Antonio Mazzeo

 

 

COLOMBIA  L’ULTIMO   INGANNO

 

 

PARTE SECONDA

 

LA BORGHESIA DELLA COCA: LA GUERRA SPORCA DEL PARAMILITARISMO

 

 

 

In campo contro la ‘narco-guerriglia’.

Dobbiamo appoggiare il governo colombiano mentre tenta di ristabilire il controllo sulle regioni produttrici di droga. La minaccia è amplificata dal crescente legame tra narcotrafficanti, unità della guerriglia e paramilitari. Questi gruppi criminali controllano il 40% del territorio colombiano e usano il traffico di droga, il sequestro, le rapine in banca per finanziare le loro attività terroristiche contro la popolazione civile”. Il generale Berry McCaffrey, nella sua audizione di fronte al Congresso, ha voluto enfatizzare “gli enormi profitti” del traffico della droga che finirebbero nelle mani della denominata ‘narco-guerriglia’. Citando non meglio identificati ‘esperti della difesa colombiani’, lo zar anti-droga ha affermato che i due maggiori gruppi insorgenti (le Farc e l’Eln) guadagnerebbero “oltre il 50% dei loro profitti dal loro coinvolgimento nel traffico di droga”, cioè un valore stimato “da un minimo di 100 milioni di dollari ad un massimo di 500 milioni[1].

   A dimostrazione che si è di fronte ad una vera e propria campagna di disinformazione per impressionare l’opinione pubblica statunitense ed ottenere il consenso al vasto programma di aiuti militari, basta comparare i dati forniti dal generale McCaffrey con quelli in possesso dell’ex sottosegretario di Stato Thomas Pickering. Presentando ufficialmente il ‘Plan Colombia’, Pickering ha dichiarato che “i proventi della guerriglia dal traffico di droga ed altre attività illecite, come rapimenti ed estorsioni, eccedono sicuramente i 100 milioni di dollari all’anno; di essi, stimiamo che il 30-40% provengano direttamente dal traffico di droga”. Anche se Pickering ridimensiona di quasi quattro volte il valore degli ‘affari della narco-guerriglia’, non nasconde come la crociata Usa “contro la droga” sia in realtà finalizzata a contrastarne le operazioni politico-militari: “le organizzazioni della guerriglia in Colombia dipendono, proteggono e forse partecipano e tassano il traffico e la produzione di droga in aree che sono sotto il loro controllo. E gli sforzi contro la droga, in questo senso, inevitabilmente colpiscono le organizzazioni della guerriglia. L’asse centrale della politica americana è lavorare insieme alla Colombia per combattere contro i trafficanti di droga. Questo, inevitabilmente colpirà alcune delle organizzazioni della guerriglia[2].

   Il rapporto tra le organizzazioni insorgenti rivoluzionarie e la coltivazione della coca è stato sicuramente contraddittorio e non sono mancate ambiguità e possibili ‘degenerazioni ideologiche’. Alcune unità guerrigliere hanno gestito e continuano a gestire direttamente laboratori di trasformazione e le piste d’atterraggio clandestine per il traffico di cocaina; narcotrafficanti e cartelli hanno stabilito contatti e alleanze con gruppi e movimenti insorgenti. A metà degli anni '70, il trafficante colombiano Jaime Guillot Lara, esportava marihuana agli Stati Uniti dalla città atlantica di Barranquilla, ed introduceva illegalmente nel paese carichi di armi per il gruppo guerrigliero M-19, via Cuba.

   Il ricercatore statunitense Rensselaer Lee, autore di un saggio sull’industria della cocaina nella regione andina, cita l’esempio del narcotrafficante Carlos Leheder, che nonostante avesse sposato l’ideologia dell’ultradestra nazionalista e sostenuto apertamente i tentativi paragolpisti del generale Landazabal Reyes (ex ministro della difesa destituito nell’84 dal presidente Betancur per la sua opposizione ad ogni tentativo di conciliazione con la guerriglia), avrebbe mantenuto relazioni con due organizzazioni rivoluzionarie, l’M-19 e il ‘Movimiento indigenista Quintín Lame’. Leheder, in occasione delle elezioni presidenziali dell’86, avrebbe appoggiato il candidato di Unión Patriótica Jaime Pardo Leal, strenuo oppositore del trattato di estradizione con gli Stati Uniti. Il narcotrafficante, secondo fonti giornalistiche che non hanno trovato ancora conferme giudiziarie, avrebbe contribuito al finanziamento dell’attacco guerrigliero al Palazzo di giustizia di Bogotá nel novembre ’85, conclusosi con il massacro da parte delle forze dell’esercito di numerosi ostaggi, tra cui undici membri della Corte Suprema colombiana[3].

 Nonostante il suo esasperato anticomunismo e i suoi vincoli con importanti esponenti liberali e conservatori, Rodríguez Gacha, uno dei maggiori trafficanti di stupefacenti colombiani degli anni ’80, mantenne una “relazione funzionale” con Jacobo Arenas, riconosciuto come il maggiore ideologo delle Farc. Grazie a questo rapporto, i proprietari delle coltivazioni pagavano una quota per ogni tonnellata di foglie di coca e per ogni chilo di pasta processata. In cambio la guerriglia svolgeva il servizo di vigilanza alle coltivazioni. La relazione tra Rodríguez Gacha ed Arenas si interruppe qualche anno più tardi quando il narcotrafficante propose la costruzione di una pista d'atterraggio nei pressi di La Uribe, nel Meta, dove si trovava il quartier generale delle Farc. Arenas respinse l’accordo per la preoccupazione che la pista si convertisse in un'area di incursione dei militari contro la guerriglia[4].

  Queste vicende, certamente deprecabili, non possono peró essere astratte dal contesto e dall’intensità della ‘guerra sporca’ colombiana che non permetteva alla guerriglia il ricorso ad altre attività ‘lecite’ per ottenere le risorse necessarie a continuare il conflitto contro lo Stato e le organizzazioni paramilitari. Nella maggior parte dei casi poi, il rapporto con i coltivatori ed i grossisti di coca si è limitato alla tassazione di un’‘imposta di guerra’ in aree dove i gruppi insorgenti svolgevano funzioni istituzionali (gestione dell’ordine pubblico e difesa dei campesinos, intervento sociale, ecc.). La cosiddetta ‘connesione finanziaria’ con il mercato della droga inoltre, è stata maggiormente evidente nelle fasi iniziali del mercato (coltivazione e processamento iniziale) che nelle tappe successive dove i profitti si fanno maggiori (raffinamento ed esportazione). Come ha spiegato Alvaro Camacho Guizado, docente presso la ‘Universidad del Valle’ di Cali, “ci sono certamente alcune basi obiettive nel rapporto tra la guerriglia e la produzione di coca, ma esse non si prestano necessariamente per ipotizzare una comunanza di interessi politici, o una strategia comune di lungo periodo per lo smantellamento delle istituzioni statali[5]. 

  Dello stesso avviso sono gli studiosi del Centro di documentazione ‘Giuseppe Impastato’ di Palermo, che riconoscono la ricerca di un’“alleanza strategica” esclusivamente tra la guerriglia e i contadini produttori, mentre “con gli altri soggetti (intermediari e narcos), può parlarsi di un’alleanza funzionale o tattica, temporanea e soggetta a bruschi cambiamenti”. Le differenze ideologiche si evidenziano particolarmente  nel momento in cui la grande industria della cocaina  mostra il suo volto di forza politica conservatrice. “Gli interessi dei guerriglieri – spiega il Centro di documentazione - sono diversi da quelli dei narcotrafficanti, anzi in contrapposizione, e la vicenda dei gruppi paramilitari lo dimostra. (…) I narcos per un certo periodo hanno avuto un rapporto di convivenza con i gruppi guerriglieri, come le Farc, il Movimento 19 aprile (M-19) e l’Epl. Le Farc nelle zone in cui operavano, praticavano una tassazione sulla coca: il 10% degli introiti dei produttori, l’8% su quello dei rivenditori di pasta base. La convivenza tra narcos e guerriglieri si incrina intorno al 1985: le Farc attaccano i laboratori di raffinazione in mano ai narcotrafficanti che nel frattempo, investendo i capitali ricavati dalle loro attività illecite, si sono trasformati in grandi proprietari terrieri. Gran parte delle proprietà dei narcos sono in zone controllate dalla guerriglia, pertanto lo scontro era inevitabile[6].

  Si è altresì sottovalutato il ruolo che le Farc hanno ricoperto a tutela dei piccoli produttori di coca di fronte allo strapotere dei trafficanti, sia in termini di protezione di diritti sia per la determinazione di un più equo prezzo del prodotto e di una reale ridistribuzione dei profitti. In alcune zone si è riusciti a regolare le proporzioni tra le aree della coca e quelle destinate alla coltivazioni di altri prodotti, impedendo così i danni socioambientali derivanti dalla monocoltura intensiva. Il consenso che la guerriglia ha conquistato in ampi settori rurali non si giustifica però solo dalla protezione offerta alla coltivazione dell’unico prodotto il cui prezzo non è stato colpito dall’apertura neoliberale alle importazioni statunitensi. Esso nasce e si sviluppa a seguito dell’incapacità da parte dello Stato di dare una risposta concreta alla ingiusta distribuzione della proprietà delle terre, la causa socioeconomica principale alla base del conflitto colombiano.

  Secondo l’Incora (l’istituto colombiano che avrebbe dovuto coordinare la riforma agraria e la ridistribuzione delle terre), l’1,3% dei proprietari controlla il 48% delle migliori terre, mentre il 68% dei piccoli proprietari campesini, controlla appena il 5,2% dell’area occupata[7]. Ad esso si aggiunge il peso dell’allevamento estensivo, che invece di interessare le terre marginali, ha progressivamente occupato i migliori suoli a vocazione agricola, riproducendo il latifondo e i conflitti per i suoli, espellendo con la violenza decine di migliaia di produttori e accelerando la deforestazione e il depauperamento delle risorse idriche. La frustrazione delle aspettative campesine ha assicurato il tessuto sociale all’espansione territoriale della guerriglia, che approfittando a fine anni ‘70 della vasta campagna repressiva condotta dall’ex presidente Julio César Turbay, “dimostrò l’inefficacia delle politiche ‘riformiste’  e aumentò la sua credibilità come veicolo di organizzazione delle lotte per una trasformazione strutturale[8].

 

 

Le cifre dell’affare droga

 

                                      Coca               Papavero da oppio

 

Raccolte annue                       4                               1

 

Produzione per ettaro        4.000 kg                       10

 

Produzione di stupefacenti   5,6 kg (cocaina)     0,5 (eroina)

per ettaro        

 

Prezzo in Colombia          1.150 Us $ / kg          11.500 Us $ / Kg

 

Prezzo negli Stati Uniti     25.000 Us $ / kg        250.000 Us $ / Kg

 

 

 

Storia e alleanze del fenomeno paramilitare

Nelle loro descrizioni sulla produzione e il traffico di droga, i maggiori sostenitori statunitensi del ‘Plan Colombia’ (vedi McCaffrey e Pickering) citano solo genericamente i legami tra trafficanti di droga ed i leader paramilitari. Eppure è in ambito paramilitare che le ricerche storiche e le indagini dei magistrati colombiani hanno provato intrecci di tipo ‘fisiologico’ e strategico-militare con le organizzazioni che gestiscono il processamento, la commercializzazione e l’esportazione della cocaina.

Un’ampia letteratura ha ricostruito la nascita e lo sviluppo delle maggiori organizzazioni paramilitari nel Paese (particolarmente nel Magdalena Medio e nel dipartimento di Antioquia). Si è evidenziato come il paramilitarismo abbia avuto origine dal patto strategico finalizzato ad annientare i gruppi della guerriglia e le stesse organizzazioni della sinistra ‘legale’ e sindacale, sottoscritto all’inizio degli anni ’80 da latifondisti e grandi allevatori locali, leader politici dei partiti tradizionali, i boss del narcotraffco e i settori di destra delle forze armate.

  La nascita dei gruppi paramilitari coincise con un momento particolare del conflitto politico-militare colombiano, quando all’acutizzarsi delle azioni controinsorgenti effettuate dalle forze armate nel gennaio ‘82, le Farc (che con il 4° Fronte si erano insediate nel Magdalena Medio sin dal ’65 e che imponevano l'”imposta rivoluzionaria” ai dirigenti delle compagnie petrolifere statunitensi) scelsero di aumentare le richieste estorsive e il numero dei sequestri. La cosiddetta ‘vacuna ganadera’, tassazione estorsiva in precedenza imposta ai grandi proprietari terrieri e agli allevatori, fu estesa alla media-piccola proprietà. Ciò creò condizioni sempre più difficili per i proprietari delle aziende della zona. Molti preferirono vendere o dividere i grandi fondi, altri decisero di autorganizzarsi militarmente per opporsi alla guerriglia. In questa situazione furono principalmente i narcotrafficanti ad avvantaggiarsene: grazie agli ingenti capitali accumulati con la vendita della droga, essi si lanciarono sulle regioni dove i prezzi delle terre erano crollati in seguito alle incursioni dei gruppi armati. Questo fenomeno si evidenziò particolarmente nel dipartimento di Antioquia e in alcune regioni latifondiste della Costa Atlantica, del Magdalena Medio e delle pianure orientali (Llanos Orientales), dove oltre il 60% delle terre produttive finì nelle mani dei narcotrafficanti. Nella sola Antioquia, gli uomini dei cartelli s’impossessarono di terre in 88 dei 124 municipi del dipartimento.

Le classi dominanti e latifondiste non ebbero pregiudizi di sorta a stringere alleanze con i soggetti criminali protagonisti di questo processo di riconcentrazione della proprietà agraria. Parallelamente entrarono in gioco le forze armate, decise ad interpretare più attivamente il ruolo di difesa dello ‘status quo’ economico e sociale contro ogni processo di democratizzazione della vita politica. In particolare i militari si opponevano ai timidi tentativi di dialogo con le guerriglie del nuovo presidente Belisario Betancur, che consideravano un tradimento degli sforzi bellici realizzati durante il governo precedente. Così, le forze armate iniziarono a chiedere ai grandi proprietari nel sud del Magdalena Medio di “vincolare la popolazione alla lotta controinsorgente” per creare una “forza non convenzionale di soldati e specialisti civili” che continuasse il conflitto con l’insorgenza in maniera ‘coperta’ e ‘clandestina’, in linea con i principi strategici della ‘Dottrina della sicurezza nazionale’ dell’amministrazione Usa[9]. Con la ‘guerra non convenzionale’, le azioni militari acquisirono una dinamica distinta che si manifestò  attraverso “l’eliminazione selettiva del nemico (leader politici, sindacali e popolari), il massacro collettivo (contro coloro che appoggiano la sovversione e si rifiutano di fornire informazioni ai militari) e il genocidio (contro le zone e le regioni in cui esiste il riconoscimento formale dell’influenza del movimento insorgente). Per lo sviluppo di questa strategia si ricorre a sicari provenienti dalle forze armate e dalla popolazione civile[10].

L’applicazione in Colombia della ‘Dottrina della sicurezza nazionale’ ha avuto tuttavia uno sviluppo distinto da quello di altri paesi latinoamericani: essa non ha toccato in maniera sostanziale le formalità proprie di una democrazia rappresentativa. “La peculiarità del caso colombiano – scrive Abilia Peña della Commissione intercongregazionale di ‘Justicia y Paz’ – è che il governo civile si libera del controllo dell’ordine pubblico e assegna il potere alle forze armate di esercitare con autonomia tale controllo, dotandole di una giurisdizione speciale protetta nel permanente ‘stato di emergenza’ (previsto sino all’approvazione della nuova Costituzione), che è stato interrotto solo in maniera sporadica[11]. Ciò tuttavia, non ha impedito che la ‘guerra sucia’ (‘guerra sporca’) scatenata in Colombia dalle forze armate e dai propri alleati sociali fosse similare in intensità e drammaticità rispetto alle più note tragedie delle dittature in Cile e Argentina o dei conflitti civili centroamericani. In soli quindici anni dall’organizzazione delle ‘forze clandestine’ si arrivò a contare 24.000 assassinii, 2.230 sparizioni, 7.000 casi di tortura e centinaia di migliaia di sfollati[12].

