MASSIMO CARTA

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CAPITOLO 4

FIAMME NEL GOLFO, COME IN GUERRA
GENOVA: NELLA RADA DI MULTEDO, UN’ESPLOSIONE HA SPEZZATO IN DUE LA PETROLIERA
<<HAVEN>>, IN CIELO SI LEVANO COLONNE DI FUMO, SEMBRA IL KUWAIT. 

<< La prima esplosione, un boato sordo, si è sentita dalla costa alle 12.10, la seconda – molto più violenta –
un quarto d’ora più tardi. Impegnata nel trasferimento a Livorno dei propri mezzi di soccorso, Genova non voleva
credere alla notizia del nuovo inferno in mare. Molti hanno pensato che si stesse facendo confusione con
l’atroce vicenda del traghetto; invece le due tragedie si erano davvero accavallate.
Due morti, tre dispersi, trenta feriti, alcuni dei quali quasi bruciati vivi; e, soprattutto una marea di greggio
che minaccia Liguria e Costa Azzurra. La petroliera cipriota “ Haven ” è stata quasi spaccata in due,
irrimediabilmente ferita dal tremendo scoppio nel suo ventre. Ci vorranno molte ore prima di poter tracciare un
bilancio, ma è stato chiaro fin da subito il rischio di un immane disastro ambientale. Il più terribile che si sia mai
verificato nel Mediterraneo [1]>>. 
<< A poco più di cento miglia dalla sciagura di Livorno e a una sola mezza giornata di distanza, un nuovo
incidente in mare ha fatto ieri vittime e minaccia una catastrofe ambientale. E’ accaduto alle 12.10 a bordo della
petroliera cipriota “Haven”, dalla costa si è udito un boato, mentre un pennacchio di fuoco si materializzava
all’orizzonte.
Sulle cause del disastro non c’è ancora certezza, ma dovrebbe trattarsi della rottura di una pompa con cui il
greggio tenuto nelle enormi taniche, veniva convogliato nel serbatoio centrale. La riviera teme il disastro
ecologico [2]>>. 
<< Le correnti che spingono verso il largo e una tramontana leggera portano lontano un’altra petroliera della
morte: un bestione di ferro che alle 12.30 è stato scosso e sventrato da una esplosione. Sciagura molto meno
grave di quella di Livorno, ma anche qui – 14 ore dopo – ci sono stati morti e feriti tra gli uomini
dell’equipaggio. Due sole salme sono state ripescate, 3 i dispersi, 30 i feriti, quasi tutti ustionati, 5 in modo
preoccupante. 
Sono scivolate in mare oltre 80mila tonnellate di petrolio delle 143mila che la nave conteneva: un problema
ecologico al di là dell’alto prezzo pagato in vite umane. Stamane si capirà dove si dirige la colossale chiazza di
greggio e quanti danni può provocare [3]>>.
<< Nella notte andava ancora , spinta dalla tramontana, dirigendosi al largo verso Savona, la petroliera Haven,
battente bandiera cipriota, una stazza di 109mila tonnellate, è esplosa verso le 12.30 a quattro miglia e mezzo dal
porto di Multedo, lasciando li due morti, poi ripescati, e tre dispersi.
Alti 30 feriti, di cui 4 gravi, tirati su dai soccorritori tutti impantanati di greggio come il cormorano della
guerra del Golfo, sono stati ricoverati negli ospedali di Genova. Ora si teme il disastro ecologico, e oggi arriva
il ministro Ruffolo per vedere cosa è successo. Gli astri devono essere in cattiva congiuntura per le petroliere in
questi giorni, perché questo nuovo disastro è accaduto appena 14 ore dopo la ben più grave sciagura di Livorno
[4]>>.
