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Cronaca

Ritrovare gli ideali cristiani nella cronaca di ogni giorno:

Immigrati Cattolici da Il Corriere 30 ottobre 2000

Gli islamici e noi italiani

 Commento ad un libro edito di recente: la Chiesa in Africa, i veri problemi, le reali responsabilità. Un articolo di padre Tommaso Toschi.

Un altro commento: l'unico rimedio è educare, di padre Gheddo. 

 

 

L’arcivescovo di Bologna aveva chiesto una via preferenziale per gli «immigrati cattolici». Buttiglione (Cdu): «Ha ragione il cardinale»

Biffi: «Noi cristiani giudicati intolleranti solo perché non siamo omologati»

«La Chiesa viene offesa ogni ora con giudizi malevoli, processi alle intenzioni e persecuzioni»

 

MILANO - Questa volta le parole «islam» e «musulmani» non le ha mai pronunciate. Niente accuse contro gli islamici, già definiti «integralisti». Nessun appello ai politici, già stigmatizzati per la loro «straordinaria imprevidenza», affinché salvino «l’identità della nazione» preferendo gli immigrati cattolici. Ma neanche ieri il cardinal Giacomo Biffi si è tirato indietro. Solo che questa volta, dopo una messa celebrata nella cattedrale di Bologna, ha preferito usare l’arma dell’ironia per difendere i cristiani, accusati di «presunzione» e «intolleranza» a causa del loro «buon umore» e della loro «non omologazione alla cultura imperante». «Grande è la fortuna dei credenti in Cristo - ha detto il cardinale -, però non andate a dirlo agli altri, non la capirebbero. E potrebbero anche avercela a male, scambiando per presunzione il nostro buon umore per la felice consapevolezza di quello che siamo.
«C’è perfino il rischio di essere giudicati intolleranti: solo perché non ci riesce di omologarci, possibilmente con cuore contrito, alla cultura imperante; intolleranti solo perché non ci riesce di smarrirci, come sarebbe "politicamente corretto", nella generale confusione delle idee e dei comportamenti».
Confusione causata dallo smarrimento della fede, secondo Biffi. «La vera differenza - ha spiegato - non è tanto tra credenti e non credenti, ma tra credenti e creduloni». Questi ultimi indottrinati dalle «catechesi ideologiche inflitte ogni giorno dalla televisione». Chi crede in Cristo, invece, non potrà mai essere «ricondotto in schiavitù». Non ha scuse da chiedere il cardinale, né a suo nome né a nome della Chiesa. Anzi: «In ogni ora della storia il "mondo" offende la sposa di Cristo con giudizi malevoli, processi alle intenzioni, calunnie, oltre che con frequenti attentati alla libertà della sua missione e con persecuzioni anche cruente. E non se ne scusa mai».
Dopo l’appoggio di Fini, ieri Biffi ha incassato anche la solidarietà del segretario del Cdu, Rocco Buttiglione - che lo definisce «un don Camillo dei tempi moderni» - e di Vittorio Sgarbi, che vorrebbe premiarlo con una medaglia. Intanto, ieri, sui muri delle chiese di Bologna sono apparse scritte contro Biffi e la Chiesa, equiparati a nazismo e fascismo. «Gesti inqualificabili» secondo il presidente diessino della Regione, Vasco Errani. Scritte «dei nazi-comunisti al potere», secondo il leghista Mario Borghezio.

Al. T.

 

 

GLI ISLAMICI E NOI ITALIANI
GIOVANNI SARTORI

 