L’appello delle forze armate per la creazione delle cosiddette ‘autodefensas’ ottenne il consenso dei proprietari terrieri e degli allevatori, e in alcuni casi dei campesinos maggiormente colpiti dalle attività della guerriglia. Il luogo dove venne sancita questa grande alleanza fu il municipio di Puerto Boyacá, uno dei maggiormente sottoposti al controllo e agli interessi petroliferi Usa. Puerto Boyacá, è sorto a metà anni ‘30 su una sponda del río Magdalena per favorire il trasporto dell’oro nero estratto nella zona dalla ‘Texas Petroleum Company’, il primo gruppo nordamericano a ricevere l’autorizzazione a sfruttare i giacimenti in Colombia. In quest’area di rilevanza strategica, l’esercito avviò la sperimentazione in larga scala delle ‘operazioni clandestine’ dei gruppi armati costituiti da civili e militari, insediandovi a tal fine il 3° battagione di fanteria ‘Barbula’ e la 14^ brigata con oltre 4.000 uomini. A questi reparti, tra i più coinvolti in massacri e gravi violazioni dei diritti umani, furono destinati risorse finanziarie e supporto logistico da parte della ‘Texaco’, grazie ad una discutibile decisione della Corte costituzionale che affermò la legittimità di accordi diretti alla difesa delle concessioni tra l’esercito colombiano e le multinazioni del petrolio[13]. Non è casuale che la prima grande organizzazione paramilitare fu costituita in occasione di una riunione a cui parteciparono i responsabili delle forze armate, il sindaco della città (l’ufficiale dell’esercito Oscar Echandía), alcuni rappresentanti della 'Texas Petroleum Company', i membri del comitato degli allevatori e dei commercianti, i maggiori leader politici locali.

  I principali finanziatori dei ‘gruppi di autodifesa’, tuttavia, “furono i grandi narcotrafficanti che avevano comprato aziende nella regione, tra cui Pablo Escobar Gaviria, i fratelli Ochoa Vásquez e José Gonzalo Rodríguez Gacha. Questi ultimi videro l’opportunità di legittimarsi di fronte alle forze armate e di creare eserciti privati che garantirono la protezione e la sicurezza dei territori acquisiti[14]. L’intervento controinsorgente a fianco di militari e gruppi politico-economici conservatori, fu formalizzato a seguito del sequestro da parte di un gruppo di guerriglieri di M-19, della sorella di uno dei leader del Cartello di Medellín, Jorge Luis Ochoa, nel novembre ’81. In risposta alla ‘provocazione’ dell’organizzazione di estrema sinistra, fu organizzato un vertice a Medellín a cui parteciparono centinaia di narcotrafficanti e di smeralderi di tutta Colombia che decisero di finanziare un vero e proprio gruppo paramilitare “di autodifesa”, il “Mas" (Muerte a los sequestradores) che iniziò ad operare nel paese con la copertura  delle forze armate e dei leader di governo. L’organizzazione, nei fatti, servì “come una specie di canale di comunicazione tra la mafia e i militari[15].

  I gruppi paramilitari iniziarono presto a porsi l’esigenza di una loro ‘legalizzazione’, pretendendo il riconoscimento politico della loro lotta contro la guerriglia. Nel caso specifico del Magdalena Medio, essi diedero vita  ad un vero e proprio progetto politico, sociale, economico e militare, grazie alla costituzione di ACDEGAM (Associación Campesina de Agricultores y Ganaderos del Magdalena Medio), che trasformò Puerto Boyacá “in una specie di ‘Repubblica Indipendente Anticomunista’, nella quale l’applicazione della forza, della giustizia, il controllo politico e amministrativo, la spinta dei processi economici e sociali, sono vigilati e orientati dall’ACDEGAM; la stessa Texas Petroleum Company si relaziona indirettamente con l’associazione e collabora in alcune fasi con le attività locali dei sicari[16].  L’associazione arrivò ad aprire impunemente alcuni conti correnti nelle succursali di Puerto Boyacá di due banche statali, il ‘Banco Popular’ e la ‘Caja Agraria’, per mobilizzare i fondi con cui pagare sicari e gruppi paramilitari. Alla vigilia degli anni ’90, ACDEGAM tentò perfino di darsi un respiro nazionale, attraverso la creazione di un organizzazione politica apertamente anticomunista, antidemocratica e neonazista, il ‘Movimiento de Restauración Nacional Morena’. L’esperimento però non decollò perché le classi politiche ed economiche dominanti preferirono restare fedeli ai partiti tradizionali.

  L’azione organizzativa e di copertura che l’ACDEGAM forniva alle ‘operazioni sporche’ dei paramilitari era perfettamente a conoscenza delle autorità statali e dei principali organi di sicurezza colombiani. Nel 1988 un rapporto del Das alla Procura generale affermava che “i sicari e gli assassini di Puerto Boyacá utlizzano come copertura l’ACDEGAM, dietro cui effettuano le proprie attività illecite”. “Il sostenimento della banda – proseguiva il rapporto - è a carico dei Narcotrafficanti, degli Allevatori e degli Agricoltori, che in qualche modo dedicano parte delle proprietà alla coltivazione delle foglie di coca, attività camuffata con altre attività agricole e pascoli; ognuna di queste persone periodicamente apporta una quota che oscilla tra i 50 mila e un milione di pesos per finanziare il personale (…). Alcune autorità nel Magdalena Medio collaborano con ACDEGAM, come il Procuratore generale di Honda, il comandante della base militare di Calderón, i comandanti della polizia di La Dorada e Puerto Boyacá, il sindaco di Puerto Boyacá, i narcotrafficanti Gonzalo Rodríguez Gacha, ex sergente dell’esercito, Pablo Escobar, Gilberto Molina, Jairo Correa[17]. 

Nel 1989, l’ex guerrigliero Diego Viafara Salinas, passato nelle file delle ‘audofensas’ del Magdalena Medio, ammise davanti ai giudici che i maggiori esponenti delle forze armate della zona, ricevevano ordini direttamente dal latifondista Henry de Jesús Pérez, un politico di estrema destra identificato come il vero 'cervello' delle organizzazioni di sicari. "Il battaglione ‘Barbula’ era solito ricevere donazioni da parte dei capi paramilitari in denaro, combustibile, veicoli ed altre attrezzature particolari" ha raccontato Viafara Salinas. L'azienda ‘Las Palmeras’ di proprietà di Henry de Jesús Pérez era contigua alla caserma del battaglione ‘Barbula’, e la notte del 31 dicembre dell'’88, a festeggiare il nuovo anno vi s’incontrarono boss della portata di Rodríguez Gacha, Fabio Ochoa e Jairo Correa e lo stesso comandante del presidio militare. Tra gli ufficiali legati al latifondista, Viafara Salinas identificò il colonnello Rodríguez, i maggiori Tinjacá, Oscar Echandía Sánchez e Humberto García, i capitani Estanislao Caycedo, Guillelmo León Tarazona e Luis Bohórquez, quest’ultimo notoriamente vicino all’allora ambasciatore degli Stati Uniti Charles Guilepsie, assiduo frequentatore di Puerto Boyacá e del Magdalena Medio[18]. Per il maggiore Echandía, la Procura regionale di Bogotá ha chiesto recentemente l’incriminazione per i delitti di “istruzione e addestramento in tattiche e procedimenti militari e terroristici nel Magdalena Medio di gruppi paramilitari al soldo dell’ACDEGAM[19].

  I narcotrafficanti, grazie al sostegno logistico delle forze armate, hanno potuto pianificare vere e proprie operazioni militari finalizzate al controllo strategico delle aree ‘sensibili’ al contrabbando di smeraldi e ai traffici di armi e stupefacenti. Rodríguez Gacha, ad esempio, di cui sono stati provati versamenti per milioni di dollari a favore di ufficiali della 13^ brigata dell'esercito colombiano, aveva strutturato nella seconda metà degli anni ’80, una rete paramilitare per assicurarsi ‘corridoi di sicurezza’ dal Magdalena Medio verso l’Urabá (costa atlantica), e mettere in comunicazione i depositi di cocaina con le aree utilizzate per l’imbarco della droga. Nell’area nordoccidentale del Meta, lo stesso narcotrafficante aveva attivato la ‘Liga de autodefensa de terratenientes’, un gruppo finanziato ed equipaggiato da grandi allevatori e militari locali, che alternava la lotta ai gruppi delle Farc con le attività relative al processamento della droga. Gli stessi paramilitari della ‘Liga’ assumevano il ruolo di ‘vigilantes’ dei laboratori e di 'cocineros' per la raffinazione della cocaina come forma di promozione all’interno del gruppo paramilitare.

  Anche il pieno coinvolgimento delle organizzazioni paramilitari nella produzione e il traffico della cocaina era perfettamente a conoscenza degli organi investigativi colombiani. "Le regioni contaminate dalla presenza del narcotraffico – scriveva il Das nel marzo 1989 - sono precisamente quelle dove sono sorte con maggior vigore i cosiddetti gruppi 'irregolari o di auto-difesa', utilizzati dalle mafie per non svelare l'identità dei suoi reali promotori"[20]. Tuttavia le maggiori istituzioni statali preferivano assumere un atteggiamento di compiacenza e tolleranza, quasi a voler rivendicare la paternità di un fenomeno, quello del narcoparamilitarismo, che ha permesso di regolare i conti con l’opposizione senza un diretto coinvolgimento governativo.

  Gli uomini di Rodríguez Gacha e di Pablo Escobar sono stati utilizzati per eseguire una serie di importanti omicidi politici come quello di Luis Carlos Galán, candidato alle elezioni parlamentari per ‘Nuevo Liberalismo’, assassinato nell’agosto ‘89 con la collaborazione di alcuni agenti del Das e di alcuni ufficiali del battaglione ‘Barbula’ che avrebbero preventivamente addestrato i killer[21]. Tre anni prima era toccato al direttore del quotidiano ‘El Espectador’ Guillelmo Cano, protagonista di una coraggiosa campagna di denuncia sulle innumerevoli violazioni dei diritti umani durante il governo liberale di Julio César Turbay (1978-82), e in particolare sui casi di tortura compiuti dai militari contro dirigenti della sinistra.

  Secondo il ministero della Giustizia colombiano, lo stesso Gacha avrebbe pagato 120.000 dollari ai sicari che assassinarono l’11 ottobre dell’87 il leader della Unión Patriótica Jaime Pardo Leal. Questa organizzazione politica in cui erano confluiti ex dirigenti di alcuni gruppi della guerriglia che avevano scelto di deporre le armi, subì da parte dei paramilitari il massacro di più di un terzo dei propri candidati alle elezioni politiche del marzo ’88. Sotto il piombo cadevano inoltre 1.043 militanti della Unión Patriótica, un’ecatombe senza precedenti che veniva rivendicata da gruppi con chiara connotazione di estrema destra, operanti alla luce del sole su scala regionale e nazionale: la ‘Alianza Anti-comunista Colombiana’, la ‘Alianza Anti-comunista Americana’, ‘Muerte a Secuestradores y a Comunistas’, ‘Muerte a los Revolucionarios de Urabá’[22].

  Ai gruppi paramilitari di Carlos Castaño, oggi leader indiscusso del terrorismo di estrema destra e del narcotraffico in Córdoba, Urabá e Magdalena, è stato attribuito in particolare l’omicidio del candidato presidenziale Eduardo Pizarro, leader dell’Unión Patriótica, assassinato durante la campagna elettorale del 1990. L’omicidio, compiuto da sicari di Medellín, avrebbe goduto del sostegno e della protezione di un direttore del Das e del comandante dell’esercito di Montería[23].

  Le operazioni delle organizzazioni ‘narcoparamilitari’ hanno avuto respiro internazionale. Nella seconda metà degli anni ’80, furono inviati 300 paramilitari nella Valle dell’Alto Huallaga per sostenere l’offensiva dei narcos peruviani contro l’organizzazione guerrigliera di Sendero Luminoso. Uomini del Cartello di Medellín in collaborazione con alcuni rappresentanti della mafia corsa trasferitisi in Colombia sin dalla fine degli anni ’70, agirono invece in differenti paesi latinoamericani per assassinare distinti militanti della sinistra[24].

  Nonostante le reciproche differenze storiche e l’ineguagliabile dimensione della violanza del caso colombiano, è possibile individuare un’analogia con quanto successo in Sicilia nel dopoguerra, quando le organizzazioni di mafia intervennero direttamente nella repressione dei movimenti contadini. “Gli attori che parteciparono – scrive il sociologo Ciro Krauthausen – erano diversi, ma all’inizio, si trattava della stessa cosa: un’alleanza tra mafiosi o narcotrafficanti, latifondisti tradizionali e apparati repressivi statali che difendono con la violenza le relazioni dominanti di proprietà di fronte ad una popolazione discriminata e insoddisfatta, mentre i servizi segreti svolgevano un ruolo importante di coordinamento. Allo stesso modo dei mafiosi, i narcotrafficanti non si subordinano ai grandi proprietari terrieri: essi stessi erano proprietari in espansione[25].

 

 

 

   La ‘guerra sucia’ dei mercenari israeliani

Il clima generale d’impunità di cui hanno goduto i gruppi paramilitari è proseguito sino al gennaio dell’’89, quando un gruppo di uomini armati guidato dal famigerato narcotrafficante Alonso de Jesús Baquero e composto da alcuni militari, tra cui il comandante dell’esercito di Campocapote, Andrade Ortiz, si macchiò di uno dei più gravi crimini della recente storia del paese, la strage di undici funzionari del potere giudiziario a La Rochela (Santander). L’ondata di proteste internazionali costrinsero l’allora presidente Barco Vargas a ‘disconoscere’ le organizzazioni paramilitari e a decretarne lo ‘scioglimento’, anche se nessuna misura fu intrapresa realmente per perseguirle e reciderne i legami con le forze armate. Lo stesso comandante Ortiz, dopo una timida condanna a cinque anni per la sua partecipazione al massacro, venne assolto da un tribunale militare.

L’inchiesta sul massacro di La Rochela rivelò un altro inquietante particolare: alcuni dei componenti del gruppo criminale erano stati preventivamente addestrati da una ventina di mercenari israeliani e da cinque “ex” membri delle Sas, il settore speciale delle forze armate britanniche per le operazioni nella selva[26].  Uno di essi, l’ex ufficiale Andrew Gibson ammise di essere stato contattato da un agente che “faceva parte dell’amministrazione del presidente Virgilio Barco Vargas” e che i suoi uomini erano tutti veterani dell’’Operazione Prometea’ con la quale il Sudafrica aveva invaso il sud dell’Angola per distruggere le basi della Swapo, l’organizzazione per la liberazione della Namibia[27].

Quello di La Rochela non fu l’unico massacro effettuato da uomini addestrati dai mercenari israeliani e britannici. Il 4 marzo ’88, un gruppo di sicari assassinarono venti raccoglitori di banane nelle fattorie ‘Honduras’ e ‘La Negra’ del distretto di Urabá; il mese successivo lo stesso gruppo ‘paramilitare’ entrava a Turbo, il porto di Antioquia, per sterminare un gruppo di lavoratori scampato all’eccidio in Urabá. Le indagini sui due massacri individuarono come mandanti i narcos Rodríguez Gacha, Fidel Castaño ed Hermán Giraldo, quest’ultimo proprietario di numerose coltivazioni di marihuana nella Sierra Nevada di Santa Marta ed autore dello sterminio di interi villaggi indigeni. Alla pianificazione degli eccidi avrebbero altresì collaborato l’allora sindaco di Puerto Boyacá, i latifondisti della zona e alcuni alti ufficiali dell’esercito, tra cui il comandante del battaglione ‘Voltigeros’, Luis Felipe Becerra. Il militare aveva condotto la cattura di quattro guerriglieri dell'Epl (Ejercito Popular de Liberación), che sotto tortura furono costretti a confessare i nomi dei propri collaboratori nelle aziende bananiere. Fu inoltre provato che il comandante Becerra aveva pagato, con la propria carta di credito, l’alloggio in un lussuoso albergo di Medellín ad alcuni componenti del gruppo. Nonostante i pesanti indizi di complicità con le stragi, i suoi superiori lo promuovettero a tenente colonnello e lo inviarono per un corso di sei mesi negli Stati Uniti. Tornato in Colombia, Luis Felipe Becerra fu assolto da un tribunale militare; cinque anni più tardi, il 5 ottobre ’93, egli ricopriva il comando del battaglione ‘Palacé’ che, occupato il villaggio di El Bosque, Riofrío (Valle del Cauca), violentava cinque donne e torturava e assassinava tredici contadini, costretti prima dell’esecuzione a indossare tute da combattimento e passare per guerriglieri[28]. Stavolta il tribunale condannava per favoreggiamento il maggiore Becerra e altri due ufficiali del battaglione ‘Palacé’, Eduardo Delgado e Leopoldo Moreno, alla mitissima pena di anni uno di detenzione. Becerra è stato misteriosamente assassinato il 14 febbraio ’99, in un quartiere residenziale di Cali.