La superpetroliera Haven, imbarcazione appartenente al gruppo greco Troodos, il più importante su scala
mondiale, era stata varata nel 1973 dalla Amoco e nel 1988 fu ceduta all’armatore Lucas Loannou. Durante la
guerra nel Golfo Persico tra Iran e Iraq, la petroliera venne colpita da un missile, le riparazioni vennero
realizzate a Singapore e, preventivate intorno ai 75milioni di dollari, ne costarono invece solamente cinque. Era
questo, dell’Aprile 1991, con destinazione Genova, il primo viaggio dopo la sosta nel cantiere. La Haven aveva
caricato petrolio a Kareg Island, in Iran, e ne aveva consegnato il 7 Aprile ottantamila tonnellate alla Snam
Genovese per conto della Tamoil. In questi giorni era rimasta all’attracco al largo di Voltri al “punto M” (zona
destinata alle petroliere in attesa di svolgere delle operazioni), una sorta di “parcheggio” in attesa della nuova
destinazione ma, davanti al porto petroli di Genova Multedo, durante un’operazione di travaso di greggio dalla
stiva uno(a prua), alla stiva tre(a centro nave), è stata divorata dal fuoco.Tra i 36 membri dell’equipaggio si
contarono cinque morti e 30 feriti, la nave, una sorta di bestione galleggiante avvolta dalle fiamme, si avvia al
largo verso Savona:
<< A bordo c’erano ancora 144 mila tonnellate di greggio iraniano, del tipo definito “ad alto rischio”: un
terzo del quantitativo record disperso in Alaska nel 1989 dalla petroliera “Exxon Valdez”.
Per parecchie ore il perché dell’incendio è stato un giallo; poi si sono rivelate esatte le prime ipotesi
avanzate dalla capitaneria di porto. Dopo aver scaricato alla Snam 80 mila tonnellate di greggio martedì scorso,
la “Haven” era in rada a quattro miglia da Multedo, il porto petroli di Genova tra Sestri Ponente e Pegli, a due
passi dall’aereo porto Cristoforo Colombo. Gli uomini a bordo – otto greci ( il comandante Petros
Grogorakakis, gli ufficiali e i sottufficiali di bordo), due indiani, due cingalesi e ventitré filippini (il solito
equipaggio di disperati) – si erano rimessi in attività solo ieri mattina dopo un paio di giornate di riposo.
L’armatore greco si era finalmente messo in contatto con la nave alle 10.30 per comunicare che, la parte
restante del carico, aveva finalmente trovato un acquirente in Sicilia, ad Augusta. Erano così incominciate le
indispensabili operazioni per il riequilibramento del carico e qualcosa non ha funzionato. 
Le prime scintille, stando a quanto ha poi raccontato il comandante di macchina Harilaos Papagennis, 40
anni, si sarebbero sviluppate da una delle pompe. Il comandante della nave, l’ateniese Petros Grigorakakis, 44
anni, ha fatto in tempo a lanciare l’SOS. Dopo un primo attimo di smarrimento, la capitaneria di porto ha
innescato il dispositivo di soccorso.
In pochi minuti, si sono mosse alcune motovedette normalmente ormeggiate in stato di allerta permanente
nella zona dell’aeroporto: “Appena ci siamo avvicinati – hanno raccontato gli uomini a bordo – abbiamo visto
alte colonne di fumo nero; poi abbiamo scorto alcune fiamme a prua, ma la nave era ancora integra, tutta intera.
Solo quando siamo arrivati a una quindicina di metri dallo scafo c’è stata la seconda, fortissima esplosione. I
marinai hanno cominciato a buttarsi in mare e ne abbiamo recuperati diciotto”.
Poco dopo un’altra imbarcazione ha raccolto il primo morto, di nazionalità greca, la seconda vittima – di cui
non è stata ancora accertata la nazionalità – sarebbe stata recuperata solo nel tardo pomeriggio.