Razzista sì, razzista no. Lo sei se ti opponi alla immigrazione islamica. No, lo sei se proteggi l’immigrazione islamica. Questo è il tenore del dibattito sugli immigrati eccitato, di recente, dalla moschea proposta a Lodi e dalla presa di posizione del cardinale Biffi. Ma se il dibattito lo impostiamo così, allora non porta a nulla. Gridare al «razzismo» infiamma gli animi e oscura i problemi. Qui cercherò invece di affrontarli in modo «fattuale» e al di fuori della rissa ideologica. Intanto, perché la questione islamica si pone come un caso a sé stante? Possiamo rispondere in molti modi. Ma la risposta fattuale (come dicevo sopra) si ricava dalle richieste, da quali sono le concessioni e anche i privilegi che gli islamici chiedono ai Paesi che li accolgono. Queste richieste sono «certe», nel senso che ci vengono dal Consiglio islamico d’Italia. Eccole:
1) L’insegnamento del Corano a scuola o, in alternativa, la creazione di scuole musulmane parificate a quelle italiane; 2) il diritto della donna di essere fotografata con il velo nei documenti di identità; 3) permesso di lavoro per andare in pellegrinaggio; 4) venerdì festivo; 5) diritto di contrarre matrimoni civili con rito islamico; 6) diritto di partecipare alla preghiera di mezzogiorno. Accortamente il Consiglio islamico non chiede l’infibulazione e la poligamia. Ma è pressoché sicuro che una comunità islamica che vota e il cui voto condiziona gli esiti elettorali aggiungerebbe queste richieste alle altre.
Così la domanda diventa: esistono altre comunità di immigrati che rivendicano diritti e privilegi di analoga portata? La risposta è no. Indiani, cinesi, giapponesi, coreani, filippini e simili hanno tutti forti identità etico-culturali che custodiscono gelosamente tra le mura domestiche. Ma accettano le leggi e le regole di convivenza dei Paesi che li accolgono senza chiedere privilegi e deroghe. E dunque non c’è dubbio sul fatto che i musulmani costituiscono un caso a sé, e un caso pubblicamente e pesantemente «invasivo» destinato a imbattersi in reazioni di rigetto.
Ciò posto, il problema è di prospettare le conseguenze delle premesse (richieste) sopra ricordate. Mi soffermo, per esemplificare, sulla creazione di scuole musulmane parificate. Le vogliamo? Benissimo. Forza e avanti. Ma avanti verso che cosa? Sicuramente verso la creazione di comunità chiuse in sé stesse che si perpetuano da padri in figli, e che rifiutano l’integrazione nella società che le accoglie. Ripeto: benissimo. Ma niente imbrogli. I nostri terzomondisti non ci debbono raccontare che a questo modo andremo a creare una nuova città integrata. No. Andremo invece a creare una città disintegrata, che diventerà tanto più conflittuale quanto più andremo a trasformare i nostri «estranei» in cittadini votanti.
Non posso qui ripetere questa analisi di premesse-conseguenze per ogni richiesta. Se accettiamo il diritto islamico, allora cosa? Se accettiamo il venerdì festivo, allora quante feste avremo? Se il musulmano si deve fermare a pregare a mezzogiorno, allora ci dobbiamo fermare tutti? E così via. Gli italiani hanno il diritto di sapere che cosa li aspetta. Se a loro piace, tutto bene. Ma se a loro non piace, non meritano per questo di essere accusati di razzismo.
Benjamin Constant, che è stato il maggiore pensatore politico della sua epoca, scriveva nel 1797 che «quando si getta in una società un principio separato da tutti quei principii intermediari che lo adattano alla nostra situazione si produce un gran disordine; perché questo principio divelto da tutte le connessioni, privo di tutti i suoi appoggi, distrugge e sconvolge». Dedico questo passo alle nostre «anime belle» (più o meno belle) che brandiscono principii che non sanno applicare e dei quali non capiscono le conseguenze.

Corriere, Mercoledì 25 Ottobre 2000

 

Educazione è vita: riflessione di padre Gheddo su contraccezione e popoli africani

Commento ad un libro edito di recente: la Chiesa in Africa, i veri problemi, le reali responsabilità. Un articolo di padre Tommaso Toschi.