Di alcuni dei mercenari venuti da Tel Aviv è stato possibile ricostruirne identità e connessioni. In particolare è stato accertato che il gruppo di addestratori era guidato dal colonnello Yair Klein, già membro delle forze d’élite di Israele, “paracadutista ed esperto in lotta antiterrorista, commerciante d’armi e conoscitore del più avanzato armamento moderno”. Nel curriculum vitae del colonnello Klein comparivano, tra l’altro, la direzione nel ‘72 di un blitz contro i sequestratori di un aereo libico, e dieci anni più tardi, la partecipazione all’invasione del Libano. Nell’’85, dimessosi dalle forze armate, Klein aveva costituito una società di “consulenza militare”, denominata ‘Jod Hajanit’, con lo scopo di vendere armi e fornire ‘consiglieri’ a paesi terzi. Tra gli affari più grossi di ‘Jod Hajanit’ la vendita di armi per due milioni di dollari a favore delle milizie falangiste libanesi.

Il colonnello Klein nel corso di una lunga intervista ad un quotidiano di Bogotá, ha ammesso che “alti funzionari del governo” e “alcuni rappresentanti del Ministero della difesa” erano perfettamente a conoscenza delle reali motivazioni della sua presenza in Colombia e che gli stessi “collaboravano nell’esercizio delle sue funzioni antiguerriglia”. Yair Klein ha tuttavia negato di aver diretto corsi individuali a militari e civili nei locali della Scuola di Cavalleria dell’esercito, come invece è stato affermato da alcuni testimoni oculari. “Mi sollecitarono d’incontrarmi con il capo di sicurezza colombiano, per dare istruzione alla guardia della difesa personale del Das. Ho presentato un preventivo, ho richiesto l’autorizzazione del governo d’Israele per l’incontro, ma ho ricevuto una risposta negativa[29].

Klein sarebbe stato contattato direttamente da un ex maggiore dell'esercito colombiano di nome Gabino, in servizio presso la fabbrica statale di esplosivi e armamenti ‘Indumil’, e da un altro ufficiale delle forze armate, tale Hernández, che s’incaricò di accompagnarlo nei suoi spostamenti nel paese. La stessa società colombiana che firmò il contratto d’ingaggio del colonnello israeliano, la 'Atlas', aveva come maggiore azionista il ministero della difesa colombiano. A Klein non mancarono inoltre le coperture del personale dell’ambasciata israeliana di Bogotá, che fornì il denaro per i trasferimenti all’estero del colonnello. Un altro cittadino israeliano, Eitan Koren, fece da tramite con il governo colombiano per il reclutamento dei mercenari. Koren ricopriva la carica di rappresentante per l’America Latina dell’’Isds’ (Israel Security Defense System), un’azienda militare che nel 1988 aveva venduto all’aviazione colombiana 16 velivoli C-7 Kfire per il valore di 200 milioni di dollari. Già capo scorta dell’ex presidente Menhaem Begin, Eitan Koren fu poi chiamato dal governo colombiano per realizzare i sistemi di sicurezza della prigione di Envigado in cui fu ‘detenuto’ Pablo Escobar prima della sua fuga verso la morte nell’autunno del ’93.

Klein contò altresì sul determinante appoggio di un altro importante commerciante d’armi israeliano, il tenente colonnello Yitzhak Shoshani, che all'inizio degli anni '80 aveva diretto la filiale di Bogotá della ‘Israx’, società che aveva firmato un contratto con la Colombia di circa 250 milioni di dollari per la fornitura di equipaggiamenti militari, sistemi radar, carri armati e cingolati. L’asse Tel Aviv – Bogotá per il trasferimento di sistemi d’arma era uno dei più consolidati in tutta l’America Latina: alla vigilia dell’arrivo di Klein in Colombia, il paese assorbiva un terzo di tutte le esportazioni di armi di Israele con commesse per centinaia di milioni di dollari[30].

Secondo quanto accertato dagli inquirenti, il colonnello Klein, dopo essere giunto a Bogotá in compagnia di due ufficiali dell’esercito colombiano e, forse, con i direttori di due delle maggiori banche nazionali, si trasferì a Puerto Boyacá con alcuni mercenari israeliani, tra cui l’ex comandante delle unità antiterrorismo delle forze armate di Tel Aviv Aurham Tzadaka, l’ex tenente colonnello della polizia, poi addestratore dell'esercito del Guatemala e dei Contras nicaraguensi Amatzia Sheuli, l’ex capo della sicurezza del deposto generale Manuel Noriega, poi coinvolto nel trasferimento di armi e droga alle organizzazioni antisandiniste del Nicaragua Michael Harari, e tale David Candotti, successivamente arrestato a Miami con l’accusa di aver venduto armi al Cartello di Medellín.

Completavano l’assortito gruppo Rafi Eitan, capo della misteriosa organizzazione segreta ‘Lakam’, impegnata nello sviluppo dei programmi nucleari israelieni e nella direzione di un corso antiguerriglia presso il ministero della difesa colombiano, e il titolare di un’agenzia di viaggi di Miami, Arik Asek, anch’egli implicato nelle triangolazioni di armi a favore degli oppositori del governo di Managua. Quest’ultimo, misteriosamente assassinato alcune settimane dopo l'invasione di Panama, è risultato essere legato ai servizi segreti americani: proprio in Colombia avrebbe cooperato con la Cia, da cui avrebbe ricevuto un passaporto diplomatico statunitense, e con i servizi di sicurezza impegnati nella preparazione della visita del presidente Bush a Cartagena in occasione del vertice andino sulla lotta alla droga del 1990[31].

Il primo corso addestrativo dei mercenari israeliani ebbe inizio nei primi mesi dell’89 e vi parteciparono trenta uomini scelti da Gonzalo Rodríguez Gacha, Victor Carranza, Pablo Escobar e Fabio Ochoa Vásquez. Ai corsi “avrebbero assistito lo stesso Gacha e l’allora comandante del battaglione ‘Barbula’, colonnello Luis Bohórquez Montoya[32]. Il campo di esercitazione era situato vicino alla base dell'esercito e i militari vi si recavano frequentemente per partecipare a vere e proprie  competizioni di tiro con gli uomini del cartello. Il commando israeliano avrebbe partecipato inoltre all'addestramento di alcuni uomini dell'organizzazione di controspionaggio dell'esercito ‘Cherry Solano’, già al centro d’indagini per casi di tortura ed omicidi selettivi, presente l’allora responsabile della sicurezza dell'ambasciata israeliana di Bogotá, Yossi Biran[33].

A Sabaneta, nei pressi della città di Medellín, gli uomini di Klein riattivarono un secondo centro di addestramento per gli uomini del narcotraffico e in particolare per il gruppo al soldo di Fidel Castaño, responsabile della strage di Sasaima, Cundinamarca, il 28 febbraio dell’’89, quando furono assassinate diciotto persone, tra cui lo smeraldiere Gilberto Molina. In precedenza il poligono di Sabaneta era stato diretto da un altro cittadino di origine israeliana, Isaac Guttnan Esternbergef, a cui Pablo Escobar aveva affidato la formazione di una cinquantina di sicari delle famigerate bande dei ‘Los Quesitos’ e dei ‘Los Priscos’, specializzate nell’assassinare le proprie vittime da moto in corsa. Guttnan Esternbergef era stato colpito a morte verso la fine dell’86 da misteriosi sicari presumibilmente giunti da Cali.

Il ruolo di protagonista del colonnello Klein nei foschi scenari della ‘guerra sucia’ in Colombia non si limitò all’addestramento di sicari e paramilitari. Egli infatti, trasferì al gruppo di Rodríguez Gacha mitragliatori e proiettili di produzione israeliana, grazie ad una triangolazione tra Tel Aviv e l’isola di Antigua nei Caraibi. Le armi giunsero nell’isola in container sigillati, accompagnati da permessi alle esportazioni firmate dal ministero della difesa israeliano. Poi furono trasferite in una proprietà dell’imprenditore Bruce Rappaport, intimo amico di Shimon Peres e dell'allora direttore della Cia William Casey, per cui aveva realizzato una transazione di sistemi militari a favore della ‘contra’ nicaraguense per un valore di 10 milioni di dollari.

Secondo il settimanale ‘Newsweek’, quando il capo dell’esercito di Antigua scoprì il carico di armi nell’isola, la Cia ordinò ai governanti locali di facilitarne la spedizione al porto di Cartagena. Alcuni esponenti del Congresso Usa hanno aggiunto che ad Antigua, “grazie alla protezione e al finanziamento della Cia”, era stata realizzata una vera e propria “scuola di sopravvivenza aperta ai paramilitari colombiani e ai combattenti di altre organizzazioni controguerrigliere del Centroamerica[34].  Ancora una volta, come già successo in Salvador e Guatemala, l’amministrazione di Washington aveva preferito delegare a Israele l’organizzazione di attività clandestine che difficilmente avrebbero goduto del sostegno del Congresso e dell’opinione pubblica statunitense.

Del colonnello Yair Klein si sono perse le tracce sino a qualche mese fa. La Procura generale della Nazione ha emesso contro di lui un mandato di cattura perché lo ritiene responsabile dell’invio di 50.000 fucili mitragliatori di fabbricazione austriaca a favore dei boss della coca di Cali, un traffico gestito via Russia-Ecuador, da alcuni cittadini israeliani residenti a Bogotá. Lo stesso gruppo avrebbe promosso il trasferimento in Colombia, suppostamente alla guerriglia, di 10.000 fucili acquistati ufficialmente dalle forze armate peruviane in Giordania. La triangolazione è stata ‘svelata’ nel corso di una conferenza stampa a fine agosto 2000, dal presidente Alberto Fujimori e dal suo assistente per i servizi segreti Vladimiro Montesinos, nell’inutile tentativo di ottenere una rilegittimazione internazionale dopo le elezioni farsa che avevano riconfermato per la terza volta ‘El Chino’ alla guida della repubblica.

La Segreteria di stato ha prontamente smantellato il ‘teorema’ di Fujimori, chiamando direttamente in causa per l’illegale triangolazione i vertici del sistema d’intelligence di Lima e indirettamente lo stesso Montesinos, coinvolto più tardi nell’’affaire’ delle bustarelle consegnate dal governo ad alcuni membri dell’opposizione, scandalo che ha accelerato il processo di decomposizione della dittatura peruviana. Anche Vladimiro Montesinos condivide come l’israeliano Klein un passato da trafficante d’armi, collaboratore Cia e ‘consigliere’ di alcuni padrini del narcotraffico. Demetrio Chávez ‘Vaticano’, uno dei più importanti signori della droga di Lima, catturato in Colombia nel 1995, ha raccontato ai giudici di aver versato a Montesinos, tra il ‘91 e il ’92, “50.000 dollari al mese perché gli permettesse di operare nel traffico di stupefacenti nella località di Campanilla, sotto la protezione dell’esercito”. L’ex capo dell’intelligence peruviana è stato inoltre avvocato difensore di Evaristo Porras, potente narcotrafficante colombiano, liberato nel 1978 da un commando mentre si trovava in un ospedale militare di Lima, dove era stato ricoverato dopo aver simulato un forte dolore addominale in carcere[35].

 

 

La nuova borghesia mafiosa

Le relazioni di scambio e le alleanze narcotraffico-classi dirigenti per arrestare i processi di democratizzazione politica e sociale in Colombia, si sono progressimamente trasformate in un rapporto ‘simbiotico’. Sin dalla nascita dei maggiori cartelli della coca, la società e le istituzioni dominanti preferirono sviluppare con essi una “relazione parassitaria”, ottenendone il sostegno ai propri interessi imprenditori, sia nelle aree di produzione agricola e di allevamento estensivo che nei grandi centri urbani. In questa prima fase, la classe dominante considerò le grandi organizzazioni esportatrici di coca come un’imprescindibile “fonte d’attrazione di finanziamento per l’economia formale ed una domanda addizionale di beni e servizi”. I capitali accumulati con il traffico di stupefacenti furono messi a disposizione in particolare per investimenti nel settore delle costruzioni edili; negli anni ‘80 i ‘nuovi cavalieri della coca’ furono accolti e integrati nelle classi dirigenti.

Si aprì così la fase della partecipazione diretta nella politica attraverso il finanziamento di campagne elettorali, l’elezione di rappresentanti dei cartelli nei consigli dipartimentali e al Congresso, il lavoro di lobby in occasione delle iniziative legislative d’interesse (estradizione, lavaggio del denaro, amnistie patrimoniali, riforme del codice penale). I casi più emblematici furono quelli del boss Carlos Leheder, che arrivò a fondare direttamente un’organizzazione politica di ideologia neonazista, il ‘Movimiento Latino Nacional’ e a candidarsi, senza fortuna, per un seggio senatoriale alle politiche dell’86; e del leader del Cartello di Medellín, Pablo Escobar, che dopo essere stato eletto membro supplente al Congresso nel 1982 nelle liste del Partito liberale, fondò una propria organizzazione politica, ‘Civismo in marcha’. Lo stesso Escobar, da latitante, in occasione delle prime elezioni a sindaco della storia colombiana del ’91, s’impegnò direttamente a favore del candidato Juan Gómez Martinez, direttore del quotidiano ‘El Colombiano’, di cui ammirava il pragmatismo politico e la disponibilità al dialogo tra lo Stato ed i narcotrafficanti[36]. Gómez Martinez fu eletto sindaco; nel ’93 passò alla presidenza della governazione di Antioquia e successivamente ricoprì la carica di ministro dei trasporti nel governo di Ernesto Samper. Nell’ottobre del ’97 Juan Gómez Martinez è stato rieletto sindaco di Medellín.

In tema di rapporti tra criminalità e politica, uno dei maggiori pubblicisti colombiani, Fabio Castillo, ha segnalato i legami d’affari tra il fratello dell’ex presidente della repubblica Virgilio Barco e due dei piú noti trafficanti di marihuana della costa atlantica, Julio Caderón e Fernando Millón Palacio[37]. Castillo segnala inoltre una serie di narcotrafficanti che negli anni ’80 ascesero ai vertici delle istituzioni parlamentari, come ad esempio il boss del municipio di Zipaquirá, nei pressi di Bogotá, Severo Escobar Ortega, eletto rappresentante supplente alla Camera per i conservatori di Cundinamarca, o il congressista liberale di Nariño, Hernando Suárez Burgos, che trasferiva imponenti carichi di cocaina all’Ecuador nascondendoli negli elettromedistici prodotti nella fabbrica di cui era proprietario. Nel capoluogo di Nariño, Pasto, ha operato per anni una potente rete di narcotrafficanti diretta dai congressisti Samuel Alberto Escrucería e Samuel Escrucería Manzi, padre e figlio, legati al Cartello di Cali e ad alcuni potenti finanzieri di Bogotá. La figlia di Escrucería Manzi ha sposato il ministro della difesa del governo Betancur, generale Miguel Vega Uribe, ed uno dei velivoli utilizzati dalla ‘famiglia’ Escrucería per il trasporto della droga, fu ‘prestato’ all’ex presidente Turbay Ayala durante la campagna elettorale del 1977.

Uno degli esponenti politici più in vista della città atlantica di Barranquilla, Miguel Pinedo Vidal, già congressista per il Magdalena, era figlio del contrabbandiere Pinedo Barros, coinvolto nell’indagine sull’omicidio del direttore del quotidiano ‘El Espectador’, Guillelmo Cano. Nello stesso dipartimento sono stati indiziati di narcotraffico cinque parlamentari, tra cui il deputato Enrique Caballero e il senatore José Ignacio Vives Echeverría, protagonista di accesi interventi parlamentari contro l’estradizione e di poco ortodosse pressioni sui ministri per allegerire i procedimenti contro i maggiori esponenti della droga. Un’indagine congiunta tra la Dea e la polizia colombiana appurò altresì che il maggiore importatore di etere per il processamento di cocaina era un industriale di Barranquilla, Luis Eduardo Orejarena, membro della giunta direttiva della multinazionale petrolifera ‘Shell de Colombia’, e determinante finanziatore delle campagne dei politici locali.

 Carlos Náder, congressista per il dipartimento di Córdoba, fu arrestato e condannato a New York a fine anni ’80, dopo aver tentato di vendere una partita di cocaina ad un agente coperto della Dea. L’ex governatore del dipartimento di Bolivar, Humberto Rodríguez Puentes, era fratello del noto narco ‘Tico’ Rodríguez Puentes, contattato dal governo per ricostruire le antiche mura spagnole della città di Cartagena[38]. Un deputato liberale di Risaralda, il medico Jairo Montoya Escobar, fu arrestato a Bogotá mentre negoziava la vendita di 30 chili di cocaina, mentre su altri due congressisti liberali del Nord di Santander, Jairo Slebi e Felix Salcedo, fu spiccato mandato di cattura (mai eseguito) in Venezuela per un carico di coca rinvenuto in un hotel di Caracas.

In occasione delle elezioni amministrative del 1984, l’allora ministro Rodrigo Lara Bonilla, inviò una nota riservata ai leader dei partiti liberale e conservatore, dove denunciava la presenza di una cinquantina di narcotrafficanti nelle liste dei candidati dei dipartimenti di Guajira, Magdalena, Cesar e Antioquia. Due anni più tardi il ministro Enrique Parejo svelava i legami tra alcuni congressisti neoeletti e i maggiori gruppi criminali del paese: “almeno il 10% dei parlamentari colombiani sono vincolati al traffico di droga, ed un altro 10% riceve appoggio economico da noti narcotrafficanti. Come dire che una cinquantina di congressisti dovrebbero essere interdetti[39].