Le operazioni di salvataggio sono poi proseguite per diverse ore, e i superstiti, quattro dei quali in condizioni
gravissime, sono stati smistati tra i vari ospedali della zona. All’appello finale mancavano lo stesso comandante
della nave e due marittimi filippini, per i quali non c’è più praticamente speranza. Nel frattempo il fumo ha
sviluppato smisurate nubi di fumo grigio-nerastre; uno spettacolo che ha richiamato alla mente dei soccorritori
le immagini dei pozzi di petrolio kuwaitiani in fiamme. Il ministro Carlo Vizzini, atterrato a Genova pochi
minuti prima delle 17 proveniente da Livorno, si è mostrato soprattutto preoccupato dal pericolo di disastro
ambientale : “In Toscana è stata una terribile tragedia per le vite umane, qua il rischio mi pare sia soprattutto
ecologico” [5]>>. 
In serata attorno alla nave “Haven”, lunga 150 metri, 109.700 tonnellate di stazza, capace di contenere
250.000 tonnellate di petrolio una vera e propria montagna di ferro resa invisibile dal denso fumo che la
circondava, c’erano alcune decine di imbarcazioni ma, solo il vento è riuscito fortunatamente ad evitare che il
mare di greggio fuoriuscito potesse raggiungere la costa.
<< Ricoverati negli ospedali di Sanpierdarena, Voltri e al San Martino, i marittimi feriti sono stati al sicuro
fin dal primo pomeriggio; ora i medici nutrono preoccupazioni soltanto per cinque di loro, ustionati gravemente.
Fotis Polides, presidente della società Medov, con agenzia a Genova, alla quale la petroliera cipriota fa capo,
sostiene che la sciagura è inspiegabile: “ E’ una nave costruita di recente, moderna, dotata di notevoli sistemi di
sicurezza. Non ho idea del guaio tecnico che può essere stato all’origine della tragedia ”.
L’ipotesi più verosimile è che in alcuni serbatoi semivuoti della petroliera si sia formata una dirompente
pressione di gas e vapori. Alcuni portelloni usurati o il cattivo funzionamento delle valvole di sfiato avrebbe
potuto provocare la prima violenta uscita di gas, uno scardinamento del metallo e la relativa produzione di
scintille avrebbero quindi dato esca alle fiamme e allo scoppio.
Questa notte, andando alla deriva, la Haven ha già percorso lentamente una decina di miglia rispetto al punto
dove si trovava. Si allontana dalla costa e viaggia verso Ponente: da Voltri appare all’orizzonte come una grossa
palla di fuoco [6]>>. 
<< La macchia di petrolio si estende già per qualche chilometro. Nera, con riflessi granata, si allarga di ora in
ora nonostante la difficile e pericolosa manovra delle pilotine, molto vicine all’interno del rogo, che tentano di
arginare l’inquinamento.
Le dimensioni del disastro non sono ancora quantificate ma c’è già chi parla del più grave dissesto ecologico
del Mediterraneo. Le colonne di fumo, sempre più larghe e alte, indicano che il greggio continua a bruciare. La
prua e la poppa della Haven emergono dall’acqua, anche se pare proprio che tutta la parte anteriore sia stata
ridotta a lamiere contorte, polverizzate dal calore dell’incendio.
A tarda sera si conosce soltanto una cifra sicura: delle 144mila tonnellate di greggio stivate nelle cisterne al
momento del disastro, ve ne sarebbero ancora 80 mila, destinate più a trasformarsi in fumo che a finire in mare.
Ed è questa l’unica speranza suggerita dalle autorità, nel momento in cui si dilatano i confini della macchia.
Dall’Adriatico sono in arrivo le famose “Panne”, barriere utilizzate contro la mucillagine : assieme a tonnellate
di solventi e ai ceppi batterici marini “mangiapetrolio” potrebbero bloccare l’estensione della sciagura.
Nel frattempo si guarda al cielo: più aumenta il fumo e si estende la nuvola nera, meno greggio prende la via
del mare. Modesta consolazione, per la popolazione che vive momenti drammatici. Per ora il vento di
tramontana non porta minacce alla città e le previsioni meteorologiche dicono che questa situazione dovrebbe
rimanere costante.
