PACRIM 2000

Vedo già alcune vele dalla Interstate Highway 15 che dalla California porta al Nevada. Sono solo triangoli chiari perché ruote e scafo sono confusi nella rifrazione. Di fronte a me, dal deserto punteggiato di bassi cespugli, appoggiato a colline aspre, s’innalza il complesso dove alloggeremo. E’ la prima possibilità che hai di giocare a tutto quello che vuoi, slot machine, poker, black jack, roulette, se provieni dalla California. C’è il confine e appena sei entrato in Nevada, dove il gioco d’azzardo è legale, ci sono tre alberghi giganteschi con il loro casinò. Noi siamo in quello più economico. Las Vegas, come ogni deserto che si rispetti ci sono le balise, le aste di ferro che indicano la rotta da seguire. Qui, dove non c’è pericolo di smarrirsi, aiutano solo la circolazione. In ogni caso un ambiente completamente estraneo alla nostra abitudine come il deserto invita alla prudenza. Seguo le tracce dei pneumatici fino al cartello di ridurre la velocità: NO DUST, niente polvere. C’è il campo. Appaiono gli alberi estesi e profilati, strallati, dei carri più sofisticati, quelli più semplici, con la vela montata, sono in quiete, rovesciati perché non se ne partano da soli. Osservo le architetture, gustando ogni particolare. Al motorhome della Direzione Gara busso, ma non c’è nessuno.

Non c’è il presidente della North American Land Sailing Association, Kent Hatch, col quale mi sono tenuto in contatto nei mesi di vigilia. Non ho, dunque, ancora la certezza che ci sia un carro per me. Continuo l’esplorazione. Tra i segnavento, a forma di maiale, di carota, le bandiere a stelle e strisce, gli anemometri, altri carri e, in fondo al campo, l’Ironduck, che detiene il record assoluto di velocità. Le foto che ho scaricato dal sito ufficiale della Nalsa me lo davano più brillante, ma la vernice opaca e un po’ rovinata, il largo nastro adesivo che chiude le connessure non levano nulla al fascino di questo mostro aerodinamico che con la sua ala ha raggiunto i 187 kmh.
Il vento non è costante. Sale e poi muore improvvisamente, lasciandoti immobile a giocare, passando le dita sulla superficie dura dell’ivanpah Dry Lake. Torna a soffiare e in quella decina di minuti si scatena il finimondo. Sto in tensione, più che a quello che faccio, a come controllo il Manta, sto attento a quello che succede intorno a me. Come fai a stare tranquillo, ad avere un riferimento preciso, a sapere tra quanti secondi una bestia di classe II, largo 6-7 metri, che fila a 100 kmh, arriverà dalle tue parti? All’inizio mi tengo defilato per non creare problemi. Poi cominci a capire il gioco, lo spazio di cui hai bisogno tu e quello del quale hanno bisogno i grandi per manovrare. I più insidiosi si rivelano i 5.0. Più o meno delle stesse dimensioni del Manta, raggiungono velocità ben superiori e, soprattutto, sono tanti, tanti, tanti. Volti la testa per controllare se puoi virare e ce n’è sempre uno, col pilota affogato dentro un guscio sintetico e le ruote pazze, come le chiamano, fortemente inclinate.
Lunedì, ore 9.00. Briefing. Benvenuto e condizioni meteo previste per la giornata. Poi si passa alle regole di regata. Ecco il punto. Concluso il briefing nascono tanti gruppetti dove in tutte le maniere possibili viene spiegato cosa succederà in gara. Ci sono dita che disegnano nell’aria e bastoncini che tracciano sul deserto: linea di partenza, boe, quella corta con un aggeggio che si chiama windflasher, uno specchietto che ruota col vento e che riflettendo indica la posizione, o almeno dovrebbe, la lunga con un segnavento, il traguardo. La griglia di partenza è a sorteggio, una metafora del destino, tutto è segnato. Alla prima corsa dovrò cercare la posizione n.2. La troverò grazie a una targa metallica legata alla corda che rappresenta la linea dello start. Dal momento che il vento gira spesso, le corde con le targhette delle posizioni di partenza sono due. Se il vento proviene da sud, allora si utilizza altra corda e bisogna aggiungere 30 alla posizione sorteggiata. Non era difficile nemmeno capire da che parte tornare al campo senza essere investito dagli altri carri col vento proveniente da diverse direzioni, ma uno ci pensa e se certe cose sono al di fuori della normalità si impiega un po’ a raggiungere un (moderato) senso di sicurezza. Poi il resto verrà fuori da sé. Lunedì non riesco a correre. Il vento si alza tardi e i Manta Twin sono l’ultima classe in programma. Martedì è il giorno buono. Il vento è quello giusto per un debutto. Sono seduto, allineato, quando Dave mi arriva alle spalle e, probabilmente per la tensione, riesco a comprendere una frase dall’inizio alla fine senza farmela ripetere. Dice: "Do you feel the adrenaline pumping?". Sì. Alla bandiera verde che si abbassa parto con prudenza per vedere che fanno gli altri. Vedo le raffiche alzare le ruote dei carri davanti a me e aspetto il mio turno nel corridoio di vento, cercando di rimanere su due ruote più a lungo possibile. Si va più veloci in equilibrio su due ruote? Non lo so, ma sicuramente ci si diverte di più. E questa è veramente una delle cose per le quali vale la pena di vivere. Mercoledì le condizioni sono simili, è impossibile non prenderci gusto. Parto bene, ma quando gli avversari cominciano a virare, mi tengo alla larga e perdo metri. Ruote alzate, duelli, va bene così. Giovedì, beh, l’aveva detto la televisione. Ci hanno azzeccato e il vento si è alzato. Oggi prudenza. E’ un disastro.
Non sono concentrato, non sono in sintonia col Manta, nelle manovre mi sposto goffamente. Le regate, con queste condizioni, si succedono velocemente. Nella prima mi perdo, arrivo in prossimità di alcuni cespugli, ma riprendo e concludo. La seconda va peggio. Mi avvio più concentrato, intenzionato ad eseguire più virate che in precedenza per avvicinare la prima boa, ma le mani perdono la scotta e quando provo a infilarla nel bozzello mi sembra che ci sia qualcosa che non va.Mi dà una mano Cha Cha, un tipo di Copenaghen che affronta la cosa con spirito invidiabile, veramente. Ora sta gareggiando con un altra persona sul seggiolino, fin dalla prima regata con una mano teneva la scotta e con l’altra scattava foto, è un vulcano positivo, un autentico sportsman. In ogni caso mi ritiro, non ho alcuna intenzione di fare danni. Venerdì è impossibile gareggiare. Il vento è aumentato e, soprattutto, alza molta polvere. Sul lago sono in pochi, e tra questi c’è l’Ironduck. Sono state montate le fotocellule per registrare la velocità. L’Ironduck è in piena velocità quando salta qualcosa di bianco: quasi un terzo di ala si è spaccata. Fine. Rimane la premiazione, la consegna dei premi. Siamo al tavolo con dei piloti che provengono dalla costa atlantica degli Stati Uniti. Generalmente navigano a vela sul ghiaccio. Differente da un deserto, no? "Beh, sì, soprattutto perché il ghiaccio può rompersi e finisci nel lago" E capita spesso? "a me è capitato, a lui, e poi anche a lui." Siamo mortificati per essere gli unici del tavolo a non essere caduti nel lago ghiacciato.
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