VIAGGIO NELLA TRADIZIONE E NEL FOLKLORE
LA CAMPAGNA, GLI OVINI, LA GARA DEL SOLCO, GLI AUGURI DI FINE ANNO

 

 

LA CAMPAGNA

Castel Morrone ha sempre avuto una vocazione agricola e pastorizia che, sia pure ridotta, continua.

 

 

 

 

 

Tutte le foto che vi presentiamo in questa pagina vogliono mettere in risalto la quiete che è sovrana e la pace che regna nelle nostre campagne.

Tuttavia è bene precisare che esse sono visioni affatto rare, e sono foto scattate quasi sempre all’insaputa dell’interessato.

 

Nonostante il trattore sia entrato prepotentemente nella vita del contadino alleviando non poco le sue fatiche, resta ancora qualcuno legato, più che altro affettivamente, al suo antico mezzo di trasporto: il somaro, che non è soltanto tale, ma un compagno e spesso un amico.

Non è raro, infatti, vedere un contadino che lavora il suo terreno avendo poco distante il suo somaro che bruca tranquillamente l’erba e al tramontar del sole si riuniscono per tornare insieme a casa.

 

Per secoli il somaro è stato di grande aiuto al contadino e Raffaele Leonetti, con sottile intuizione, lo ha rivalutato proprio per bocca di Nostro Signore nel suo poemetto " NU PARAVISO PE' MORRONE".

Ad un certo punto, infatti, il Signore, rispondendo al suo insofferente cocchiere che, invece dell'asino, vorrebbe guidare quelle belle automobili Alfa e Lancia che aveva in vita quando faceva l'autista, dice:

 

"Tu te scuorde, figliu mio,
che da me quell'animale
più di tutti è preferito
perché proprio è dozzinale?

Chella bestia accussì umile,
rint''a grotta, 'a Santa Notte,
me scarfaje c''u sciato suoio,
nun appena ca nascette.

Indi poi da Bettelemme,
fu compagno mio di sorte:
me purtaie anzì in Egitto
pe' scanzarmi da la morte.

Quando poi arrivò l'ora
-quanno 'a morte m'aspettava-
nel momento del trionfo,
pure 'o ciuccio me purtava !

Che giornata gloriosa
Quella di Gerusalemme !
Isso, tuosto int'ammuina
se ne jeve lemme lemme.

Senza manco spaventarse,
me purtaje buone buono
'n miez''a folla e miez''e frasche
fino a 'u tempio 'e Salumone.

Comme fosse nu stallone
sentì il magico momento,
ritornando in umiltà
senza manco nu lamiento.

Perciò io a 'st'animale
devo gran riconoscenza
e rimane prediletto
'nzieme a tutta 'a rescennenza.

Visto ca r'a  gente 'e vascio
viene ancora maltrattato,
l'ho voluto accanto a me
pecché hadda esse rispettato !

 

 

GLI OVINI

A Castel Morrone i pastori hanno una tradizione più volte millenaria che li fanno personaggi pressoché unici.

Conducono i loro greggi per i pascoli in collina estraniandosi completamente dal mondo che li circonda. Per loro esistono solo le pecore che riconoscono una ad una e, per amici, hanno solo i loro cani.
I prodotti della pecora a Castel Morrone sono molto apprezzati.
Si comincia con il formaggio di latte di pecora, difficile ma non impossibile da trovare, che in certi periodi dell’anno, supera per qualità e gusto i più rinomati e reclamizzati formaggi nazionali.

Si continua con la lana ed infine si giunge alla carne di pecora di cui i morronesi sono ghiotti e buongustai perché esperti nel cucinarla come nessun altro avendo alle spalle millenni si esperienze.

Si badi bene: qui non si parla di carne di agnelli o di capretti, ma di carne di pecora e delle più vecchie, che vengono eliminate per età o per incidenti o perché non più abili a procreare o a produrre latte.

In qualsiasi altra parte del mondo queste carni sarebbero destinate ad altri usi, ma i morronesi le acquistano con entusiasmo perché sanno come renderle morbide e saporite.

Illustri storici ci informano che sui lunghi tratturi che ancora sono distinguibili nel Sannio, oltre 80% delle ossa rinvenute appartengono agli ovini che millenni addietro vagavano in quelle zone per pascoli.

Pertanto i pastori ed i loro familiari, fin dalla più remota antichità, non avendo altro di cui cibarsi se non delle carni delle loro stesse pecore; hanno sviluppato una spiccata maestria nel cucinare la loro carne che è stata trasmessa intatta fino a noi.

Nelle macellerie di Castel Morrone la carne di pecora è la più richiesta e con essa gli "ABBUOTI" che sono degli involtini di pezzi di carne di scarto (avete capito bene: di SCARTO!) che vengono conditi e legati con intestini.
Essi per i morronesi rappresentano il classico "BOCCONE DEL PRETE".
Vanno lessati a lungo e dopo possono essere mangiati semplicemente con sale e pepe oppure fritti o arrostiti sulla brace. Non si crederebbe, ma sono eccellenti.