Il vero problema diventa così la macchia. Secondo Greenpeace, in ogni disastro simile a quello genovese
brucia una quantità di petrolio che varia dal 20 al 25 per cento, il che vuol dire che dall’intero carico della Haven
dovrebbero bruciare solo 40 mila tonnellate di greggio, il rimanente sarebbe destinato a finire in mare. 
Considerati la dimensione dell’intero rogo e il flusso continuo di carburante che prende fuoco, è presumibile
che l’alimentazione della macchia subisca un rallentamento.
Tuttavia Roberto Ferrigno, responsabile di Greenpeace, non ha dubbi: “E’ il più grande disastro ecologico del
Mediterraneo, anche se soltanto un decimo di petrolio finisse sulla costa” [7]>>. 
<< Le fiamme continuano a divampare sullo scafo che galleggia spaccato nel centro, ma potrebbe anche
inabissarsi nelle prossime ore rendendo inutili i tentativi di scongiurare la marea nera. Tutt’intorno alla Haven un
cordone di barche dei vigili del fuoco spruzza a getto continuo acqua e solvente, mentre a salvaguardia della
costa è stata approntato un sistema di difese che dovrebbero in qualche modo controllare, se non contenere,
l’ondata di petrolio; il sistema però non offre nessuna garanzia e, sulla fuoriuscita del petrolio dalla nave, non si
riescono ad avere notizie precise. 
Poche notizie anche dal ministro Carlo Vizzini e dall’ammiraglio Antonio Alati, giunti a Genova a metà
pomeriggio. “Proprio una bella giornata per il ministro della marina mercantile. Ero a Livorno, ed ora sono qui,
laggiù la tragedia è soprattutto umana, qui incombe un grave pericolo ambiantale. Faremo tutto il possibile”, ha
assicurato Vizzini. 
Nessuno però può dire cosa succederà se in mare si scaricheranno le centoquarantamila tonnellate di petrolio
contenute dalla Haven, una chiazza enorme che potrebbe toccare la riviera di ponente e rovinare l’ambiente e
l’economia della zona che si fonda sul turismo. Allarmata, intanto, la reazione delle associazioni ecologiche dei
partiti.
Il gruppo consiliare Verde in Comune afferma di non voler strumentalizzare l’incidente, ma evidenzia come il
problema della sicurezza si pone ormai in modo non più procrastinabile, contemporaneamente il gruppo
parlamentare dello stesso partito con l’interpellanza urgente ad Andreotti chiede la convocazione immediata dei
ministri della Marina mercantile e della Protezione civile [8]>>. 
<< “Era un inferno di fumo e fiamme a prua della nave, ci siamo avvicinati ed in quel momento c’è stata
l’esplosione. La petroliera s’è aperta al centro, i marinai hanno cominciato a lanciarsi in mare, quelli che
abbiamo raccolto erano ustionati e chi non aveva ferite, tremava per il freddo. Abbiamo aiutato chi ci capitava a
tiro, poi siamo stati costretti a rientrare. a pochi metri da noi, tre marinai sono stati avvolti dalle fiamme, ma non
siamo riusciti a raggiungerli”.
Giancarlo Cerruti, 50 anni, è il comandante della prima pilotina del porto-petroli di Genova Multedo che,
pochi minuti dopo l’SOS lanciato dal comandante dell’Haven, ha raggiunto la petroliera recuperando i primi 18
marittimi superstiti.
“Quando ci siamo avvicinati – continua – l’incendio a prua era piuttosto esteso e, un focolaio di fiamme si
notava anche a poppa. Forse, il comandante della nave sperava ancora che il fuoco si potesse domare dal
momento che, in mare non c’era nessuna scialuppa (come se l’allarme non fosse ancora scattato).
