finche tramonta, nel Tirreno, lo illumina e lo riscalda continuamente.    

N O M E

 L’etimologia del nome Caria  è dubbia in quanto diversi studiosi ne hanno dato origini varie.

 - Gabriele Barrio da Francica, annotando l'etimologia di ciascun dei 24 villaggi di Tropea, a proposito di questo casale dice: «Caria a valle dicta» ossia paese della valle; b)  Il Marafioti nelle sue: «Cronache et antichità» a pag. 95 dice che l'aria di questo casale è sottile e che era anche detto CHERIA.

Aggiungiamo ancora che altri lo dicono paese delle noci. Difatti il noce vi alligna molto bene.

Il piccolo Lexicon Vallardi vol. II dice: Caria, genere di pianta dicotiledoni, gruppo delle amantacee, famiglia delle jugandee, comprendendo alcuni alberi dell'America boreale molto affini al nostro noce.

Il noce bianco (CARJA ALBA), nato sotto il nome americano di HICKORY dà un legno assai usato per mobili. Le noci pecane, commestibili, sono i frutti della CARIA olivaeformis, o noce degli Stati Uniti, grande albero diffuso nella Louisiana.

Per taluni il nome sta significare paese della valle  (Carie a valle dicta); per altri il nome deriverebbe dal greco xarieis (che significa grazioso); per tal’altri ancora Caria deriverebbe dal greco ‘karua’ (= noce), quindi starebbe a significare " paese delle noci".

Martini «Dissertazioni sui giganti della sacra scrittura» a pag. 124, volume I dice che l'Acman anticamente si chiamava CARIATH Arbe ove vi era stato seppellito Adamo. Con ciò non si vuole dare tale importanza allo sperduto villaggio di CARIA, ma questo fatto fa pensare che il nome di Caria sia di origine antica, Fenicia o Greca in quanto nell'Asia Minore anticamente vi era una regione chiamata Caria e chi sa che durante la colonizzazione Fenicia o Ellenica un colono stabilizzandosi nei pressi di Torre Galli ove, come detto prima, vi era una grossa colonia di Italioti, non abbia dato alla contrada il nome Caria per ricordare il suo paese.

ABITANTI 

I primi abitatori di Caria è da ritenersi che vennero dal sud-est della Calabria e più prossimamente da Spilinga  (dal gr. Spelunga = grotta o spélaion-ghé = terra ricca di grotte) e qui si fossero insediati intorno 1600. Si deduce dal dialetto che parlano, specie l'j che pronunciano un po' più addolcita, alla spilingese, ed è, a partire dai Quartieri e dal Nicoterese, l'ultimo dei villaggi che pronuncia in tal modo l'j. Brattirò, Gàsponi, Drapia, Zaccanopoli, Zungri la pronunciano in maniera tutta diversa.

Il libro più antico di Caria che si trova conservato nell'archivio parrocchiale, è il «Libro dei Morti». Il rev. Frate Antonio da Caria lo compilò per primo nel 1776, a sua devozione e a suffragio della anime del Purgatorio.

Ogni domenica, nella messa parrocchiale, dopo il Vangelo, il Parroco leggeva i nomi dei defunti della settimana, allo scopo di ricordarli e suffragarli. La prima defunta registrata in tale libro è Caterina Pugliese morta il 9 maggio 1626; la seconda Isabella Naso morta il 15‑3‑1660. In seguito nel 1677 ne morirono due; nel 1678 uno; nel 1679 tre; nel 1680 due; nel 1681 tre; nel 1682 cinque; nel 1683 otto; nel 1684 nove. Ciò dimostra che il casale andava sempre più popolandosi. Dove venivano attinti tali nomi non è detto.

L'arciprete Gregorio Mamone, nel Libro Parrocchiale incominciato nel 1816 annotava:

« Non abbiamo altra memoria dei libri parrocchiali che del 1677, che in quel tempo fu Parroco Don Girolamo Cullari, che morì il 4 marzo 1715, dunque visse parroco anni 38 ».

Ancora più ricco e chiaro è il Registro Parrocchiale dell'Arciprete Gregorio Vallone, cominciato il 23 ottobre 1752. Esso contiene: il Libro dei Battezzati, dei Morti, dei Matrimoni, dei Confermati e lo Stato delle Anime.