Nella città amazzonica di Leticia, il boss Evaristo Porras capeggiò la lista del Partito liberale alle elezioni amministrative del 1986, mentre alle elezioni a sindaco dell’88, esponenti politici implicati direttamente nei traffici gestiti da Gonzalo Rodríguez Gacha, ottennero il controllo di cinque governi locali del Magdalena.   Dimostrando un certo pragmatismo, lo stesso Pablo Escobar, alle presidenziali dell’82, preferì puntare politicamente su ambedue i candidati, finanziando la loro campagna elettorale. Per diretta ammissione di Escobar, 370.000 dollari furono consegnati direttamente nelle mani di Ernesto Samper, al tempo responsabile della campagna del candidato Alfonso López Michelsen, in una abitazione dell’Hotel Intercontinental di Medellín. Carlos Ledher, da parte sua, affermò che più di un milione di dollari appartenenti a Pablo Escobar, Rodríguez Gacha e ad altri trafficanti, erano finiti nelle mani dell’avversario Belisario Betancur, che tra l’altro avrebbe utilizzato per gli spostamenti della sua campagna elettorale un elicottero di proprietà dei narcos.

Le accuse contro l’ex presidente Betancur non hanno mai trovato riscontri giudiziari; le cronache tuttavia, lo hanno ritratto in prima fila, accanto ai rappresentanti della migliore società di Antioquia, ai funerali del narcotrafficante Alberto Uribe Sierra, padre del congressista Alvaro Uribe Vélez, candidato alle prossime elezioni presidenziali. Un fratello di Betancur fu coinvolto in Florida nella cosiddetta ‘Operazione Pescespada’ realizzata dalla Dea nell’82, per un ‘prestito’ di 12.000 dollari ricevuto dal trafficante di Bogotá José Hader Alvarez, quest’ultimo al centro di uno scandalo su un finanziamento di grosse somme di denaro a favore dei servizi segreti dell’F-2. Grazie ai legami con esponenti politici di primo piano, Hader Alvarez si assicurò una commessa di imbarcazioni in fibre di vetro per la Polizia nazionale[40].

La crisi di legittimità e di credibilità dello Stato colombiano fu particolarmente evidente in occasione delle elezioni per l’Assemblea costituente, chiamata a riscrivere la legge fondamentale del paese e a risolvere il conflitto con i padrini del narcotraffico protagonisti dell’attacco violento alle istituzioni per sabotare il trattato di estradizione con gli Stati Uniti. Appena il 25% dell’elettorato elesse i 70 congressisti che vararono la nuova costituzione: tra essi i liberali Armando Holguín Sarria, poi arrestato perché destinatario del denaro sporco dei fratelli Rodríguez Orejuela, e Horacio Serpa, indiziato e prosciolto nell’inchiesta sui finanziamenti illeciti a favore della campagna presidenziale di Ernesto Samper; i conservatori Mario Ramírez Arbeláez (coinvolto nei contatti tra il Cartello di Cali e l’entourage elettorale di Samper), Julio Salgado Vásquez, Hernando Londoño ed Augusto Ramírez Ocampo, tre penalisti da sempre impegnati nelle difese di noti narcotrafficanti colombiani. Ramírez Ocampo, in qualità di cancelliere del presidente Belisario Betancur, s’impegnò in una dura battaglia per ottenere dalla Spagna l’estradizione dei boss Jorge Luis Ochoa e Gilberto Rodríguez Orejuela; il suo nome è stato inoltre vincolato al narcotrafficante Camilo Zapata Vásquez.

Nella sentenza del procedimento penale in Florida contro il Cartello di Cali si legge che “all’inizio del 1991 Miguel Rodríguez Orejuela ordinò una serie di pagamenti a favore di membri dell’Assemblea costitutente colombiana, in cambio di un loro voto per respingere qualsiasi articolo che permettesse l’estradizione di cittadini colombiani”. Per uno di essi, il parlamentare Tulio Cuevas Romero, è stato possibile provare il diretto legame con il padrino di Cali: in qualità di presidente della centrale operaia Utc, aveva svenduto il ‘Banco de los Trabajadores’ ai fratelli Rodríguez Orejuela. Per un altro invece, l’ex ministro dell’energia Alvaro Leyva Durán, é stata recentemente avviata un’indagine per presunto ‘arricchimento illecito’, dopo il rinvenimento di un assegno per 50 milioni di dollari giratogli da un’impresa di facciata del Cartello di Cali[41]. Il maggiore avvocato di Pablo Escobar fu invece filmato in una stanza d’albergo mentre offriva 3.200 dollari ad Augusto Ramírez Cardona, eletto all’Assemblea grazie all’appoggio dei paramilitari del Magdalena Medio[42].

Il risultato dell’inedita alleanza trasversale fu l’approvazione a netta maggioranza di un originale articolo costituzionale, che non solo vietava l’estradizione dei cittadini colombiani, ma che disponeva che i cittadini residenti nel paese responsabili di delitti commessi all’estero, venissero giudicati in Colombia. Bisognerà attendere quasi un decennio perché la norma, in palese violazione con i principi del diritto internazionale, venisse modificata dal Congresso.  

  Le cose si sono fatte ancora più pesanti a metà degli anni ’90 e gli interessi convergenti dei trafficanti e dei rappresentanti governativi della borghesia nazionale hanno fatto assumere alla Colombia sempre più l’aspetto di una vera e propria ‘narcodemocrazia’. L’Osservatorio Geopolitico delle Droghe di Parigi, ha segnalato come “le elezioni, il 30 ottobre 1994, dei sindaci e dei governatori danno vita a Pereira, Tulua, La Dorada, così come in numerose altre città e province colombiane, a manovre d’intimidazione e d’infiltrazione da parte delle organizzazioni legate ai narcotrafficanti, che prendono di mira i poteri legali. Questa loro ingerenza nelle elezioni locali e regionali si traduce nella costituzione di veri e propri gruppi parlamentari: nel 1994, infatti, ci furono vari tentativi diretti a far votare quello che la stampa colombiana definì il ‘narcoprogetto’: un insieme di provvedimenti legislativi che avrebbero impedito di sequestrare i beni dei narcotrafficanti, nel caso fossero stati trasferiti a dei prestanome, e che avrebbero messo fine all’anonimato dei giudici (‘giudici senza volto’) nei processi[43]. Un rapporto della polizia del 1996, confermava come per lo meno il 30% dei sindaci colombiani, cioè più di 300, erano stati eletti con l’appoggio diretto dei baroni della droga.

   La forza ‘politica’ del narcotraffico arrivò infine a determinare i vertici istituzionali dello Stato. L’atteggiamento conciliante e il ‘basso profilo’ militare esercitato dagli uomini del cartello di Cali “permise una maggiore accumulazione di capitale e di avanzare in vista dello stadio simbiotico estendendo le sue connessioni con la società regionale e nazionale, sino al punto di impegnarsi direttamente nell’elezione della presidenza della Repubblica[44]. La lunga confessione dell’ex ministro della difesa Fernando Botero (figlio del noto pittore-scultore e direttore generale della campagna presidenziale di Ernesto Samper), agli atti del cosiddetto “procedimento 8.000”, confermava come per l’elezione del candidato fossero stati determinanti i contributi in denaro dei maggiori narcoboss di Cali. Ben 22 sono stati i congressisti coinvolti nell’indagine sugli ‘affari’ di Rodríquez Orejuela[45]; tra i nomi di maggiore spicco, il membro della direzione nazionale del partito liberale, senatore Eduardo Mestre, dirigente del ‘Banco de los Trabajadores’ di proprietà di Gilberto Rodríguez Orejuela, il senatore tolimense Alberto Santofimio, recentemente condannato a quattro anni di carcere per “arricchimento illecito”, e l’ex presidente della Camera dei rappresentanti Alvaro Benedetti Vargas. L’inchiesta ha inoltre accertato che tra i maggiori contribuenti ‘in nero’ della campagna elettorale presidenziale, oltre ai fratelli Rodríguez Orejuela, intervennero importanti gruppi economici nazionali ed internazionali, in particolare il colosso finanziario ‘Bavaria’, prima entità in fatturato della Colombia, e la filiale di Bogotà della ‘British Petroleum’[46].

Nonostante l’epurazione intrapresa negli ultimi due anni da alcuni coraggiosi magistrati, la ‘connection’ mafia-politica continua ad essere un elemento distintivo della incompiuta ‘democrazia’ colombiana. Alle ultime elezioni parlamentari è stato eletto deputato della Camera Luis Javier Castaño Ochoa, due volte condannato negli Stati Uniti nel 1988 per traffico di cocaina e riciclaggio di denaro. Il parlamentare aveva diretto un’”impresa criminale per il lavaggio di più di 59 milioni di dollari del narcotraffico e la distribuzione di cocaina in alcune città degli Stati Uniti”. Castaño Ochoa é stato condannato ad una pena di 33 anni di prigione, di cui solo tre scontati in un centro di detenzione di Miami, grazie ad un insperato provvedimento di condono per “cooperazione giudiziaria” da parte dei giudici della Florida. In molti diffidano sulla reale portata della ‘collaborazione’ che l’odierno deputato avrebbe offerto agli investigatori della Dea. Alcuni detenuti con cui divise la cella del carcere hanno dichiarato sotto giuramento che il colombiano “avrebbe comprato la sua libertà”, grazie all’intermediazione dell’avvocato del Cartello di Cali Joel Rosenthal e di un ex agente dell’Fbi, Bob Levinson. Sul caso sarebbe stata aperta un’indagine negli Stati Uniti[47].

Qualche sospetto è stato sollevato perfino sul passato del presidente Pastrana, vittima nel 1988 di un breve sequestro da parte degli uomini di Pablo Escobar e Gonzalo Rodríguez Gacha. Nel novembre ’93, fu arrestato e condannato a Miami a 33 mesi di prigione il diplomatico Gustavo Enrique Pastrana Gómez, per un’operazione di riciclaggio di denaro sporco attraverso alcune finanziarie statunitensi e di Hong Kong. Secondo due giornalisti argentini alle carte processuali era allegata la copia di una registrazione in cui il diplomatico spiegava ad un interlocutore, che per lavare il denaro aveva utilizzato lo schema “già impiegato per la campagna del proprio cugino Andrés Pastrana”. Solo che di quella registrazione si sarebbero stranamente perse le tracce[48].

 

 

 

La guerra sporca al Cartello di Medellín

Le diverse modalità operative dei rappresentanti dei maggiori cartelli dei primi anni ’90, hanno condotto a differenze sostanziali nella risposta delle istituzioni politiche ed economiche del paese. Mentre si sviluppava la ‘simbiosi’ tra istituzioni e i padrini della droga di Cali, l’attacco violento al cuore dello Stato del Cartello di Medellín (avviato nell’’84 dall’assassinio del ministro della giustizia Rodrigo Lara Bonilla e a cui seguirono gli omicidi di giudici, giornalisti e due candidati presidenziali), scatenò le reazioni della stampa, di alcune fazioni dei partiti tradizionali e dell’amministrazione degli Stati Uniti, preoccupata per un presunto avvicinamento di Pablo Escobar ad alcuni dirigenti del fronte sandinista in Nicaragua. Il governo fu costretto a confrontarsi apertamente contro il Cartello di Medellín, sino all’eliminazione di Pablo Escobar, ormai ingombrante per l’establishment colombiano.

Paradossalmente, la violenta offensiva militare contro i gruppi di Medellín, ha favorito il processo di ‘narcodemocratizzazione’ della Colombia. Per liquidare Escobar fu privilegiata infatti la ‘guerra parallela’ con l’intervento dei corpi di sicurezza a fianco di mercenari di mezzo mondo e dei rappresentanti del Cartello di Cali, e l’immancabile collaborazione di Washington che inviò appositamente in Colombia una ventina di elicotteri, un centinaio di militari della ‘Delta Force’, e speciali apparecchiature per la registrazione telefonica e la rivelazione notturna[49]. Il contributo dei caleñi a favore dei militari colombiani fu ampiamente ripagato. Ad essi fu assicurata l’impunità e la libertà di azione per conseguire il monopolio nel processamento e l’esportazione di cocaina, accelerando il processo di ristrutturazione regionale del circuito della droga e il trasferimento delle coltivazioni dal Perú alla Colombia. Gli Stati Uniti perdettero invece l’ennesimo appuntamento con la storia per dimostrare un minimo di coerenza nella lotta alla droga.

  Diversi i fatti di cronaca che hanno confermato la portata della ‘guerra sporca’ contro gli uomini di Medellín. Grazie alla complicità dei servizi colombiani, ad esempio, fu contattato per eliminare Pablo Escobar un commando di mercenari inglesi guidato da Peter Mc Aleese, Dave Tomkins, Alex Lennox e Geffrey Adams[50]. Il 3 giugno ‘89, un elicottero Hugues appartenente ad un’impresa privata e camuffato con le insegne della polizia, precipitò in una zona montuosa del municipio di Sonsón (Antioquia). Nell’incidente moriva il tenente del dipartimento della polizia metropolitana di Cali Gustavo González Giraldo, figlio del generale Gustavo González Puerto, allontanato dall’esercito per un presunto legame con il Cartello di Cali. La tragedia permise agli inquirenti di individuare un accampamento per una cinquantina di uomini, in cui erano state nascoste tende militari e buste di esplosivo liquido di uso esclusivo del Pentagono, proiettili e granate da mortaio, più alcune mappe del Magdalena Medio in cui erano segnalate le aziende di proprietà dei boss Pablo Escobar e Gonzalo Rodríguez Gacha. L’inchiesta appurò che l’incidente all’Hugues aveva impedito la realizzazione di un’”operazione pazientemente pianificata dal Cartello di Cali con mercenari britannici e nordamericani per assassinare Escobar e Rodríguez Gacha, che all’epoca si nascondevano e si spostavano nella regione. E per portare a termine il piano, la Cia, collaborava con due agenti che aveva insediato a Medellín[51]. Un anno e mezzo più tardi, l’11 agosto ’90, una pattuglia dell’esercito scoprì un gruppo di incappucciati della Dijín, il servizio segreto della polizia colombiana, che stava per fucilare in un campo di calcio di un quartiere marginale di Medellín, una quindicina di giovani sequestrati con l’accusa di essere vicini al cartello dominante nella città[52]. E negli stessi giorni un’altra pattuglia dell’esercito individuava alcuni agenti della polizia dotati di elicotteri in una fattoria di proprietà di Ivan Urdinola, boss dell’eroina legato al Cartello di Cali, sospettato insieme ad alti ufficiali colombiani di essere tra i responsabili di alcuni massacri di contadini. L’unità della polizia era impegnata in un’operazione d’individuazione dei nascondigli dei narcos di Medellín. 

  Il Pentagono ed i servizi segreti statunitensi non si limitarono a fornire consulenza ed intelligence alle operazioni parallele contro Escobar e soci. Agenti coperti della Dea s’infiltrarono ripetutamente tra gli uomini dei cartelli in operazioni ambigue e spregiudicate. Nel 1987, l’agenzia antidroga degli Stati Uniti varò un programma speciale denominato 'Seo' (Special Enforcement Operations) che pianificò due operazioni internazionali di infiltrazione contro i narcos di Medellín e Cali, la 'Operación Bolivar' e la 'Operación Calico'. A conclusione dell’operazione contro i laboratori di coca insediati nella cosiddetta regione di 'Tranquilandia', fu rivelato che l’intercettazione era avvenuta grazie ad alcune emittenti poste sui carichi di etere venduti dagli agenti della Dea agli uomini di Jorge Ochoa.

Collaboratori dell’agenzia antidroga ed alcuni elicotteri del Comando Sud di stanza a Panama parteciparono all’operazione che portò all’arresto e alla morte di Rodríguez Gacha, un’azione direttamente pianificata dal maggiore della Us Army Arnaldo Claudio, consigliere militare delle forze di sicurezza colombiane dal 1986 al 1990 ed autore di numerosi articoli sulle relazioni Usa-Colombia nelle prestigiosa rivista ‘Military Review’[53].