Pochi minuti dopo la prima ed ultima comunicazione dalla petroliera, dalle banchine del porto petroli si sono
staccati i mezzi di soccorso: sette rimorchiatori, motolance, pilotine, le vedette della guardia di finanza, di
carabinieri e polizia. Per ironia della sorte, una delle due motolance dei vigili del fuoco, ed un elicottero, erano
stati inviati nella notte a Livorno.
Al momento dell’esplosione, alcuni marinai stavano dormendo o pranzando, altri lavoravano. “Dalla cuccetta
dove stavo riposando, ho sentito soltanto un forte boato – ha raccontato Lizander Castillo, 27 anni, filippino -.
Eravamo io ed altri due compagni. Abbiamo pensato subito ad un’esplosione nelle cisterne vuote, abbiamo
raggiunto il ponte e ci siamo buttati in mare.
Tutti e tre siamo rimasti mezz’ora in acqua, temevamo di morire assiderati, poi finalmente, un rimorchiatore
è riuscito a scorgerci. Non è stato facile, eravamo circondati dal fumo e tutt’intorno il mare bruciava”.
Il personale di macchina, tra cui il comandante Patagennis Harialaos, 40 anni di Atene, ricorda di aver visto
dagli oblò della sala da pranzo un fumo denso avvolgere la nave. “Pochi attimi dopo ho sentito l’esplosione, sono
uscito nei corridoi, urlavano tutti, sono riuscito a raggiungere la sala macchine e a spegnere i motori, dopo di
che, ho seguito in mare gli altri ed ho atteso che mi venissero a recuperare”.
Patagennis Harilaos è illeso, chiede notizie della nave e racconta che quattro anni fa avvenne un altro
incidente: “Eravamo nel Golfo Persico e fummo bombardati da una nave iraniana. Non ci furono grandi danni, ma
l’equipaggio visse ore di terrore”. Alle domande sulle cause dell’incendio il comandante scuote la testa,
“Avevamo già scaricato quasi la metà del greggio, eravamo in rada ad aspettare ordini. A bordo di una petroliera
basta una scintilla per provocare una tragedia”.
Il comandante del distaccamento del porto-petroli, Francesco Biso, s’è invece fatto un’idea sulle possibili
cause: “Per autorizzare il lavaggio delle cisterne vuote, un tecnico del registro navale ed un ingegnere chimico
della società portuale avevano compiuto un’indagine sugli impianti, come vuole la prassi. Tutto era in ordine e
noi avevamo dato l’autorizzazione. Se i tecnici avessero comunicato il contrario, l’avremmo obbligata ad
andarsene; invece le operazioni di scarico del greggio, si sono concluse regolarmente e nelle cisterne vuote è
stato immesso il gas inerte per evitare pericoli di esplosione. Forse, allora, l’incendio si è sviluppato in un’altra
zona della nave dove si stavano magari compiendo delle riparazioni con la fiamma ossidrica [9]”. 
<< Gli addetti ai lavori, di fronte alle tragedie del mare come quelle di Livorno e di Arenzano, tradiscono
immediatamente l’orgoglio di categoria. Snocciolano le norme nazionali ed internazionali, il codice della
navigazione e quant’altro e dicono: “Le regole ci sono, a chi le rispetta non accade nulla. Certo, bisogna essere
accorti”.
In questo discorso comprendono tutto, anche le operazioni di carico e scarico per una nave cisterna. Il rischio
è un fattore scontato, non eccezionale; la sicurezza deriva dal rispetto delle norme. La conclusione è
inappellabile: “La petroliera – dicono un po’ tutti – è la nave più sicura che ci sia, certamente più di un
traghetto”.
E’ ancora indispensabile che le petroliere attracchino in scali come quello di Multedo, a ridosso delle strade
e delle case ? Nessuno osa dare una risposta precisa. Nel caso di Multedo, c’è un progetto per spostare più al
largo, su piattaforme off-shore, gli impianti per le operazioni, ma proprio al largo di Arenzano è avvenuta
l’esplosione, come a dire che i rischi non scompaiono in nessun caso.