L'anno 1686 morirono nove persone. Nel 1826, quando la popolazione non raggiungeva neppure i 600 abitanti, ne morirono 18: da ciò si arguisce che la popolazione del 1677 doveva essere di circa 300. L'illazione è del sagace Arc. Gregorio Mamone, fatta in fine del Libro Parrocchiale dell'anno 1816.

Da notare che la percentuale dei morti, in quei tempi, era  molto elevata e si spiega dallo scarso nutrimento, dall'ignoranza dell'igiene, carenza di medici, medicine e di ogni eventuale pronto soccorso. Nel 1834 troviamo annotato dall'Arc. Mamone che la popolazione era: Drapia (paese) 1.012; Caria 569; Brattirò 470; Gàsponi 360.

Sei anni dopo (1840) nella visita pastorale fatta da Monsignore Angelo Franchini, Caria era salito a 600 abitanti.

Lo stato di anime redatto dall'Arciprete Francesco Naso nel 1875 sono riportati 523 abitanti, ma è da ritenersi incompleto perché quel parroco era quasi sempre ammalato.

Anche lo stato di anime iniziato dall'Arc. Antonio Pugliese nel 1912 riporta soltanto 685, ma esso pure è da ritenersi inesatto. Nel 1917 il censimento fatto dal Comune riportava 917 abitanti. Rifatto dall'Arc. Antonio Mazzitelli il 1931, ammontava a 1.050.

Il lento ascendere degli abitanti è dovuto alla sviluppatissima emigrazione come si dirà avanti.

Gli abitanti, robusti, sani, alti di statura, di color bruno, sono quasi tutti dediti alla terra. Laboriosi, parchi, economici spesso fino all'eccesso. Non impulsivi, ma tenaci nell'odio, se offesi; amanti severi dell'onore.

Pochissimo sviluppato, nel passato, l'artigianato, l'industria, il commercio. Muratori, falegnami, calzolai, fabbri, ecc. ecc. venivano chiamati da Tropea e da Drapia. Rivenditorie a dettaglio erano esercitate in maggioranza da drapiesi, spesso non senza usura.

Il commercio del cariese consisteva solo nel portare grano dei padroni alla Piana: Radicena, Iatrinopoli (ora Taurianova), Oppido, spesso turbato da latronerie, specie presso il bosco di Rosarno. Portavano pure carbone da Serra S. Bruno; lupini, avena, paglia, ecc. dal Poro a Tropea, a Nicotera, a Monteleone (ora Vibo Valentia).

Attaccatissimi alla terra che coltivavano. Capitava alla stessa famiglia di tenere per centinaia di anni la stessa terra che poi, nel periodo florido del denaro arrivato dall'America, e dei possibili risparmi, per lo più facevano propria, profondendo senza conto il danaro ai padroni ( fino a diecimila lire la tomolata, quando il danaro era oro).

Puntuali e rispettosi verso i loro padroni. Semplici di una semplicità che spesso confina con la rozzezza. Industriosi, coltivano fino all'ultimo angolo di terra anche scosceso, anche roccioso, anche lontano chilometri dall'abitato e, non contenti del proprio territorio, si estendono nei territori di Spilinga, Rombiolo, Zungri.

Ma lavorano con strumenti adamitici, con scarsa arte, tutto e solo empirismo, e niente concimazione, sicché scarsissimo e insufficiente è il raccolto; patiscono la fame. Pochissimo stabbio, perché pochissime erano le bestie che allevavano; del concime chimico ignoravano l'esistenza. Scarsissima la produzione delle patate, dei fagioli, degli ortaggi e di qualità scadenti. Sicché molto lavoro e scarso raccolto.

La Nazionale Napoli-Reggio, costruita dal Re Borbone dal 1830 in poi, diede luogo alla provinciale a cominciare dalla traversa di Mileto - Tropea, che fu compiuta l'anno 1843. Essa illustrò Caria, favorì il commercio con Monteleone, Pizzo, Serra, Radicena, Oppido Mamertina. Di più, attraversando il Poro e il territorio del villaggio, ha favorito l'agricoltura e gli scambi.