Il maggiore Claudio è certamente una delle figure più ambigue nella storia delle relazioni Usa-Colombia; considerato un ‘doppio agente’ della Dea e della Cia, ha partecipato direttamente alla cattura del dittatore Manuel Noriega a Panama. Durante la sua lunga missione di comandante militare degli Stati Uniti in Colombia, Arnaldo Claudio ha operato presso il Cantón Norte delle forze militari colombiane a Usaquén e temporaneamente presso le installazioni del battaglione comunicazioni di Facatativá, nella parte occidentale di Bogotá. Da lui dipendevano le ‘Fuerzas Especiales Antiterroristas Urbanas (FEAU)’, protagoniste di una serie di sanguinose operazioni clandestine, come il massacro dell’edificio ‘Altos del Portal’, il 5 luglio dell’89, in cui furono uccisi diversi membri del gruppo criminale legato agli smeralderi Victor Carranza e Gilberto Molina, dopo che si erano arresi al blitz delle teste di cuoio colombiane.  L’inchiesta giudiziaria provò che il massacro del Portal fu il regalo di importanti settori delle forze armate al narcotrafficante Rodríquez Gacha in aperto conflitto con i due boss del contrabbando di pietre preziose. Il procedimento si concluse con la condanna dei capitani Gustavo Oswaldo Rojas e Jorge Milton Coy, dei sottufficiali Luis Alfonso Gómez Pérez, Orlando Martinez, Jimmy Molina, Raul Orlando Peña e Ottilio Velásquez. Secondo l’accusa, come premio per la strage, furono consegnati ai militari 1.050 smeraldi, 990 mila pesos e una quantità di dollari non specificata. La misteriosa morte di Gacha durante un blitz successivo, potrebbe essere stata ‘giustificata’ dalla necessità di eliminare uno dei maggiori testimoni del legame tra forze armate e narcos.

Durante il processo per il massacro del Portal, alcuni imputati confermarono il ruolo prettamente ‘politico-militare’ delle ‘Fuerzas Especiales Antiterroristas’. “Ci avete dato l’ordine di assassinare quelli della Unión Patriótica, tra cui Pedro Nel Jiménez”, affermò durante la propria deposizione il capitano Milton Coy, già membro del gruppo di ufficiali colombiani prescelto dal maggiore Claudio per costituire le forze speciali antiterroriste. Il leader di sinistra Pedro Nel Jiménez, era stato assassinato da due sicari l’1 settembre 1986 a Villavicencio un paio di giorni dopo l’omicidio del parlamentare Leonardo Posada. Entrambi comparivano in una lista di undici politici che era stata intercettata ad un gruppo paramilitare che operava negli Llanos Orientali in coordinazione con l’esercito. La liquidazione dei membri della Unión Patriótica era stata pianificata dal colonnello Oscar Meléndez, comandante del battaglione ‘Serviez’, a cui l’organizzazione di sinistra imputava la direzione delle operazioni paramilitari. Melendez fu successivamente degradato, ma dopo l’ingresso nelle file del partito liberale, fu eletto consigliere nel dipartimento di Cundinamarca[54].

  La ‘guerra clandestina’ al Cartello di Medellín è stata forse l’esempio più evidente del comportamento “oscillante” della politica nordamericana nei confronti dei narcos colombiani. Per spiegare le motivazioni che sottendono all’atteggiamento di favore, almeno sino al ’95, che le agenzie militari hanno rivolto all’organizzazione di Cali è però necessario inquadrare geostrategicamente la questione. Come sottolineato dagli studiosi Umberto Santino e Giovanni La Fiura, gli Stati Uniti hanno dovuto riconoscere il ruolo svolto dagli uomini di Cali “nella repressione delle forze di sinistra colombiane”, e l’importanza degli imponenti capitali accumulati dal Cartello, “che contribuiscono in poco tempo a fare di Miami la seconda piazza finanziaria degli Usa dopo New York” e a finanziare i ‘contras’, alleati degli Stati Uniti contro la breve esperienza del fronte sandinista in Nicaragua[55].

 

 

Ipocrisie Usa sulla ‘lotta alla coca’

La vicenda ‘Iran-contras’, sulle operazioni segrete avviate dal capitano Oliver North per ottenere la liberazione degli ostaggi statunitensi, prigionieri del governo iraniano, in cambio di forniture di armi a Teheran e di denaro ed armi alle forze antisandiniste nel paese centroamericano, è la prova più eclatante della ‘doppia politica’ nordamericana in tema di lotta al narcotraffico. La vicenda infatti, come documentato dal ‘Rapporto Kerry’, pubblicato nel 1989  dalla Commissione d’inchiesta del governo degli Stati Uniti, potrebbe essere più propriamente definita come ‘scandalo coca-gate’. Con la copertura di aiuti umanitari alle forze antisandiniste, si sviluppò infatti un vasto traffico di droga ed armi che coinvolgeva Bahamas, Cuba, Nicaragua, Haiti, Honduras, Costa Rica, Panama e Colombia. La cocaina, acquistata dal Cartello di Medellín, veniva poi trasferita negli Stati Uniti dopo uno scalo nella postazione della contras nicaraguense, coordinata dall’agente Cia John Hull. I carichi viaggiavano a bordo di un Dc-3 di proprietà del narcotrafficante Jorge Luis Ochoa, che operava sulla rotta Barranquilla-Miami con le insegne della compagnia nordamericana ‘Southern Airlines’. Lo stesso Ochoa si serviva contemporaneamente di velivoli dell’aeronautica militare colombiana per il trasferimento di cocaina in Spagna. L’inchiesta del Congresso ha provato che l’organizzazione dei traffici era stata demandata alla Cia che contestualmente forniva consiglieri e supporto logistico alla ‘guerra sucia’ dei servizi segreti guatemaltechi e salvadoregni, mentre la Dea sceglieva di non intervenire contro la rete dei narcotrafficanti e di ridurre le proprie operazioni in Centro America. L’agenzia antidroga, nel 1983, arrivò a chiudere il proprio ufficio in Guatemala, “paese che diventava sempre più importante nel traffico della cocaina che finanziava le operazioni antisandiniste[56].

   L’agente Celerino Castillo, che al tempo lavorava per la Dea nell’area centroamericana, ha rivelato all'autorità giudiziaria di Washington che la coca proveniente dalla Colombia finiva “negli hangar dell’aeroporto di Ilopango, una delle basi della contras in El Salvador, ed era poi trasportata negli Usa da piloti che godevano della protezione governativa”. Alcuni carichi di droga sarebbero giunti direttamente in alcune basi militari della Florida. Tra i piloti, Castillo ricorda il trafficante di droga ed armi William Brasher, che godeva “di credenziali della Cia e dell’Fbi e la sua jeep era intestata all’ambasciata Usa in Salvador”. Secondo quanto appurato dalla ‘commissione Kerry’, William Brasher “era un uomo del colonnello Oliver North”. E’ stato altresì appurato che negli Stati Uniti la cocaina e il micidiale ‘crack’ finivano nelle mani dei gruppi criminali di Los Angeles che versavano in cambio milioni di dollari al colonnello Enrique Bermúdez, comandante militare della guerriglia antisandinista, e fino al suo assassinio nel 1991, “sul libro paga della Cia[57].

  Un ruolo centrale per i trasferimenti di armi in Nicaragua è stato svolto da una serie di trafficanti di armi ed agenti dei servizi segreti israeliani, ed in particolare da Mike Harari, legato al generale Noriega, già a capo delle operazioni di uno speciale gruppo segreto attivato dal Mossad per liquidare l'organizzazione terroristica palestinese di 'Settembre nero'. In accordo con il direttore Cia per l'America Latina Duane Clarridge e con il consigliere per la sicurezza nazionale del vicepresidente Bush, Donald Gregg, Harari comprò armi in Polonia e Cecoslovacchia per 20 milioni di dollari. Esse furono poi trasferite a Panama e alle basi contras in Honduras e Costa Rica. Mike Harari assicurò armi per 500 milioni di dollari allo stesso regime di Manuel Noriega, mediandone altresì i traffici di cocaina con la Colombia.

  A Città del Guatemala operarono invece il rappresentante delle ‘Industrie Militari Israeliane’ Pesakh Ben Or e il ‘socio’ David Marcus Katz, principale fornitore dei generali onduregni, del dittatore Anastasio Somoza e di alcune organizzazioni di estrema destra di coloni israeliani insediatisi a Gaza e in Cisgiordania. La società ‘Sherwood International’, di proprietà di Ben Or, è stata utilizzata dalla Cia per trasferire ai contras armi acquistate nei paesi dell’est europeo[58]. Lo stesso Ben Or avrebbe fatto da intermediario con i ‘consiglieri’ israeliani, tra cui l’altro trafficante Mike Harari, giunti in Colombia nell’89 per addestrare paramilitari e sicari dei cartelli della coca.

   La ‘israelo-connection’ ebbe infine una testa di ponte in Honduras, l'ex colonnello Leo Gleser, fondatore della ‘Isds’ (International Security and Defense System), importante industria d’armi che contava sulle ‘consulenze’ dell’agente Cia Felix Rodríguez, e che presso la base delle forze speciali di Tamara, Tegucigalpa, coordinava l'addestramento degli 'squadroni della morte' di mezzo centroamerica. Sempre in Honduras, la rete del capitano Noth aveva ingaggiato il maggiore trafficante di cocaina locale, Ramon Matta Ballesteros[59].

  I traffici di armi e droga si intrecciarono con le operazioni di riciclaggio a favore dei narcos colombiani della ‘Bcci’ (Bank of Credit and Commerce International), l’istituto finanziario di proprietà di imprenditori del Pakistan e dell’emirato arabo di Abu Dhabi, con sedi sparse in tutto il mondo. La ‘Bcci’ è stata utilizzata per anni per le operazioni clandestine della Cia, che contava su un proprio informatore all’interno dell’istituto, l’ex capo dei servizi segreti sauditi Kamal Adham, addestrato presso la base di intelligence di Langley (Virginia). La filiale di Panama in particolare, fu al centro delle triangolazioni armi-droga che la Cia realizzò a favore delle dittature centroamericane. L’uomo chiave di questa ‘guerra occulta’, fu per anni il presidente-colonnello Manuel Antonio Noriega, poi ‘deposto’ manu militari dagli stessi Stati Uniti. Noriega fu reclutato dalla Cia quando era cadetto presso la Scuola militare di Chorillos, Perù; come ‘informatore’ del Dipartimento di stato, seguì tutte le più importanti operazioni politico-militari ed economiche che si svilupparono a Panama, compreso l’insediamento nell’aprile del 1980 della prima filiale centroamericana della ‘Bcci’ nei locali di una società del finanziere Carlos Duque, legato ai massimi vertici delle forze armate panamensi. Lo stesso direttore della ‘Bcci’ offrì più volte il proprio jet personale al colonnello Noriega per visitare i paesi centroamericani e gli Stati Uniti e sostenne finanziariamente l’acquisto di elicotteri ed aerei per le forze armate e la Presidenza di Panama[60].

  Uomini e filiali della ‘Bcci’ gestirono contestualmente importanti traffici di armi o di materiale nucleare, a favore dei tradizionali ‘nemici’ degli Stati Uniti. La ‘doppia politica’ di Washington in materia di lotta al terrorismo e al narcotraffico, fece sì che nel 1984, quando la Cia stilò un rapporto sui legami tra la ‘Bcci’ e le fazioni terroristiche palestinesi, la Casa Bianca decise di non intervenire per non incrinare la relazione con una banca strategica nel finanziamento delle operazioni coperte in Centro America[61]. Identico l’atteggiamento adottato dagli Stati Uniti quando nell’84, l’istituto acquistò un’importante banca colombiana in odor di riciclaggio di capitali mafiosi, il ‘Banco Mercantile’. Trasformata nel ‘Banco de Credito y Comercio de Colombia’, l’istituto moltiplicò i propri sportelli nel triangolo Medellín-Itaguí-Envigado e avviò, grazie alla collaborazione di importanti settori finanziari e governativi, sospette relazioni con quasi tutti i maggiori istituti di credito del paese.

   Gli sportelli della ‘Bcci’ avviati a Panama, in Colombia e a Trampa (Florida) servirono a far transitare gli immensi capitali accumulati dai cartelli del narcotraffico e in particolare curarono le transazioni di Pablo Escobar, dei fratelli Jorge e Fabio Ochoa, del boss di Pereira Jaime Vallejo e di Gonzalo Rodríguez Gacha. Dietro la ‘Bcci’ avrebbe operato il gruppo di trafficanti d’armi israeliani vicini al colonnello Yair Klein, che dall’isola di Antigua, trasferirono sistemi bellici e munizioni a favore dei narcos colombiani. Secondo José Blandón Castillo, militare legato agli uomini del Cartello di Cali ed ex collaboratore di Manuel Noriega, il dittatore di Panama riceveva una percentuale, tra lo 0,5 e l'1%, su ogni dollaro del narcotraffico che si lavava nelle banche presenti nel paese. Sempre a Noriega il Cartello di Medellín aveva versato cinque milioni di dollari in cambio dell’autorizzazione ad installare alcuni laboratori per il processamento della coca nella selva del Tapón del Darén al confine con la Colombia[62].

   L’amministrazione Reagan era a conoscenza dell’implicazione delle forze armate panamensi nei traffici di droga sin dai primi anni ’80 grazie ad un rapporto sul riciclaggio di denaro sporco presentato dal Senato (“The Cash Connection, Organized Crime, Financial Institutions and Money Laundering”). La scelta fu tuttavia quella di continuare a sostenere Noriega, pedina chiave della strategia antiguerriglie in Nicaragua, Salvador e Guatemala. Dopo un viaggio negli Usa con un aereo di proprietà del trafficante di droga Steven Michael Kalish che operava tra Barranquilla e Miami, l’uomo forte di Panama accettò l’invito di Ronald Reagan ad aprire le banche nazionali agli investimenti nordamericani e a collaborare più apertamente nella lotta contro il sandinismo. Noriega autorizzò la Cia ad installare  a Panama una potente stazione per il rilevamento elettronico e concesse l’uso del territorio nazionale al Comando Sud degli Stati Uniti per l’addestramento dei gruppi armati antisandinisti. I ‘berretti verdi’ s’installarono nel paese in numero nettamente maggiore a quello previsto dall’accordo bilaterale sul Canale di Panama. La totale fedeltà agli interessi strategici degli Stati Uniti fu premiata con elogi e riconoscimenti pubblici. Nel maggio ’86, l’allora responsabile della Dea John Lawn, espresse “profondo apprezzamento per la vigorosa politica antidroga adottata” dal presidente panamense[63]. Quattro mesi più tardi, il colonnello Oliver North, con l’approvazione dell’allora segretario di stato George Shultz, si riunì segretamente a Londra con il dittatore per discutere un piano d’intervento militare contro il sandinismo, poi abbandonato a seguito dello scoppio dell’‘Irangate’.

   La ‘doppia politica’ di Washington in tema di lotta alla coca è proseguita anche dopo l’intervento militare a Panama: al posto dell’ex alleato Noriega, furono insediati alla presidenza Guillelmo Endara e alla vicepresidenza Guillelmo Ford, entrambi direttori di istituti bancari utilizzati dai cartelli colombiani e dalla mafia statunitense per il lavaggio dei narcodollari. In particolare Guillelmo Ford era il maggiore azionista della ‘Dadeland Bank’ della Florida, coinvolta in una grossa operazione di riciclaggio diretta dal boss colombiano Gonzalo Mora. Uno dei più fidati consiglieri di Endara, l’uomo d’affari Carlos Eleta, venne arrestato nel ’91 negli Stati Uniti per un traffico di oltre 600 chili di cocaina. Lo stesso Procuratore generale post-Noriega, Rogelio Cruz, era stato direttore della ‘Fist Interamericas Bank’, l’istituto bancario del padrino di Cali Gilberto Rodríguez Orejuela, con cui la ‘Bcci’ aveva operato sui mercati centroamericani sin dal suo arrivo nel Canale[64]. Attraverso questo istituto bancario erano transitati 46 milioni di dollari del narcotraffico a favore della filiale di New York del ‘Banco Cafetero’, l’istituto colombiano già utilizzato da Licio Gelli e Michele Sindona per ripulire il denaro del gruppo P2. Nell’indagine fu implicato il fratello dell’altro vice di Endara, Arias Calderón. Lo stesso presidente ha dovuto ammettere il possesso del 20% del pacchetto azionario del ‘Banco Interoceanico’, commissariato dalle autorità panamensi per le attività di riciclaggio[65].

 

 

Aiuti Usa contro i diritti umani

Il personale militare U.S.A. in Colombia, continuerà ad operare, in attività di addestramento. In nessuna circostanza i militari Usa parteciperanno o accompagneranno le forze colombiane impegnate in operazioni di ogni sorta.  Il sostegno Usa continuerà ad essere sottoposto alla verifica del rispetto dei diritti umani da parte del Dipartimento di stato, settore in cui le forze armate colombiane hanno ottenuto significativi risultati”[66]. E’ sufficiente questo impegno assunto dall’ex vicesegretario Thomas Pickering per fugare i dubbi di coloro (in prima fila le maggiori organizzazioni internazionali per i diritti umani) che ipotizzano che il ‘Plan Colombia’ violi apertamente l’emendamento Leahy del 1996 che proibisce di “destinare gli ‘aiuti’ ad unità militari di un paese straniero, se il segretario di Stato ritiene credibile che esse abbiano commesso gravi violazioni dei diritti umani”?