Tra gli esperti, solo il comandante in pensione Agostino Piaggio azzarda: “Se la nave si è spezzata in due,
significa che l’esplosione è avvenuta nella zona centrale dove dovrebbero trovarsi permanentemente le
tanke-zavorra piene di acqua di mare. In ogni caso, quando c’è un’esplosione, si dovrebbero utilizzare subito i
gas inerti per bloccarne le conseguenze, immettendo anidride carbonica nelle cisterne vuote; tuttavia non
sempre c’è la prontezza e la possibilità per farlo tempestivamente”, come vorrebbe il codice della navigazione.
<< Sul molo del porto di Arenzano una donna in lacrime chiedeva ai carabinieri se c’era pericolo per suo
figlio, un bimbo di tre anni. “Ha gli occhi arrossati, tossisce, che cosa devo fare, dove devo portarlo?”.
La psicosi dell’inquinamento dilaga, qualche anziano ha dovuto ricorrere alle cure dei sanitari per disturbi
respiratori. Secondo Diddi Besazza, capogruppo regionale dei Verdi, “Non è ancora stato fatto niente per sapere
a quali rischi va incontro la popolazione. Secondo gli esperti, la concentrazione al suolo di anidride solforosa
conseguente alla combustione di tutto il greggio contenuto nella Haven potrebbe essere nell’ordine di 7
millimetri a metro cubo; Perciò, chi ha problemi respiratori, gli anziani e i bambini dovrebbero già rimanere
chiusi in casa”. Meno catastrofico il dottor Paolo Arata, biologo marino, direttore dell’istituto di ricerca della
marina mercantile: “La situazione non è così drammatica. Certo, l’inquinamento atmosferico esiste ma sinora
non desta preoccupazione e probabilmente si disperderà nell’aria. La quantità di greggio finita in mare è
modesta” [10]>>. 
<< Superati i Piani d’Invrea, appena dopo il dosso che immette su Varazze, due ragazze e un uomo, oltre il
guad-rail, quasi a strapiombo sul mare, sono circondati da un folto capannello di persone. I tre accarezzano
delicatamente, con stracci e carta, le ali inzuppate di catrame di un misero gabbiano, che muove con la tenerezza
degli animali filmati da Walt Disney, solo gli occhi, quasi a cercare altra solidarietà. La prima cosa che viene in
mente è che il volatile è parente stretto dell’animale, imbevuto di petrolio, immortalato dai mass-media di tutto
il mondo, nella “recente” catastrofe del Kuwait. Immagini note e desolanti che purtroppo si stanno ripetendo
anche in tutto l’arco della riviera di Ponente, da Arenzano fino a Savona [11]>>.
<< E’ minacciata la Costa Azzurra francese e la Corsica settentrionale, mentre più a sud la macchia nera che
muove da Livorno rischia d’impestare il parco ecologico della Gorgona e – se non si riuscisse a contenere il
disastro – di estendere l’inquinamento fino all’Argentario e alle Bocche di Bonifacio.
La bomba inquinante costituita dal greggio delle due petroliere (l’Agip Abruzzo e la Haven) per un totale di
220mila tonnellate supera di sei volte la catastrofe ecologica che funestò due anni fa le coste dell’Alaska e della
quale, con giusta ragione, il mondo intero si preoccupò, è in qualche modo paragonabile al danno che Saddam
Hussein ha inflitto all’ecosistema del Golfo Persico quando aprì i rubinetti delle “pipelines” Kuwaitiane.
Allora, tutti ci siamo commossi e allarmati all’immagine del cormorano moribondo, con le piume
trasformate in nero piombo dal liquame bituminoso; ma oggi ben altro sta accadendo e ben di peggio può ancora
succedere tra le Cinque Terre, Portofino, Cap d’Antibes, Bonifacio, Montecristo e Gorgona: un sistema
ecologico, paesaggistico, turistico, tra i più qualificati e delicati del mondo.