Nelle due feste principali in onore della Madonna protettrice (Ascensione e otto settembre) avviene una vera e propria strage di pecore perché nessun morronese si sogna di far mancare sulla sua tavole tale cibo.

 

 

LA GARA DEL SOLCO NELLA FESTA DELLA PROTETTRICE


BOZZETTO DEL MAESTRO GIOVANNI TARIELLO
PER LA GARA DEL SOLCO 1999

 

In occasione della festa alla Madonna del Castello ,o meglio sarebbe dire SANTA MARIA DE MURRONE, come nelle antiche cronache, vengono fuori riti antichissimi una volta dedicati alla Dea Cerere e prima di lei ad altre Dee, Patana Pistia e Kerres che proteggevano, dalla cima del monte Castello, i raccolti della sottostante valle in specie quello dei cereali.

Il rituale è più eloquente di qualsiasi trattato o documento storico.

La Madonna, normalmente, risiedeva nella sua antichissima chiesetta sul monte Castello, la più antica di Castel Morrone, tanto che in una bolla del vescovo di Capua del 1113 era già citata come SANTA MARIA DE MURRONE, da dove vigilava sui suoi protetti abitanti della valle e da dove presiedeva alle semine autunnali e primaverili dopo di che, il decimo giorno dopo al Pasqua, sempre di un giovedì, veniva portata giù in paese per preparare la festa grande che si svolge nel giorno dell’Ascensione , quasi ad ingraziarsi la divinità per gli imminenti raccolti.

La Madonna, quindi, rimaneva nella valle per presiedere, di persona, ai raccolti in specie quelli del grano e, alla fine, il 2 luglio, festa della Madonna delle Grazie, proprio in ringraziamento per il completato raccolto del principe dei cereali, veniva riportata alla sua dimora abituale sul Castello.

La festa dell’otto settembre, oltre a solennizzare la ricorrenza della nascita della Vergine, era motivo di ulteriori ringraziamenti per il raccolto del granone e l’inizio di quello dell’uva nonché di ogni genere di frutta che veniva esposta sul monte Castello.


PITTURA RUPESTRE DI PEPPE VILLANO
SULLA STRADA DI MONTE CASTELLO

In questa ricorrenza è sopravvissuta una particolare gara: IL SOLCO AL CASTELLO.

Si tratta di incidere sul terreno profondi e lunghissimi solchi, anche di più chilometri, tra mille difficoltà con una aratro di legno e una coppia di buoi.

Questa gara, più che una fatica è da considerarsi una devozione profonda che resiste ancora, e la vittoria viene assegnata al solco più diritto e più lungo tenendo conto delle difficoltà oggettive incontrate sul terreno come particolari asperità, boschi, zone particolarmente coltivate che non possono essere attraversate e, spesso, lo stesso fiume Volturno.

 

 

Tutti i solchi convergono, quale squisito omaggio alla Vergine, ai piedi del monte Castello dalla cui cima, ogni cittadino ammira, discute e giudica con la profonda competenza che gli proviene dai una plurisecolare tradizione.

Anche questa competizione, sicuramente tra le più caratteristiche ed originali, richiama antichissimi ludi campestri in onore di divinità pagane.

 

 

GLI AUGURI DI CAPODANNO

A Castel Morrone gli auguri di capodanno hanno una valenza tutta particolare tanto che parecchi studiosi se ne sono occupati.

Noi ci limitiamo a poche parole di commento e a trascrivere due particolari canti che vengono eseguiti nella sera di San Silvestro.

Sono due canti che ci sono pervenuti per tradizione orale dalla notte dei tempi, per cui, con il passar dei secoli, il significato delle parole, in molti casi, è stato talmente stravolto che hanno finito per perdere ogni nesso logico per cui una traduzione in lingua risulta quasi del tutto impossibile.

Tuttavia queste filastrocche che vi proponiamo continuano ad essere cantate da gruppi di persone che intendono, a questo modo, portare i loro auguri a casa di amici e parenti i più stretti dei quali, con simpatico sadismo, vengono conservati per ultimi con la speranza di tirarli giù dal letto.

La comitiva è, di solito, formata da meno di una diecina di persone forniti di strumenti tipici come "putipù", "scetavajasse", "pignatte", e "piatti" che di solito sono due coperchi di pentole. Da qualche anno comincia a comparire qualche fisarmonica ed altri veri strumenti.

Una volta questi canti erano esclusiva dei bambini più poveri che, muniti di un sacco. andavano casa per casa, facendo una vera e propria questua di fichi secchi, noci, arance, e qualche pezzo di dolce natalizio.

 

Più tardi queste cose furono sostituite con caramelle, cioccolatini e dolci di vario genere.

Ora di questi canti si sono impossessati gli adulti che gradiscono principalmente vino e liquori.

In testa alla comitiva c’è il portatore di un grosso ramo d’alloro in segno di opulenza, ma in origine si portava un ramo di ulivo in segno di pace, che funziona da Capo che "DA' LA VOCE".