   Dato l’esito del voto a favore dell’ingente pacchetto di aiuti militari alla Colombia, è evidente che i congressisti degli Stati Uniti, democratici e repubblicani, hanno creduto pienamente agli apprezzamenti dell’amministrazione Clinton a favore delle forze armate e del governo di Bogotà. “Negli ultimi due anni – ha commentato soddisfatto il vicesegretario della difesa Brian Sheridan - i tribunali civili hanno processato 240 membri delle forze armate e della polizia per violazioni dei diritti umani, il governo ha intrapreso importanti passi nell’allontanare ufficiali superiori e della polizia coinvolti in esse, tra cui tre generali, come il comandante Bravo per la sua incapacità a prevenire i massacri dei gruppi di estrema destra a La Gabarra e Tibú nell’agosto ’99[67]. In quei giorni un gruppo di 300 uomini appartenenti alle ‘Autodefensas Unidas de Colombia’ (Auc) dirette da Carlos Castaño, aveva seminato il terrore nella regione del Cacatumbo, un’area strategica per le vaste coltivazioni di coca, l’estrazione petrolifera e la vicinanza con il Venezuela. Dopo aver attraversato impunemente un ‘check-point’ controllato dalla forze armate colombiane, i paramilitari erano entrati nel villaggio di La Gabarra per assassinare ventitre campesinos. Il governo inviò nella zona il battaglione ‘Héroes de Saraguro’ per proteggere la popolazione da altre incursioni, ma dall’8 luglio sino al 21 agosto, le Auc, perpetuarono una serie di nuovi massacri nei centri urbani di Tibú e La Gabarra con la morte di oltre cinquanta uomini e la sparizione di altri trenta. Oltre 7.600 abitanti furono costretti a rifugiarsi nel vicino Venezuela e nelle città colombiane di Cúcuta e Puerto Santander[68]. Lo scandaloso comportamento omissivo delle autorità militari ha convinto il presidente Pastrana a decretare la sospensione dalle proprie funzioni del comandante della 5^ brigata Alberto Bravo, del comandante della polizia del Nord di Santander Julio Sánchez Holguin e del direttore regionale del Das Aimer Muñoz.

   Sono assai significative le decisioni del ministro della difesa di Bogotá” ha aggiunto il vicesegretario Brian Sheridan “di revocare dalle loro funzioni i generali Millán e Del Río a causa delle loro relazioni con le organizzazioni paramilitari e ad ordinare gli arresti del generale Uscátegui e del colonnello Sánchez Oviedo per un loro presunto coinvolgimento nel massacro avvenuto a Mapiripán nel 1997”. Nessuna assistenza Usa è stata fornita a quelle unità militari di cui sospettiamo fortemente il coinvolgimento nella commissione di gravi violazioni dei diritti umani” ha concluso la sua audizione il vicesegretario Sheridan. “Tutte le unità militari colombiane che ricevono assistenza antinarcotici sono attentamente monitorate dall’Ambasciata e dal Dipartimento di stato[69].

  Il Pentagono ha fornito una prima lista delle unità dell’esercito a cui è stata fornita assistenza diretta: il Comando speciale orientale di stanza a Puerto Carreño (dipartimento di Vichada); la 24^ brigata di Mocoa (Putumayo); la 12^ brigata di Florencia (Caquetá); le due brigate mobili delle Forze speciali e dell’Aviazione dell’esercito. Ad esse si è aggiunta recentemente la Scuola per le Forze speciali dell’isola di Barrancón, nei pressi di San José del Guaviare. Per altre tre brigate di cui era stata richiesta l’assistenza dal governo colombiano (la 3^ brigata di Cali, la 7^ di Villavicencio, Meta, e la 2^ brigata mobile), è stato deciso di soprassedere “sulla base dei precedenti in materia di violazioni e per l’assenza di ‘misure reali’ per consegnare alla giustizia i responsabili di queste azioni[70].  

  Washington nega di aver mai fornito assistenza a reparti implicati in crimini contro le popolazioni civili o colluse con le operazioni paramilitari, ma proprio la vicenda del villaggio sudorientale di Mapiripán, citata da Brian Sheridan per sottolineare i “passi in avanti” delle forze armate colombiane in tema di diritti umani, ha smentito clamorosamente le dichiarazioni degli uomini del Pentagono. A Mapiripán, al centro di una regione che produce quasi il 30% della coca mondiale, nel luglio del 1997 furono assassinati cinquanta civili durante una vasta operazione condotta da un gruppo paramilitare che, secondo la Procura colombiana, era diretto dal colonnello dell'esercito Lino Sánchez e dal leader delle forze paramilitari di destra Carlos Castaño. Sánchez, arrestato insieme ad altri due ufficiali, comandava la 2^ brigata mobile, che proprio alla vigilia del massacro era stata addestrata dalle forze Usa in una base fluviale a circa 80 chilometri da Mapiripán[71].

  Nello specifico i soldati Usa del 7° Gruppo delle forze speciali di Fort Bragg, avevano curato l’addestramento delle truppe colombiane presso la ‘Scuola’ di Barrancón e nel vicino scalo aereo di San José del Guaviare, dove gli Stati Uniti hanno installato un radar per l’appoggio tattico. Proprio in questa base aerea, secondo i magistrati, furono alloggiati i narcoparamilitari durante il loro trasferimento a Mapiripán, nel luglio del ‘97. Il Pentagono ha tentato in tutti i modi di smentire che in quella data i ‘berretti verdi’ risiedessero ancora a San José del Guaviare. Secondo Brian Sheridan, i militari nordamericani avevano concluso il loro addestramento il 23 giugno, per riprenderlo il 18 agosto sino al successivo 18 settembre. Alcuni documenti rinvenuti presso il Dipartimento della difesa hanno però rivelato che le forze speciali statunitensi risiedettero ininterrottamente nel Guaviare dal 14 maggio al settembre del 1997 per partecipare a “nove esercitazioni congiunte con i militari colombiani”. Inoltre, proprio nei giorni compresi dal 20 al 22 luglio, quelli in cui fu perpetuato il massacro a Mapiripán, il personale militare Usa partecipava a Barrancón ad una cerimonia  di fine corso dei cadetti colombiani.

  Appositamente interrogati, i militari statunitensi hanno dichiarato di non aver visto attività inusuali attorno alle basi di San José e Barrancón nei giorni precedenti la strage. L’inchiesta della Procura generale colombiana ha tuttavia accertato che il 12 luglio, due aerei civili, un Antonov ed un Dc-3, erano atterrati a San José e che da essi erano scesi “quindici paramilitari del gruppo di Castaño, armati con maceti e coltelli, mentre venivano scaricati diverse tonnellate di provviste e volantini indirizzati alla ‘popolazione del Guaviare’ in cui si ordinava di cessare ogni cooperazione con la guerriglia[72]. I paramilitari furono raggiunti nello scalo militare da altri uomini armati e successivamente, con gli stessi velivoli, si diressero verso Mapiripán. Sempre secondo la Procura, altri paramilitari attraversarono il río Guaviare con delle imbarcazioni veloci per raggiungere una base d'emergenza della fanteria di marina colombiana, nei pressi di Barrancón, “realizzata dal genio della Us Navy nel ‘94, e dove la marina statunitense continua ad addestrare le unità colombiane”. Le forze paramilitari operarono indisturbate nel villaggio di Mapiripán dal 15 al 20 luglio, giorno in cui il Comitato internazionale della Croce Rossa riuscì ad inviare un aereo con propri monitor.

  In seguito alle prove raccolte, sono stati rinviati a giudizio i colonnelli Lino Sánchez e Carlos Ávila e gli ufficiali Arbey García, Miller Uruena, Leonardo Montoya e Juan Carlos Gamarra, tutti membri della 4^ divisione dell’esercito. L’allora comandante della divisione, generale Humberto Uscátegui, è stato rimesso alla giustizia militare insieme al colonnello Hernán Orozco, per falso in atto publico ed “omissione di fronte ai delitti di omicidio e sequestro aggravato”. Su Uscátegui sono in corso altri procedimenti penali, sempre per ‘atteggiamenti omissivi’ e ‘gravi negligenze’. Il generale risulta indagato per non essere intervenuto a difesa della popolazione di Puerto Alvira (Meta) il 4 maggio del ’98, quando i ‘paramilitari’ delle ‘Autodefensas Unidas de Colombia’ (Auc) sequestrarono, assassinarono e bruciarono ventidue persone. Per questo massacro, insieme ad Uscátegui, sono indagati altri ufficiali dell’esercito colombiano, il comandante della 3^ divisione di Cali Jaime Humberto Cortés, il comandante della 2^ brigata di Barranquilla Freddy Padilla de León, il nuovo comandante della 4^ divisione Agustín Ardila e l’allora capo del battaglione ‘Joaquín París’, Lino Sánchez, il colonnello accusato di aver autorizzato l’atterraggio dei paramilitari a San José del Guaviare alla vigilia del massacro di Mapiripán. Il generale Humberto Uscátegui dovrà altresì rispondere di quanto accaduto il 3 ottobre ’97, quando una commissione d’inchiesta fu attaccata dai narcos a San Carlos de Guaroa, dopo aver individuato un laboratorio per il processamento della coca. A seguito dell’incursione furono assassinate undici persone[73].

L’amministrazione Usa è perfettamente consapevole della gravità della situazione colombiana e del coinvolgimento delle forze di sicurezza locali nei massacri paramilitari. Nel ’97 il Dipartimento di stato ha descritto le forze armate come “uno dei principali agenti della violazione dei diritti umani in Colombia, sia nella loro azione diretta che attraverso i suoi vincoli con gruppi 'paramilitari'”; inoltre ha evidenziato il “livello generale di impunità del paese nel 97% dei casi, favorito dalla particolare giurisdizione speciale di cui godono i militari[74].

Ancora più espliciti gli ultimi due rapporti presentati proprio dal Dipartimento di stato sulla condizione dei diritti umani in Colombia. “Unitá delle forze armate e di sicurezza colombiane hanno una lunga storia di gravi abusi dei diritti umani, inclusa l’attivitá di squadroni della morte, principalmente finalizzati contro i gruppi insorgenti di sinistra. Nel 1989 e 1990, gruppi paramilitari colombiani  massacrarono 107 persone nell’area attorno a Trujillo”. La strage, ma questo il Dipartimento non lo ricorda, fu scatenata per ‘liquidare’ ogni opposizione sociale contro l’acquisizione da parte del cartello di Cali delle migliori terre locali da cui erano stati espulsi con la forza numerosi piccoli produttori e contadini. “Nel 1995 – prosegue il rapporto - il governo ammise che l’esercito e la polizia colombiana erano a conoscenza del massacro, ma non fecero nulla…”. Sempre secondo il Dipartimento di stato, nel 1996 ci sarebbero stati 54 omicidi extragiudiziari effettuati dalle forze di sicurezza, e “l’Avvocato generale colombiano per i diritti umani ha fatto riferimento ad inchieste su 462 casi di tortura commessi dalla polizia, dal Das, dall’esercito, da agenti penitenziari, nel periodo compreso tra il giugno 1995 e l’ottobre 1996”.

Dati precedenti all’era Pastrana? Si legge nel rapporto del Dipartimento presentato nel febbraio 2000: “L’impegno del Governo in materia di diritti umani continua ad essere povero”. “Le forze di sicurezza, i gruppi paramilitari, la guerriglia e i narcotrafficanti, continuano a commettere gravi abusi, incluse esecuzioni extragiudiziarie e torture. (…) I paramilitari, responsabili di numerose stragi dispongono di una base di appoggio tra militari e poliziotti, così come tra la classe dominante a livello locale in certe regioni”. Il rapporto successivo (febbraio 2001) segnala altresí come “ci siano stati accordi taciti tra i comandanti militari e le forze paramilitari che operano liberamente in alcune regioni sotto il controllo dell’Esercito”. Tra le 418 persone arrestate nel ’98 perché legate ad attività paramilitari, compaiono i nomi di 82 appartenenti alla forza pubblica e l’Alto Commissariato Onu per i diritti umani ha denunciato che le violente operazioni aeree effettuate dai gruppi delle ‘autodefensas’ nel Sud di Bolivar nel novembre dello stesso anno sono “incomprensibili” in una zona sottoposta al controllo dello spazio aereo da parte delle forze armate colombiane. “In Colombia - prosegue l’ultimo rapporto del Dipartimento di Stato - sono attualmente in corso indagini su 303 crimini presumibilmente commessi da militari e poliziotti, tra cui molti ufficiali, tanto come delitti politici che comuni. Tuttavia nei casi in cui si è giunta alla condanna di militari per violazioni dei diritti umani, la maggioranza di essi non sono stati incarcerati, ma confinati in basi militari o centri di detenzione della polizia[75].

In tutto il paese – conclude il Dipartimento di Stato – i paramilitari hanno assassinato, torturato e minacciato i civili sospettati di simpatizzare per la guerriglia in una campagna orchestrata per fronteggiare le Farc e l’Eln per il controllo delle coltivazioni di coca in aree strategiche”. La consapevolezza dell’amministrazione Clinton sui crimini paramilitari non è stata tuttavia sufficiente a includere formalmente questi gruppi nella lista dei ‘terroristi internazionali’ nemici del governo Usa, dove invece compaiono Farc ed Eln. “Secondo la legge statunitense – ha spiegato Phil Chicola, responsabile dell’Ufficio andino del Dipartimento di Stato durante l’amministrazione Clinton – questi gruppi devono commettere azioni che vadano contro gli interessi nazionali degli Stati Uniti per poterli includere nella lista. Fortunatamente, i paramilitari non hanno commesso nessun crimine, non hanno sequestrato, non hanno assassinato, né hanno attaccato infrastrutture economiche che appartengono a stranieri in Colombia”. Chicola ha infine invitato il governo colombiano ad avviare il dialogo con questi gruppi. “I paramilitari sono attori reali nella crisi colombiana e il governo e la societá colombiana devono cercare di conseguire una soluzione unitaria e tenere in conto l’esistenza di questo gruppo armato[76]. Una conferma ufficiale che il terrorismo paramilitare agisce in sintonia con gli obiettivi geostrategici Usa nei Caraibi.

 

 

 

 

Ancora menzogne ed omissioni

Peccato che lo stesso Dipartimento di stato abbia omesso dai suoi ultimi rapporti ogni riferimento alle sempre più numerose inchieste giudiziarie sul coinvolgimento di alti ufficiali delle forze armate colombiane nel traffico internazionale della droga. Tra i casi più eclatanti l’arresto nel novembre del ‘98, di cinque ufficiali dell’aeronautica colombiana, tra cui il maggiore Gonzalo Alberto Noguera ed il capitano Juan Ricardo Ruiz Ramírez, accusati di aver trasportato a Miami in un Hercules 1005 de la Fac (Fuerza aerea de Colombia) ben 415 chili di cocaina e 6 di eroina[77].  Nel novembre ’99, nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio del leader conservatore Alvaro Gómez Hurtago, che ha visto il rinvio a giudizio del colonnello Bernardo Ruiz Silva, ex comandante della 20^ brigata dell’esercito, sono stati raccoli indizi “di arricchimento illecito e relazioni con il Cartello di Cali” contro il generale Ivan Ramírez. L’inchiesta ha svelato però altri inquietanti particolari. Nell’abitazione di Gómez Hurtago sono stati rinvenuti documenti sulla preparazione di un golpe militare in Colombia nei mesi ‘caldi’ della crisi Samper, alcuni a firma del generale Ramírez. Al momento dell’omicidio, Ivan Ramírez ricopriva la carica di direttore del Dipartimento D-2 dei servizi segreti, che operava in stretto contatto con un gruppo occulto di spionaggio, il cosiddetto ‘Nucleo Cazadores’, responsabile della sparizione e dell’omicidio di alcuni leader politici di opposizione[78]. Secondo il ‘Washington Post’, il generale Ramírez, sino alla metà del ’99 “è stato una fonte chiave d’intelligence per gli Stati Uniti ed ha fatto da informatore retribuito per la Cia, nonostante mantenesse stretti legami con i gruppi paramilitari di estrema destra che finanziavano le loro attività con il traffico di droga"[79].