La morte orribile di 141 persone nel rogo del traghetto livornese, la visione di quei miseri resti
irriconoscibili, lo strazio delle famiglie ci ha nelle scorse ore percosso e atterrito. Ci ha fatto ancora una volta
toccare con mano la fragilità della vita umana, il dominio del caso che tutto in un attimo può sconvolgere,
trionfando di ogni strumento di sicurezza e di ogni più raffinata tecnologia.
Il disastro ecologico che ora si sta profilando e in gran parte già verificando, va ancora al di là dell’orrore e
della commossa pietà per quelle vittime della sorte; Se le 220mila tonnellate di greggio dovessero tutte rifluire
in mare, se le due petroliere già squarciate e devastate dagli incendi si disfacessero completamente, tutto il mar
di Liguria e l’arcipelago toscano sarebbero minacciati di morte ecologica, tutta la fauna e flora di quella zona
sarebbero condannate per decenni.
I due incidenti sono certamente dovuti ad errori umani, ma questa conclusione non è affatto rassicurante ne
deresponsabilizzante.
Una petroliera che trasforma un traghetto in un forno davanti a Livorno, una petroliera che minaccia di
dipingere di nero le spiagge della Liguria, all’improvviso ci ritroviamo con il Golfo in casa. 
E’ un caso o un evento prevedibile?
“Sembra che una nemesi si sia abbattuta sul Mediterraneo: questi incidenti a catena devono far “riflettere”
risponde Giorgio Ruffolo, appena confermato ministro dell’Ambiente.
(Ministro Ruffolo ndr.): “Oltre all’angoscia per quanto è avvenuto e sta avvenendo a Livorno e a Genova
bisogna pensare al futuro di questo meraviglioso stagno chiamato Mediterraneo. E’ un mare che comprende solo
lo 0,7 per cento della superficie marina complessiva ma ospita il 20 per cento del traffico petrolifero. Prima o
poi questa situazione doveva arrivare al punto di collasso: ora lo abbiamo raggiunto e forse superato”.
Che contributo darà al collasso la petroliera che sta affondando in Liguria ?
“E’ il più grave disastro del genere avvenuto nel Mediterraneo. Anche se, fino a questo momento, si deve
parlare di un disastro in gran parte potenziale: l’allarme è giustificato ma non bisogna dimenticare che esiste
ancora una possibilità di limitare sensibilmente i danni. Noi abbiamo dovuto affrontare una scelta difficile
perché c’era chi suggeriva di trascinare la nave al largo per allontanare il pericolo dalle coste italiane.
Tuttavia, nel Mediterraneo il concetto di al largo è molto relativo: si sarebbe finito per spostare la minaccia
verso la Corsica, l’Elba o la Toscana: una decisione priva di senso sia dal punto di vista ambientale che etico.
Abbiamo deciso di rischiare trainando la nave sotto costa e abbiamo ottenuto un primo risultato. Adesso la
‘Haven’ è su un fondale alto settanta metri: se affonderà prima di squassarsi, posandosi sul fondo con sufficiente
dolcezza, sarà possibile recuperare gran parte delle 147 tonnellate di petrolio che portava nelle stive”.
Questa è l’ipotesi più favorevole: una buona parte di petrolio brucia, un’altra viene recuperata e solo
un piccolo quantitativo si disperde in mare. Ma è possibile uno scenario molto più drammatico. La
struttura della “Haven” potrebbe cedere all’improvviso rovesciando in acqua una fiumana nera tre
volte più grande di quella uscita dalla “Exxon Valdez”. Questo sarebbe un colpo terribile per le coste
del golfo ligure, non solo dal punto di vista turistico, su cui si concentra gran parte delle
preoccupazioni.