 

Padre Gheddo:   l’unico rimedio è educare

MILANO — «Veltroni? Non sa quello che dice». Non ha dubbi padre Piero Gheddo, 70 anni, vercellese, missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere), una vita in giro per il mondo a portare il Vangelo tra gli ultimi.
Lui c’è stato, lì a Soweto, da dove il segretario dei Ds ha lanciato il suo appello al Papa; è stato in quella chiesa «Regina Mundi» («la conosco bene, fu fatta costruire da Paolo VI») ; è stato in quello e in tanti altri inferni fatti di miseria, di malattie, di fame, di morte. Tutto ciò che ha visto e udito lo ha raccontato sulle pagine della rivista di cui è stato per trentacinque anni direttore, «Mondo e Missione» ; e poi su quotidiani e riviste, e in una trentina di libri.
Ora è a Roma; «Faccio lo storico del Pime», spiega; ma si sa che il Papa lo consulta spesso quando c’è da preparare viaggi e discorsi per il Terzo Mondo.
 «Sa perché le dico che Veltroni non sa di cosa sta parlando? Per un motivo molto semplice. Lui non conosce la realtà del Terzo Mondo, non ci ha mai vissuto, in quei Paesi; e fa, a tavolino, questo ragionamento; l’Aids si .diffonde con il contatto sessuale, la Chiesa è contraria al preservativo, quindi se la Chiesa cambiasse le sue indicazioni in materia l’Aids non ci sarebbe più.
Stesso discorso per il problema demografico: colpa della Chiesa, perché non ammette la contraccezione. Ecco. questo è il ragionamento di Veltroni e molti altri. Peccato che sia solo un ragionamento, anzi una teoria, senza alcun riscontro nella realtà».
Già, la realtà, dal punto di vista di chi ha passato la vita sul campo,
è molto diversa. “Guardi, i dati dimostrano che epidemie e sovrappopolazione sono problemi che affliggono proprio le zone non cristiane, o meglio quelle in cui il cristianesimo non è ancora ben radicato. Perché dove sono arrivati i missionari
ci sono gli ospedali, le scuole, i posti di lavoro; in Africa, così come in India, le donne cristiane sono quelle che si sposano più tardi, fino ai 18 anni studiano. E anche dopo aver finito gli studi, molte di loro vanno a lavorare, cosa inconcepibile per molte altre culture. E così le donne cristiane cominciano a procreare molto più tardi, e fanno in media due- tre figli in meno delle altre».
     Padre Gheddo racconta, tira fuori dati su natalità, età media, assistenza sanitaria... Ribatte a Veltroni punto per punto, ma senza animosità.
« bisogna evitare la diffusione dell’Aids e far sì che l’aumento della popolazione sia proporzionale alla produttività agricola e industriale.  Ma al segretario dei Ds vorrei dire che, se la sua preoccupazione è giusta, è sbagliato il metodo che lui propone». Un metodo, secondo padre Gheddo, che è frutto di un luogo comune, di un pregiudizio.
L’esperienza di tutti i Paesi poveri dimostra che la diminuzione del contagio e della natalità non avviene né con la propaganda ne con l’imposizione, ma con l’educazione del popolo, con la promozione della democrazia e con una politica che miri al miglioramento delle condizioni dì vita.

«L’esempio dell’India è illuminante. (…)secondo l’ultimo censimento del ‘91, la crescita demografica nel decennio ‘80-‘90 è stata del 30,96 per cento tra i musulmani, del 24,14 per cento tra gli indù, del 22,25 per cento tra i buddisti e del
16,83 per cento tra i cristiani. I due stati indiani con la crescita demografica più bassa sono stati Goa (15,96 per cento) e Kerala (13,98 per cento), ossia i due stati più cristianizzati.
E questo risultato, ovviamente, non è stato ottenuto distribuendo contraccettivi. E’ stato ottenuto grazie a quella che la Chiesa chiama “educazione alla paternità responsabile”, grazie alle suore di madre Teresa di Calcutta che da più di quarant’anni vanno a insegnare i metodi naturali».
«Bisogna avere il coraggio di dire che da mezzo secolo a questa parte i governi dell’Africa hanno seguito politiche sciagurate, puntando tutto sull’esercito, sull’urbanizzazione e sull’industria, mentre avrebbero dovuto puntare sull’agricoltura e sull’educazione del popolo».
Eppure, si pensa sempre che tutti i guai del Terzo Mondo siano colpa della colonizzazione degli occidentali... «Sarà anche vero, in parte. Ma quarant’anni fa l’Africa esportava molti suoi prodotti alimentari; oggi importa il 35-40 per cento del cibo che consuma. An-che questi sono dati incontestabili.  A Veltroni dico, con affetto: venga nei Paesi poveri a vedere come vivono i cristiani e come vivono gli altri. Poi faccia un confronto. Anche sul piano dei diritti civili, che alla sinistra stanno tanto a cuore.