Si giunge a casa del destinatario degli auguri ed il Capo inizia:

(Capo): Cient’anne ‘e vita a ‘stu Massaro,
(Tutti): Ammen.
(Capo): E con la sua moglie,
(Tutti): Ammen.
(Capo): E con i suoi figli,
(Tutti): Ammen.
(Capo): E con tutti i suoi,
(Tutti): Ammen.

A questo punto la casa si illumina in ogni stanza e il capo famiglia, attorniato da tutti i familiari, scende a spalancare le porte agli ospiti allargando le braccia in segno di benvenuti e mostra di gradire gli auguri unendosi al coro:

(Primo canto) SANTU SEREVIESTE (San Silvestro)

 

Santu Serevieste
ca nuje cantammo bbuono
Oggi è calenne
E dimane è l’annu nuovo.
La festa è santa
E santa la Signuria.
Dio ce la cresce
‘sta bella cumpagnia.
Crisce e criscenza
E facenne chilli sciusce
Ca tutte ce canusce.
Canusce a nuie
E canusce a cientilomo.
Hoj centilomo
Cu’ cheste braccia aperte
Vattenne e Roma
A fravecà palazze.
‘Ncoppe palazze
ce stà ‘na bella tromba
cu’ gloria palomma!
Gira e rigira
‘sta fronna r’auliva;
Chistu Massaro
Cient’anne ce vive,
La luna joca
E lassammela jucà,
Facce lu ‘mberto
Si ce lu vuò fare.
Faccillo sicco sicco
E faccillo ‘e sauciccie,
Faccillo rassu rasso
E faccillo ‘e sanguinaccio;
Faccillo re’ nucelle,
Puozzo fa nu Re re stelle.
Ammen, Ammen, Ammen;
Nuie pigliammo ‘u sacco e AMMEN.

 

Il secondo canto, a differenza del primo che è più ritmato, risulta più melodico e diremmo quasi diffuso di dolce malinconia ed è formato da un curioso misto di parole dialettali ed il lingua senza nessuna logica:

(Secondo canto) NOI SIAMO PELLEGRINI

 

Nuje simme pellegrini
E da luntano nuje venimmo.
ràtice o buon signore
pe’ lu santo capuranno,
pe’ lu santu capuranno.
Santu Natale è stato
E cu’ Cristo sia laudato,
Lu Figlio di Maria
Che in quella notte fungo nato
Che in quella notte fungo nato
Fungo nato a Bettelemme
E da tutto il mondo fu salutato,
E nove mesi è stato
E dai pastori fu incoronato,
E dai pastori fu incoronato.
Cumpariva ‘na stelluccia
Cu’ la luna e cu’ lu sole,
Cu’ la luna e cu’ lu sole
ca jettavane splendore,
ca jettavano splendore.
Vije aute Signurie
Appriparatece nu canestrino,
Nu carrafone ‘e vino
‘e chellu bbuono ca nun sia poco,
Ca nun sia poco.
Si avite ddoje ricotte
Vuje cacciatele cca ffora
Ca nuje con tutto il cuore
L’accetteremo,
L’accettremo.
Lu buono capudanno
È ‘a meglia festa,
Sùsete, padrone mio,
Facce l’umberto,
Facce l’umberto.

 

Castel Morrone ha un piccolo patrimonio culturale che ci è pervenuto per tradizione orale. Il suo dialetto avrebbe diritto ad uno studio accurato di glottologi specializzati perché è sostanzialmente diverso, anche foneticamente, da tutte le parlate del circondario. Evidentemente le colline che circondano la valle di Castel Morrone, oltre a difendere, nel corso dei secoli passati, gli abitanti dalle razzie li ha difesi anche dagli inquinamenti linguistici.

Il suo idioma annovera vocaboli ed espressioni veramente raffinate ed estremamente figurative. Ci limitiamo ad alcuni esempi, perché altri hanno scritto in proposito:

Nella poesia morronese una quercia non è "Frondosa" ma più opulentemente "PAMPANOSA", da pampini e non da foglie .

Il riscuotitore delle gabelle è il "GABELLOTA" e non il Daziere.

Un particolare stato di profonda tristezza lo si descrive dicendo: " ME SENTO ‘E FA NU NURECO A ‘STU CORE " ! "Sento come se avessi un nodo al cuore".

Una persona "malinconica" è molto più appropriatamente "MALINCUNOSA.

Grande e sorprendente è, comunque, il patrimonio di canti e filastrocche contadine.

 

INDICE

VIAGGIO NELLA STORIA VIAGGIO NELLA MEMORIA RITROVATA

VIAGGIO NELLA TRADIZIONE E NEL FOLKLORE

VIAGGIO NELLE VISCERE DELLA TERRA

VIAGGIO NELLA CULTURA

VIAGGIO NEL TRAPASSATO REMOTO

VIAGGIO NEL MEDIOEVO VIAGGIO NEL RISORGIMENTO ITALIANO

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