“Ci stiamo preparando al peggio. La nave è stata circondata da panne galleggianti per contenere la fuoriuscita
e altre panne sono state disposte lungo i punti più minacciati della costa. Se non basteranno, i francesi ci
metteranno a disposizione i loro”.
Ma le panne danno risultati modesti. I solventi sono considerati un rimedio peggiore del male
perché trasferiscono l’inquinamento sul fondo del mare. I batteri mangia petrolio finora non hanno
avuto un collaudo operativo soddisfacente. Come verrà affrontata questa macchia di petrolio?
“Proprio perché non esiste una soluzione facile e sempre valida abbiamo consultato, oltre alle società
italiane, i migliori specialisti del mondo. Ci sono i tecnici all’opera nel Golfo Persico. La task force della Cee. I
francesi che hanno fronteggiato le 130 mila tonnellate uscite dall’Amoco Cadiz in Francia nel 1978. Gli
americani che hanno affrontato l’incidente della Exxon Valdez”.
Il caso “Exxon Valdez” mostra però i limiti delle operazioni finora compiute: è stato speso un
miliardo di dollari, sono stati mobilitati 11 mila volontari per recuperare poco più del dieci per cento
del petrolio versato. Oltretutto l’afflusso di soccorritori e curiosi in una zona fino a quel momento ben
preservata ha provocato danni che qualcuno considera equivalenti a quelli causati dal petrolio.
“Speriamo di imparare anche dagli sbagli del passato. In questo caso ci siamo mossi tempestivamente e con
un buon coordinamento. Ora comunque chiederò che si proclami lo stato di calamità nazionale: le operazioni
verrebbero affidate alla Protezione civile e si passerebbe a un potere di ordinanza più rapido e incisivo”.
Il ministero dell’Ambiente potrebbe così tornare a occuparsi di prevenzione. Cosa si potrebbe fare
per ridurre il rischio petrolio?
“In generale si tratta di migliorare gli standard di sicurezza per le operazioni di carico e scarico: la questione
era già all’ordine del giorno del consiglio dei ministri della comunità europea del 30 giugno.
Le convenzioni attuali non bastano, occorrerebbe la costituzione di un organismo supernazionale. Per quanto
riguarda l’Italia bisognerebbe fare uno sforzo supplementare: abbiamo trenta terminal petroliferi in cui passano
800 milioni di tonnellate di greggio l’anno. Se nel Mediterraneo c’è un deficit di protezione, l’Italia rappresenta
un deficit nel deficit”.
Il traffico del petrolio ha una responsabilità di primo piano in questo quadro. E la cifra che sintetizza
i piccoli versamenti in mare, il microinquinamento di routine, supera la somma dei grandi incidenti.
“E’ vero. Secondo il rapporto della Banca mondiale sono 650 mila le tonnellate di greggio finite in mare a
causa di attività di routine come la pulizia delle stive o le operazioni di carico e scarico. Naturalmente questo
non vuol dire che l’impatto ambientale sia direttamente proporzionale alla quantità di petrolio versato: una cosa
è una piccola perdita diluita, una cosa una valanga di centomila tonnellate che si concentrano in un punto”[12]>>.
<< Un boato assordante, una lingua di fuoco verso il cielo come se si fosse acceso in mare un immenso
cerino. A Genova la gente si è affacciata alle finestre: un nuovo scoppio alle 9.35 del mattino, nel ventre della
petroliera, altre due esplosioni prima dell’una e un quarta alle 14. Tutto intorno una nave che si inabissa
lentamente e che ormai fuori dall’acqua ha solo la poppa [13]>>. 
Se si spezza è una catastrofe, << Nell’unità di crisi allestita presso il ministero dell’Ambiente, Giorgio
Ruffolo attorniato da tecnici esperti, annuncia l’emergenza nazionale: “C’è il rischio che le migliaia di
tonnellate di greggio contenute nelle stive della Haven si riversino nel Golfo Ligure. Sarebbe una catastrofe
ecologica di proporzioni mai viste” [14]>>.