Il coinvolgimento di alti ufficiali delle forze armate e della polizia nel narcotraffico è stato tuttaltro che sporadico o temporalmente circoscritto, e le differenti amministrazioni succedutesi sono dovute intervenire con frequenza per ‘allontanare’ funzionari nominati ai massimi vertici dei corpi di sicurezza. Il direttore del Das durante l’amministrazione di Misael Pastrana (1970-74), generale Jorge Ordonez Valderrama, fu costretto a dimettersi a seguito di una serie di denunce per traffico di cocaina. Nello stesso periodo la polizia nazionale accusò l’intero Dipartimento amministrativo di sicurezza di essere implicato nel narcotraffico; in due distinte operazioni i capi del Das di Leticia e di Santa Marta furono arrestati all’aeroporto di Bogotá perché in possesso di decine di chili di cocaina. Tra il ’75 e il ’76, unità aeree e navali delle forze armate furono utilizzate per il trasferimento di ingenti carichi di droga: un volo cargo della Fac fu intercettato dall’aeronautica ecuadoreña dopo essersi rifornito di stupefacenti nella selva, mentre la fregata ‘Gloria’ venne sequestrata dalle autorità doganali dopo il rinvenimento a bordo di un carico di coca. Quest’ultima vicenda ebbe come conseguenza la destituzione del capo del Das di Barranquilla, mentre i marinai della ‘Gloria’ furono scandalosamente assolti dai giudici della corte militare.

   L’amministrazione Barco fu costretta ad allontanare 300 ufficiali di tutti i livelli, tra cui l’allora direttore nazionale della  polizia, generale José Guillermo Medina Sánchez, indicato da alcuni organi di stampa internazionali come “vicino” al narcotraffico, e successivamente arrestato su mandato della Corte suprema di giustizia. Nel 1978 fu la volta dei ministri della difesa e del lavoro del governo di Turbay Ayala ad essere accusati di legami con i narcos. Non ne uscì indenne lo stesso presidente su cui piovvero i sospetti di un aiuto elettorale da parte dei maggiori trafficanti di smeraldi. Altri due ministri della difesa furono vincolati ad esponenti del narcotraffico. Il generale Miguel Vega Uribe sposò la figlia del padrino di Turbo Escrucería Delgado, condannato a metà anni ’80 da un tribunale della Carolina del Nord per l’importazione negli Stati Uniti di tonnellate di cocaina, mentre l’ex generale Luis Carlos Camacho dovette lasciare il dicastero dopo che un fratello fu scoperto con un carico di cocaina a bordo di un aereo della ‘Satena’, la compagnia di proprietà della Difesa, su cui volava come unico passeggero dalla città amazzonica di Leticia[80].

  Cinque anni più tardi finì nelle maglie della giustizia un’intera compagnia delle forze speciali colombiane, accusata di aver protetto il trasferimento di un laboratorio di cocaina dal Caquetá ad una zona più sicura. Nel febbraio dell’’83 il Procuratore generale della nazione, Carlos Jiménez Gómez, presentò un rapporto in cui coinvolgeva 163 persone, tra cui 59 membri attivi delle polizia e delle forze militari, nei crimini commessi dal gruppo ‘paramilitare’ “Mas” (Muerte a secuestradores), costituito dai principali boss del narcotraffico. Tra essi comparivano i nomi di alcuni ufficiali in forza al battaglione ‘Barbula’ di Puerto Boyacá, un comandante della brigata che operava nel dipartimento di Cundinamarca ed uno dei maggiori esperti del paese in lotta anti-insorgente. Lo stesso Procuratore aggiunse che le organizzazioni di ‘giustizia privata’ erano coinvolte in 150 casi di sparizioni, in buona parte avvenute nel dipartimento di Antioquia. La risposta di generali ed ufficiali fu unanime: denunciando l’“infamia orchestrata contro la dignità delle forze armate”, offrirono un giorno del loro stipendio per pagare gli avvocati difensori dei loro colleghi, mentre l’allora ministro della difesa generale Fernando Landazábal, denunciò Jiménez Gómez per “aver tentato di sporcare l’immagine dei militari[81].

   Nel novembre dell’’83, un gruppo delle forze speciali colombiane di stanza a Villavicencio, comandate dal generale Luis Eduardo Roca, intervenne a sostegno del trafficante Camilo Rivera per trasferire un sofisticato laboratorio per il processamento della cocaina, da un’area controllata dal 1° Fronte delle Farc ad una più sicura alla frontiera con il Brasile. L’operazione durò 26 giorni e vide la partecipazione di una cinquantina tra ufficiali e sottufficiali della 7^ brigata dell’esercito, che utilizzarono velivoli aerei ed armi di proprietà dello stesso Rivera. La base militare di Apiay fu utilizzata per gli scali tecnici dei voli che trasportarono le attrezzature del laboratorio chimico. Alla fine dell’operazione, i militari ricevettero un compenso valutato tra i 500 e i 2.200 dollari; nonostante le prove schiaccianti raccolte dai magistrati che evidenziarono come l’operazione non sarebbe stata possibile “senza il permesso diretto del comandante delle forze armate colombiane, generale Miguel Vega Uribe”, nessuno degli autori fu condannato. Solo tre ufficiali ricevettero una sospensione dalle funzioni per un anno[82].

   Gli uomini della 7^ brigata dell’esercito furono coinvolti nello stesso anno in un’altra inchiesta sul narcotraffico, quando intervennero ‘autonomamente’ contro i guerriglieri del 3° fronte delle Farc che si erano impossessati dei laboratori per il processamento della cocaina installati a Yarí, nell’azienda del narco Camilo Rivera. L’indagine delle forze di polizia lasciò aperta l’ipotesi che “militari e altre persone potenti in Colombia avevano interessi finanziari nel complesso di Yarí, in grado di produrre sino a tre tonnellate di stupefacenti al mese[83].

  Uno dei maggiori esponenti del narcotraffico colombiano, Rodríguez Gacha, arrivò a vantarsi pubblicamente di aver stretto legami con alcuni alti esponenti militari. Le operazioni pianificate per catturarlo fallirono sempre in quanto egli poteva contare sulle soffiate preventive del colonnello Plinio Libardo Correa, a capo del B-2 (il servizio segreto militare) e dell’allora direttore della polizia generale José Medina Sánchez, poi coinvolto dalla Corte Suprema di giustizia in un procedimento per arricchimento illecito[84]. Nel 1986, Rodríquez Gacha fu protagonista di una memorabile festa di compleanno nel municio di La Dorada, presenti i narcotrafficanti Pablo Escobar, Fabio Ochoa, Jairo Correa e Gilberto Molina, il cui il servizio di sicurezza fu effettuato da agenti della polizia nazionale, sotto il comando del capitano Yesid Parra[85].

  Grazie all’impunità assicuratagli per oltre trenta anni dall’autorità giudiziaria colombiana o dalle maggiori agenzie investigative internazionali, il boss di Boyacá Victor Carranza ha potuto assumere il ruolo di eminenza grigia del contrabbando mondiale degli smeraldi, stringendo una vera e propria alleanza strategica con il Cartello di Cali, la polizia colombiana e la stessa Dea[86]. Socio sin dagli anni ’80 dello Stato colombiano nelle società concessionarie delle miniere di smeraldi, interessi multimiliardari con i governanti di Brasile, Zambia e Zimbabwe, Carranza ha seminato il terrore nella regione del Magdalena Medio e del Meta grazie alle organizzazioni di ‘giustizia privata’ che coordinava e finanziava: ‘Los Machetos’, ‘Los Motosierras’, ‘Los Carranceros’, i primi due autonominatisi così per gli strumenti di morte (maceti e motoseghe), utilizzati per seviziare le vittime[87].

  Analoga protezione fu garantita ai maggiori criminali della Valle del Cauca, mai coinvolti in indagini poiché, secondo il comandante dell’unità antinarcotici della polizia, “nel traffico di droga sono presenti molti elementi vincolati al governo, ai partiti politici, alla polizia e all’esercito, così come alla buona società del Valle”. La dichiarazione dell’alto ufficiale fu fatta nel settembre ’84 al processo contro il colonnello Gustavo González Puerto, accusato e assolto, della ‘sparizione’ di diversi chili di cocaina sequestrati al trafficante Héctor Roldán[88].

 

 

 

    I militari a servizio dei cavalieri della coca

    I legami tra forze armate e narcos si consolidarono nella seconda metà degli anni ’80 in concomitanza dell’ascesa economica dei Cartelli di Medellín e Cali. Le inchieste sull’impero di Pablo Escobar accertarono che egli poteva contare sulla protezione del direttore della polizia nazionale José Medina Sánchez, del capo del servizio segreto della 4^ brigata, Plinio Correa, del capo delle forze speciali Eber Villegas, dell’ex capitano dell’esercito Javier Wanumen[89]. Ad Escobar il ministero della difesa concesse per decreto il riconoscimento di un proprio gruppo privato di ‘vigilantes’, ‘La Seguridad Nutibara”, con un organico di 150 uomini autorizzati a girare armati e in pattuglie radiomobili. Si appurò altresì che l’aeroporto cittadino di Medellín veniva stabilmente utilizzato per le spedizioni di coca, grazie alla fattiva collaborazione delle unità di sicurezza che vi operavano.

   Il livello di corruzione raggiunto tra le forze dell’ordine si rese palese nel febbraio ’85, quando fu reso noto che un centinaio di appartenenti alla forza aerea colombiana e 200 poliziotti erano stati destituiti per i loro legami con il mondo del narcotraffico, mentre centinaia di giudici risultavano indagati dalla Procura generale per gli stessi motivi[90]. Il repulisti non produsse alcun effetto tra le forze di sicurezza: quando nel novembre ’86 lo stesso Escobar fu arrestato  casualmente da una pattuglia della polizia, ottenne la libertà dopo un paio d’ore consegnando una busta con 300.000 dollari ad un ufficiale del commissariato del capoluogo di Antioquia[91].

  Nel settembre dello stesso anno fu invece arrestato un maggiore in forza al comando generale dell’esercito che nascondeva 80 chili di cocaina più un carico di armi acquistate ‘legalmente’ grazie alla raccomandazione di un generale dello stato maggiore, che invece di essere indagato, fu ‘promosso’ e trasferito a Puerto Triunfo, una delle aree maggiormente conflittuali del Magdalena Medio[92]. Due anni più tardi sarebbe stato destituito l’allora comandante del servizio segreto della 4^ brigata dell’esercito di stanza a Medellín, su cui erano stati provati ‘contatti’ con i narcotrafficanti. Escobar, inoltre, avrebbe effettuato ingenti versamenti di denaro a favore di alcuni funzionari statunitensi onde evitare l’intercettazione radar dei carichi di coca che dal Centroamerica raggiungevano gli scali aerei della Florida[93].

  Secondo quanto rivelato nella sua autobiografia dall’ex vicecomandante della 4^ brigata, colonnello Augusto Bahamón Dussán, “l’infiltrazione del narcotraffico negli organismi di sicurezza era giunta al punto che alla cosiddetta ‘guerra tra i cartelli’, parteciparono numerosi militari ritiratisi, pagati da uno o l’altro gruppo”. Tra i militari assoldati dai narcos, il colonnello Bahamón Dussán cita il maggiore Henry Villegas, “capo della sicurezza del Cartello di Medellín, che avrebbe fornito ad Escobar le fotografie dei militari ritiratisi che, il 13 gennaio del 1988, avevano messo la bomba all’edificio Monaco di Medellín dove viveva la sua famiglia. Grazie a queste fotografie, il Cartello di Medellín potette assassinare il tenente (ritirato) Germán Espinoza e il sergente Felix Estrada Rodríquez, responsabili della sistemazione della dinamite  davanti alla residenza di Escobar”. L’autobiografia del colonnello fornisce un ulteriore elemento a prova della ‘guerra incrociata’ tra gli uomini di Cali e quelli di Medellín: l’11 luglio dello stesso anno, cinque ex militari (il colonnello Oscar Bedoya Florez, i sottufficiali Julio Narvaez, Gustavo Bedoya Herrera, Luis Jesús Caycedo e Javier Rodríquez) furono assassinati a Medellín dopo essere giunti da Cali “per realizzare attentati contro appartenenti al cartello di questa città”. La lunga catena di vendette terminò a Cali il 18 febbraio dell’‘89, con l’omicidio del maggiore Libardo Gómez, responsabile della sicurezza del ‘Grupo Radial Colombiano’, di proprietà di Gilberto Rodríguez Orejuela[94]. L’altro ex maggiore dell’esercito incaricato della sicurezza e della protezione personale dei fratelli Rodríguez Orejuela, Luis Mario del Basto, s’incaricò di contattare l’ufficiale Jorge Salcedo per localizzare e assassinare Pablo Escobar.

   Immensa la rete di protezioni e collusioni di cui godettero gli ‘imprendibili’ padrini del Cartello di Cali. Per presunti atti corruttivi e arricchimento illecito, nel 1994 venne allontanata dalle sue funzioni quasi la metà degli ufficiali di polizia della città di Cali. La società ‘Discor’ di proprietà dei fratelli Rodríguez Orejuela si aggiudicò una commessa di milioni di dollari per la vendita di veicoli alla polizia nazionale, e l’affare fu bloccato solo perché una società finanziaria di New York, a contratto firmato, ritirò il proprio appoggio economico all’operazione. I boss di Cali, poi, contavano su un proprio esercito privato di 200 uomini bene armati, sotto la copertura di due società di “vigilanza”, ‘La Nacional de Securidad’ e ‘Los Servicios de Securidad’, autorizzate dal ministero della difesa e dirette dall’ex generale dell’esercito Raul Martínez Espinosa.

   La megainchiesta ‘8.000’ contro il cartello della città colombiana, permise d’individuare ulteriori ‘contatti’ tra militari e narcos: oltre al ministro della difesa Botero, i fratelli Rodríguez Orejuela contavano sul direttore dei servizi segreti della polizia ‘Dijín’ Pelaez Carmona, poi ‘trasferito’ all’ambasciata colombiana di Washington, e sul direttore amministrativo del Das colonnello Luis Herbert España, arrestato con l’accusa di aver ricevuto 132 milioni di pesos dai mafiosi di Cali[95]. Una serie di assegni firmati da Guillelmo Pallomari, il cassiere dei fratelli Rodríguez Orejuela, costringeva il governo ad allontanare dal corpo d’élite della polizia, il ‘Bloque de Búsqueda’, 3 colonnelli, 13 tenenti colonnelli, 25 maggiori e 50 agenti; lo stesso governo era costretto ad allontanare dalla polizia per fatti legati al narcotraffico e alla violazione dei diritti umani 5.044 funzionari, tra cui 353 ufficiali. Ad essi si sarebbero aggiunti l’allora comandante delle forze armate Ramón Emilio Gil ed il generale Hernán José Guzmán, ufficiali già coinvolti in un’inchiesta sulle protezioni dell’esercito agli squadroni della morte del ‘Mas’[96].

   Il ‘Bloque de Búsqueda’, voluto dalla Dea per specializzare la polizia colombiana nella lotta al narcotraffico e al terrorismo, ha goduto sempre della supervisione e dell’addestramento dei servizi segreti nordamericani. E qualche protezione di un certo livello i padrini di Cali dovevano averla anche negli Stati Uniti, dato che negli anni '80 a Gilberto Rodríguez Orejuela fu concessa la rete di distribuzione dell’azienda automobilistica nordamericana ‘Crysler’, mentre uno degli sportelli maggiormente utilizzati all’estero per il riciclaggio dei narcodollari del Cartello di Cali e la compravendita di oro sui mercati internazionali, fu per tutti gli anni ’90 il ‘Marine Midland Bank’ di New York.

 Connivenze e protezioni di settori delle forze di sicurezza colombiane con il narcotraffico sono state verificate in occasione di due importanti indagini dei magistrati italiani. Nel novembre ’94, nell’ambito di un’inchiesta su un grosso traffico di cocaina dalla Colombia alla Calabria, gestito dal gruppo di Africo dei Morabito-Bruzzaniti-Palamara, si accertava che il corriere della ‘ndrangheta a Bogotá, l’ex prete Franco Mondellini, aveva agito con la copertura “di due alti ufficiali colombiani[97]. L’anno successivo, un sottufficiale dei Ros dei Carabinieri, infiltratosi in un gruppo criminale di Medellín, riferiva nel suo rapporto ai magistrati, che ad un’operazione di carico di 1.000 chili di cocaina su un aereo diretto in Italia “avevano partecipato direttamente poliziotti colombiani giunti allo scalo aereo di Medellín con due camionette della polizia[98].

 Un recente rapporto della Commissione andina dei giuristi dal titolo "Situazione dei diritti umani nel Putumayo", ha chiamato fortemente in causa i militari colombiani distaccati nel dipartimento a cui è destinata la componente qualitativamente più significativa degli armamenti statunitensi. Dal rapporto emerge che "i legami della polizia e dei militari coi narcotrafficanti nella regione sono compromessi in tutti i ranghi. Secondo le testimonianze di cittadini delle località maggiormente coinvolte e secondo alcune inchieste giudiziarie, ufficiali di polizia e dell'esercito ricevono paghe mensili per permettere il libero traffico di cocaina e dei componenti chimici per la sua lavorazione”. Sempre secondo la Commissione andina dei giuristi, le forze armate colombiane impegnate nel Putumayo “hanno permesso il passaggio di camion carichi di etere e di acetone e il passaggio di cocaina verso Puerto Asís. Inoltre hanno partecipato all'esecuzione di rivali nei regolamenti di conti fra narcos"[99].