Michele Brambilla, Il Corriere, 28 febbraio 2000. Tutti i diritti riservati.
 
 

L’Africa di Veltroni è solo un falso mito

di padre Tommaso Toschi

Un ricordo lucido e pre­ciso. Nell’aprile ‘77 a Dakar, la ridente capi­tale del Senegal, si tenne un convegno mondiale sul tema: «L’Africa e Roma». Vi partecipai, assieme a un centinaio d’italiani. Non dimentico l’invito che, a conclusione dei lavori, rivolse il presidente Leopold Sedar Senghor, il più grande poeta, pensatore e politico africano moderno: «Non dimenticate, non abbandonate l’Africa». 

Il rischio più grave è che il grande continente sia emarginato dal resto del mondo.

Ben venga dunque ogni contributo da qualsiasi parte. Con tale spirito ho letto il recente libro del segretario dei Ds, Walter Veltroni, dal titolo 

(Forse Dio è malato) «Diario di un viaggio africano».

Mi ha attratto particolarmente il capitolo «Un viaggio nelle nostre responsabilità». Si poteva pensare che si trattasse di un esame di coscienza: dove e come il Pci e la sinistra italiana hanno sbagliato nei confronti dei popoli africani.

 Invece nulla.

 Chiacchiere al vento.

 Ecco alcune piste per un sereno esame che porti a un mea culpa delle sinistre. 

1. Le guerre di liberazione.

 Dal 1945 Russia, Cuba, Germania Est, Romania. Cina le hanno fomentate in diverse nazioni per ottenere l’indi­pendenza dalle potenze co­loniali. Erano il mezzo me­no adatto. Per motivi ovvii:violenza chiama violenza. In più: l’ideologia marxista dichiaratamente atea che le ispirava, era completamen­te estranea alla mentalità e alle tradizioni africane, inscindibilmente  religiose. Bastava che prendesse il via una guerriglia o si instaurasse una dittatura so­cialista e subito le sinistre italiane     applaudivano. Quando dittatori africani. come Sekù-Turé, Samara Machel, Méngistu venivano a Roma, erano accolti e applauditi come liberatori del popolo. Nel 1979 il PCI accolse nella capitale Machel con onori trionfali. 

L’anno dopo mi recai in Mozambico e trovai un’ oppressione spaventosa ed un’economia in piena decadenza.

2. Indipendenza africana.

Nell’immediato dopoguerra il vento della libertà portava i popoli africani a prendere coscienza della loro dignità, del diritto alla libertà.

L’errore delle sinistre italiane è stato di spingere gli intellettuali africani, che avevano studiato prevalentemente a Mosca o in altre capitali europee, a volere tutto e subito, senza rendersi conto che un’indipendenza immediata, con popoli ancora in gran parte analfabeti, avrebbe condotto al disastro. Esempio classico, il Congo belga.

Ancora oggi le sinistre italiane giudicano l’Africa a partire dai cascami dell’ideologia marxista; le cause del sottosviluppo sono tutte esterne. Sfugge la mancata evoluzione delle culture e dei sistemi di vita verso la produttività, verso la democrazia e i diritti della donna. I missionari, che amano veramente quei popoli e che vivono con loro ogni giorno, sanno che le loro culture hanno bisogno di essere umanizzate attraverso il Vangelo. In più servono la loro causa in modo disinteressato e adeguato. Non costruiscono cattedrali nel deserto. Indro Montanelli, non sospetto di clericalismo, proponeva recentemente che tutti gli aiuti del Governo italiano al Terzo Mondo fossero messi nelle mani dei missionari.

Il muro di Berlino è caduto, le ideologie — a quanto si dice — sono finite, ma l’atteggiamento mentale delle sinistre

resta immutato.

Il caso del libro di Veltroni insegna. 

E senza dubbio non sarà l’ultimo.

 

Articolo tratto da Il Giorno, 10/09/2000, Tutti i diritti riservati.