Gruppo Pace

Comunità S.Angelo



Quando i tamburi di guerra non rullano a casa nostra, è difficile parlare di pace con chicchessia o anche solo accennarne. Le guerre, sì, ci sono, ma lontane. Preoccuparsi è eccessivo. Per poi svegliarci di colpo quando gli aerei partono da Aviano per bombardare la Serbia e domandarsi: "Ma si poteva fare altrimenti? E come si fa ad intervenire in altro modo? Li fai massacrare tutti? " Si poteva fare altrimenti. Ci sono altre soluzioni. Ma queste non possono essere improvvisate a comando, quando la crisi è aperta. Ora radunare gente per parlare di questo è compito arduo. Se poi si parla di riconversione dell'industria bellica in Lombardia, della legge regionale 6/94 fatta a questo scopo, si rischia di suscitare stupore, se non una alzata di spalle: "E poi, ancora?". Eppure la pace la si prepara anche non fabbricando armi. Perché senza le armi le guerre non si fanno. O, almeno, sono meno cruente. C'è una legge, varata in Lombardia nel 94, che prevede incentivi e finanziamenti per le industrie belliche che cambiano il proprio genere di prodotti. Legge che aveva cominciato a funzionare, con vari progetti e con esito, in alcuni casi, buono. Legge che con l'ultimo governo regionale ha cessato di funzionare. Il perché? Tanti. I profitti dell'industria bellica sono alti, i sindacati temono la perdita di posti di lavoro, e poi, diciamolo tra di noi, l'idea di fare vomeri con le spade come dice la Bibbia non è proprio popolare nella maggioranza dei nostri consiglieri. Anzi, ex consiglieri perché la legislazione è finita. Su questo non funzionamento, su questa disfunzione la Casa della Pace a chiesto l'intervento di politici regionali, di sindacalisti, di testimoni delle lotte per la riconversione. Ma cos'è la Casa della Pace? E' un progetto di un luogo fisico dove ospitare iniziative, conferenze organizzate da 5 associazioni pacifiste, dove avere sedi archivi biblioteche. Finora il progetto c'è, la sede no, e per il convegno abbiamo dovuto affittare la Sala Verde del convento di San Carlo. E dobbiamo dire che - malgrado l'arduo compito che ci eravamo imposti con tenui speranze - gente ne è venula. A rotazione un centinaio di persone. Il tema della pace che in Lombardia si è persa è uscito molto bene dagli interventi politici, di chi quella legge aveva fatto e che ha assistito al suo lento svuotamento. Sono emersi dai sindacalisti i problemi, le resistenze interne. La voce di chi dall'interno della fabbrica di armi aveva assunto una posizione critica è stata la testimonianza più acuta e pregnante. Certo, non c'erano né il Presidente della Regione né alcuno della presidenza del Consiglio regionale, debitamente invitati. Per tutti comunque la legge va aggiornata ma mantenuta. Bisogna avere più dati sulla attuale produzione, dove esportiamo, quali banche finanziano queste operazioni sovente in spregio alla legge 185 che regolava la vendita delle armi a paesi non coinvolti in guerre. Ma soprattutto bisogna imparare a comporre i conflitti, che sono parte della nostra natura e del nostro modo di essere, in modo non violento. La scorciatoia delle armi deve essere abbandonata formando mediatori di conflitti, appoggiando ambasciate di pace, diplomazie popolari civili di pace. L'ultima testimonianza veniva da chi aveva lavorato nei Balcani per otto anni. Le occasioni perdute, il traffico delle armi. Le armi, come qualsiasi prodotto in questa economia, devono essere vendute. Per essere più efficienti e competitivi, dobbiamo renderle più micidiali e venderne di più. Poi le armi devono essere consumate... C' è bisogno di continuare? Cento persone sono entrate , hanno ascoltato, hanno preso dei documenti. Cento persone non sono niente, cento individui che pensano e sono disposti ad impegnarsi possono essere una moltitudine. O no? Paderno, 25 marzo 2000