   I giuristi segnalano inoltre come nell’area si siano moltiplicati gli ufficiali in pensione coinvolti nei traffici di stupefacenti e nell’organizzazione dei gruppi paramilitari. Uno di essi è il maggiore Mesulen Martínez, “padrone dell'Hotel Chiluinaco a Puerto Asís, distrutto da un’incursione armata delle Farc”, legato in passato al narcotrafficante Rodríguez Gacha che “alloggiava nel medesimo hotel insieme ad alcuni mercenari stranieri che addestravano i paramilitari nel suo accampamento di El Azul”. Sempre a ‘El Azul’ dal 1987 opera un gruppo guidato dall’ex sergente dell’esercito Jorge Amariles, che lavora la pasta di coca proveniente da Bolivia e Perù per conto del Cartello di Cali. Le operazioni di processamento della cocaina sono state protette per anni da un colonnello della locale base militare che preavvertiva i narcos sulla realizzazione delle operazioni antidroga delle forze di sicurezza.

  Recentemente, nell’ambito di un’indagine contro i nuovi padrini della criminalità colombiana, si è scoperto che al contrabbandiere di smeraldi Luis Enrique Ramírez Murillo, a capo del cosiddetto Cartello della Costa, il ministero della difesa ha concesso l’autorizzazione a dotarsi di propri gruppi armati di ‘vigilanza privata’. Ancora più fitta la rete di complicità di cui ha goduto e continua a godere Pastor Perafán, detto ‘el Presidente’, uno dei maggiori finanzieri del narcotraffico, proprietario di numerose imprese distribuite tra Colombia, Russia e Sudafrica e ‘padrino’ politico di una decina di congressisti e due ex ministri dell’economia. Ex ufficiale del reparto di telecomunicazioni dell’esercito, Pastor Perafán ha nominato a capo del suo gruppo di sicurezza due ex generali, e la sua rapida scalata ai vertici del riciclaggio, è stata facilitata dal particolare “spirito di corpo” delle forze armate colombiane. I primi affari nel contrabbando di liquori e sigarette con il Centroamerica, iniziarono infatti quando ‘el Presidente’ copriva il ruolo di vicecomandante del ‘Laboratorio di lingue’ dell’esercito. I suoi ‘contatti’ con i massimi vertici dello Stato, gli hanno permesso di firmare contratti per decine di miliardi di pesos con la società petrolifera ‘Ecopetrol’, per esplorazioni in Guatiqía, Guaviare e Cacuana, in violazione dei diritti e degli interessi delle comunità indigene.

   Altro ex appartenente alle forze di sicurezza, divenuto tra i “nuovi cavalieri della cocaina”, è Jesús Amado Sarria Agredo, stimato tra i vertici della polizia nazionale per le campagne periodiche di assistenza sociale che organizzava in compagnia della moglie Elizabeth Montoya, poi assassinata, a favore dell’istituzione a cui era appartenuto e nella quale creò una struttura di protezione personale e di affari[100]. Tra coloro che frequentavano con assiduità gli uffici di Sarria Agredo, alcuni congressisti di Nariño e il colonnello della polizia Germán Osorio, guardia del corpo del liberale Ernesto Samper durante la campagna presidenziale, e successivamente suo consigliere di fiducia. Sarria Agredo avrebbe avviato con l’architetto Juan Carlos Gaviria, un’operazione d’investimento immobiliare nell’isola caraibica di San Andrés. L’attività fu sospesa a seguito del misterioso rapimento di Juan Carlos Gaviria, liberato grazie all’intervento del fratello, l’ex presidente della Colombia, oggi segretario dell’Organizzazione degli Stati Americani, César Gaviria Trujillo.

  Le indagini sul narcotrafficante Guillelmo Ortiz Gaitán, hanno confermato il ruolo di contatto del colonnello Germán Osorio tra l’establishment dell’ex presidente Samper e i padrini di Cali. “L’avvocato Ortiz Gaitán conseguiva voti e forniva il denaro per acquistare la benzina per i veicoli della campagna al colonnello della polizia Germán Osorio”, hanno scritto di lui gli inquirenti di Bogotá[101]. Noto costruttore e proprietario di alberghi e complessi edilizi in Colombia e Miami, Guillelmo Ortiz Gaitán è stato indagato e prosciolto nel ’92 dalla Procura di Firenze che indagava su un vasto traffico di cocaina dal Sud America all’Italia.

  L’amministrazione Clinton, incapace in tutti questi anni di interrogarsi sulla reale dimensione degli intrecci narcos-forze armate colombiane, ha dovuto fare i conti con una vicenda che ha rischiato di minare l’immagine dei propri reparti inviati in Colombia per fare la lotta al traffico di stupefacenti. Nel novembre del 1999 è stata arrestata nella Carolina del Nord, Laurie Hiett, moglie del colonnello James Hiett, nominato da appena un anno presso l’ambasciata Usa a Bogotà, a capo del reparto speciale di addestramento delle unità antidroga colombiane. Laura Hiett era accusata di aver spedito più di 15 libbre di eroina (valore 700.000 dollari) dalla Colombia a New York utilizzando il servizio privato della posta dell’ambasciata. Un’inchiesta interna dell’esercito determinava invece ‘l’innocenza’ del marito che tuttavia era ‘allontanato’ dalla Colombia. La vicenda sembrava destinata all’oblio, quando alcune prove raccolte in sede processuale determinavano il ruolo attivo del colonnello James Hiett negli affari di droga della moglie. L’ex responsabile delle operazioni anti-narcos in Colombia, figura di primo piano nella pianificazione della base strategica di Tres Esquinas per la ‘campagna antinarcoguerriglia’, ha dovuto ammettere di fronte alla Corte federale di aver utilizzato il denaro ricavato dalla moglie con la vendita di eroina per pagare i conti dell’abitazione comprata negli Stati Uniti. Mentre Laurie Hiett è già stata condannata a cinque anni di reclusione, il colonnello è stato rinviato a giudizio per riciclaggio di denaro[102].

    I grandi network di stampa e televisione, impegnati a sostenere la necessità della crociata antidroga, si sono guardati bene a dar risalto ad una vicenda che avrebbe potuto incrinare la credibilità del ‘Plan Colombia’ e dell’intervento delle forze armate statunitensi nello scacchiere andino-caraibico. Lo scandalo è stato opportunamente coperto dalla stessa ambasciata Usa di Bogotá. Secondo alcuni funzionari civili e militari in forza presso il corpo diplomatico, gli ufficiali sotto le dipendenze del colonnello Hiett erano a conoscenza “dell’uso di droga da parte della moglie” sin dai tempi del loro matrimonio a Panama a fine anni ’80, quando James Hiett operava presso il quartiere generale del Comando Sud. “L’informazione era stata passata direttamente all’ambasciatore Curtis Kamman, che tuttavia approvò la nomina del colonnello a comandante delle missioni antidroga in Colombia”[103].



[1] B. McCaffrey, “Statement before the House Committee on Government Reform”, Subcommittee on Criminal Justice, Drug Policy, and Human Resources, Washington, February 15, 2000.

[2] T. R. Pickering, Under Secretary of State for Political Affairs, “Statement before the Senate Appropriations Committee, Subcommittee on Foreign Operations”, Washington, February 24, 2000.

[3] R. W. Lee, “El labirinto blanco. Cocaina y poder político”, Cerec, Bogotà, 1989, pag. 48.

[4] F. Castillo, "La coca nostra", Editorial Documentos Periodísticos, Bogotá, 1991, pag. 68.

[5] A. Camacho, “Droga, corrupción y poder: marihuana y cocaina en la sociedad colombiana”, Cidse, Cali, 1988, pag. 146.

[6] U. Santino, G. La Fiura, “Dietro la droga”, cit., pag. 249.

[7] L. A. Restrepo, “La guerra como sustición de la política” en ‘Analis Política’, n. 3, Bogotá, gennaio-aprile 1988, pag. 80.

[8] A. Reyes Posada, “Compra de tierras por narcotraficantes”, en ‘Drogas ilícitas en Colombia’, cit., pag. 286.

[9] A. Reyes Posada, “Compra de tierras por narcotraficantes”, en ‘Drogas ilícitas en Colombia’, cit., pag. 288.

[10] C. Medina Gallego, “Autodefensa, Paramilitares y Narcotráfico en Colombia”,  EDP, Bogotá, 1990, pagg. 167-8.

[11] A. Peña, “La mal llamada Limpieza Social”, in ‘Justicia y Paz. Revista de Derechos Humanos’, n. 10, gennaio-marzo 1999, pag. 42.

[12]Utopías’, n. 65, giugno 1999, pag. 21.

[13] A. Sema, “Come si combatte in Colombia”, in ‘I grandi Caraibi’, cit., pag. 108.

[14] A. Reyes Posada, “Compra de tierras por narcotraficantes’, cit., pag. 288.

[15] R. W. Lee, “El labirinto blanco”, cit., pag. 175.

[16] C. Medina Gallego, “Autodefensa, Paramilitares y Narcotráfico en Colombia”, cit., pag. 23.

[17] Informe Confidencial del Das al Juzgado Segundo de Orden Público del 10 de Mayo de 1988.

[18] F. Castillo, ‘La coca nostra’, cit., pag. 219.

[19] ‘Utopías’, n. 68, settembre 1999, pag. 28.

[20] F. Castillo, ‘La coca nostra’, cit.,  pag. 249.

[21] ‘El Mundo’, 19 agosto 2000.

[22] G. Piccoli, “Pablo e gli altri. Trafficanti di morte”, cit., pag. 122.

[23]El Espectador’, 24 aprile 2000.

[24] F. Castillo, ‘La coca nostra’, cit., pag. 46.

[25] C. Krauthausen, “Padrinos y Mercaderes. Crimen organizado en Italia y Colombia”, Planeta Colombiana Editorial, Santafé de Bogotá, 1998, pag. 267.

[26] G. Guillén, “Cronicas de la guerra sucia”, cit., pag. 158.

[27] ‘Evening Standard’, 21 giugno 1990.

[28] G. Piccoli, “Pablo e gli altri. Trafficanti di morte”, cit., pag. 119.

[29] ‘El Espectador’, 1 ottobre 1989.

[30] A. e L. Cockburn,  "Amicizie pericolose. Storia segreta dei rapporti tra Stati Uniti e Israele, Gamberetti editore, Roma, 1993, pag. 306.

[31]Washington Post’, 29 gennaio 1990.

[32] C. Medina Gallego, “Autodefensa, Paramilitares y Narcotráfico en Colombia”, cit., pag. 383.

[33] A. e L. Cockburn, "Amicizie pericolose. Storia segreta dei rapporti tra Stati Uniti e Israele”, cit., pag. 312.

[34] G. Piccoli, “Pablo e gli altri. Trafficanti di morte”, cit., pag. 117.

[35] ‘El Tiempo’, 17 settembre 2000.

[36] C. Krauthausen, “Padrinos y Mercadores”, cit., pag. 286.

[37] F. Castillo, “Los jinetes de la cocaina”, Editorial Documentos Periodísticos, Bogotá, 1987, pag. 22.

[38] Ibidem, pag. 107-9.

[39] Ibidem, pag. 225.

[40] Ibidem, pag. 82.

[41] ‘El Tiempo’, 11 novembre 2000.

[42] F. Castillo, “Los nuevos jinetes de la cocaina”, cit., pagg. 172-9.

[43] A. Labrousse, M. Koutouzis, “Geopolitica e Geostrategie delle Droghe”, cit., pag. 91.

[44] R. R. García, ‘Aspectos ecónomicos de las drogas ilegales’, en “Drogas ilícitas en Colombia”, cit., pag. 164.

[45] E. Torres y A. Sarmiento, “Rehenes de la mafia”, Intermedio Editores, Santafé de Bogotá, 1998, pagg. 555-6.

[46] I. Betancourt Pulecio, “Sì Sabía. Viaje a través del expediente de Ernesto Samper", Ediciones Temas de Hoy, Santa Fé de Bogotà, 1996, pag. 409.

[47] ‘El Tiempo’, 17 settembre 2000.

[48] F. Castillo, “Los nuevos jinetes de la cocaina”, cit., pag. 143.

[49]Semana’, 26 ottobre 1993.

[50] C. Medina Gallego, “Autodefensa, Paramilitares y Narcotráfico en Colombia”, cit., pag. 382.

[51] G. Guillén, “Crónicas de la guerra sucia”, cit., pag. 242.

[52] G. Piccoli, “Pablo e gli altri. Trafficanti di morte”, cit., pag. 62.

[53] 'Newsday', 4 maggio 1990.

[54] G. Guillén, “Crónicas de la guerra sucia”, cit., pag. 130.

[55] U. Santino, G. La Fiura, “Dietro la droga”, cit., pag. 239.

[56] Ibidem, pag. 238.

[57]Panorama’, 10 ottobre 1996, pag. 120.

[58]New York Times’, 10 agosto 1985.

[59]  A. e L. Cockburn, "Amicizie pericolose. Storia segreta dei rapporti tra Stati Uniti e Israele, cit., pag. 266.

[60] D. Gonzalez, “Los reyes del lavado de dinero. La ventanilla sinistra de la Economía”, Panama, 1991, pag. 83.

[61] ‘Il Sole – 24 ore’, 14 novembre 1991.

[62] F. Castillo, “La coca nostra”, cit., pag. 115.

[63]  Newsweek’, 15 febbraio 1988, pag. 34.

[64]  ‘New York Times’, 16 gennaio 1990.

[65] ‘Avvenimenti’, 29 gennaio 1992, pag. 26.

[66] T. R. Pickering, “Statement before the Senate Appropriations Committee, Subcommittee on Foreign Operations”, cit..

[67] B. E. Sheridan, “The Colombian Drug Threat”, cit..

[68] ‘Semana’, 15 maggio 2000, pag. 37.

[69]  B. E. Sheridan, “The Colombian Drug Threat”, cit..

[70]  U.S. Ambassador to Colombia Curtis Kamman, letter in response to congressional inquiry, Bogota, November 17, 1998.

[71]  ‘El Espectador’, 27 febbraio 2000.

[72] Ibidem.

[73]Utopias’, n. 68, settembre 1999, pag. 24.

[74] M.M. Malagón, "Los derechos humanos en las relaciones Estados Unidos-Colombia", in L. A. Restrepo (a cura), ‘Estados Unidos. Potencia y prepotencia’, cit., pag. 89.

[75] ‘El Colombiano’, 26 febbraio 2000.

[76] ‘Tiempos del Mundo’, 26 ottobre 2000, pag. 5.

[77] ‘El Tiempo’, 27 novembre 1998.

[78] ‘Semana’, 15 novembre 2000, pag. 52.

[79] ‘Washington Post’, 11 agosto 1998.

[80] F. Castillo, “Los jinetes de la cocaina”, cit., pag. 233.

[81] A. Salazar y A.M. Jaramillo, “Las subculturas del narcotráfico”, Cinep, Bogotà, 1996, pag.54.

[82] ‘El Espectador’, 1 agosto 1985.

[83] R. W. Lee, “El labirinto blanco”, cit., pag. 299.

[84] F. Castillo, “La coca nostra”, cit., pag. 260.

[85] F. Castillo, “Los jinetes de la cocaina”, cit., pag. 88.

[86] G. Piccoli, “Le guerre degli smeraldi”, in ‘Narcomafie’, giugno 1994,  pag. 24.

[87] ‘El Colombiano’, 16 luglio 2000.

[88] F. Castillo, “Los jinetes de la cocaina”, cit., pag. 50.

[89] ‘Time’, 14 febbraio 1989, pag. 21.

[90] ‘Time’, 25 febbraio 1985, pag. 30.

[91] ‘Semana’, 27 gennaio 1987, pag. 25.

[92] G. Piccoli, “Pablo e gli altri. Trafficanti di morte”,  cit., pag. 112.

[93] Acción Andina, “Póliticas antidroga e interdicción”, cit., pag. 36.

[94] G. Guillén, “Crónicas de la guerra sucia”, cit., pagg. 163-4.

[95] ‘Cambio’, 31 gennaio 2000, pag. 62.

[96]Reuters’, 22 novembre 1994.

[97]Gazzetta del Sud’, 8 gennaio 1996.

[98] ‘La Repubblica’, 20 settembre 1995.

[99] Comisión juridica andina, “Situación de los derechos humanos en Putumayo”, Lima, 1993, pag. 47.

[100] F. Castillo, “Los nuevos jinetes de la cocaina”, pag. 91.

[101] ‘Cambio’, 13 marzo 2000,  pag.18.

[102] “Colonel admits money laundering”, in ‘Agencia de Noticias Nueva Colombia’, http://home3.swipnet.se/anncol/index.htm, 12 maggio 2000.

[103] ‘Semana’, 15 novembre 2000, pag. 92.






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