CAPITOLO PRIMO

ESCATOLOGIA ED ECCLESIOLOGIA

 

 

L’ESCATOLOGIA AL SERVIZIO DELLA CHIESA

 

 

L’escatologia, occupandosi del destino ultimo dell’uomo e del mondo, non è solo al servizio dell’uomo, ma anche della Chiesa.

É vero che, subito dopo quello che è il primo insegnamento escatologico, in ordine cronologico, del Nuovo Testamento (1 Ts 4, 13-17), Paolo dice ai Tessalonicesi: "Confortatevi dunque a vicenda con queste parole" (1 Ts 4, 18). È vero che lo stesso Paolo dice ai Romani che "colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali" (Rm 8, 11) e ai Corinzi che "se uno è in Cristo, è una creatura nuova" (2 Cor 5, 17). È vero, come afferma Bordoni, che "gli asserti escatologici non devono alimentare tanto gli interrogativi sul "come" del futuro cristiano ed umano, quanto devono educare ad alimentare nel credente il senso vero della speranza". 1 Ed è anche vero, come scrive Gozzelino, che "scopo della ricerca escatologica è l’abilitare il credente a prendere coscienza dell’immensa posta in gioco nel presente". 2 Ma è pure vero che l’escatologia è anche al servizio della Chiesa. E la Chiesa non può non venire orientata come istituzione dalle prospettive e dai risultati dell’escatologia.

Nei capitoli successivi di questa prima parte, si cercherà di evidenziare, attraverso i dati biblici e magisteriali, che Cristo è l’unica via della salvezza, che la salvezza per i non cristiani proviene da Cristo e che Cristo salva per mezzo della sua sofferenza e della sua croce. E si parlerà poi di un cammino di comunione cristica, comunione con gli altri, col cosmo e con Dio, che inizia sulla terra e nel presente storico, continua e cresce dopo la morte nel futuro metastorico e raggiungerà la pienezza con la seconda venuta di Cristo. Tutto ciò sarà la base per poter passare alle parti successive del libro, la seconda e la terza. La seconda sarà centrata sulla presenza e attività del Verbo e dello Spirito nelle religioni non cristiane e sul fatto che gli uomini sono figli di Dio prima che delle culture. La terza sulla possibilità-necessità, per una Chiesa cattolica che sia tale fino in fondo, di diventare la Chiesa degli uomini, dei cristiani e dei "non cristiani", la Chiesa con gli uomini e con le religioni, e di essere strumento dell’unità del genere umano.

Ma questa seconda e questa terza parte nascono dalla prima, non sarebbero teologicamente possibili senza la prima. Ecco perché l’escatologia è al servizio della Chiesa.

Questo collegamento operato dallo svolgimento del libro tra escatologia ed ecclesiologia merita qualche riflessione ulteriore che lo giustifichi. Poiché altrimenti rischierebbe di diventare oggetto della facile critica di chi si rifiuta di collegare la storia della salvezza con la storia della Chiesa e giunge anche ad affermare, spregiativamente, che ci è stato promesso il Regno e ci è stata data la Chiesa. Del resto, sarebbe incoerente un discorso che, partendo dall’affermazione della distanza tra il popolo degli appartenenti all’ambito della salvezza e il popolo degli appartenenti alla Chiesa, concludesse "tout court" in un "legame" tra salvezza e Chiesa, lasciando tra l’altro in ombra il carattere irrinunciabile della salvezza come dono di Dio.

Occorre, dunque, chiarire meglio in quale senso e perché verrà in questo libro operato un collegamento tra escatologia ed ecclesiologia.

Una prima osservazione preliminare è che sarebbe insufficiente motivare tale collegamento con l’indole escatologica della Chiesa, secondo cui la Chiesa fa parte della realtà ultima (eschaton), che ha fatto irruzione nella storia con l’incarnazione e la risurrezione di Cristo. Qui, infatti, non si tratta tanto di sottolineare il compimento trascendente della Chiesa terrena nel futuro metastorico, quanto di mostrare come il discorso su tale futuro possa collegarsi al discorso sul presente della Chiesa peregrinante.

Un primo supporto a tale collegamento tra escatologia ed ecclesiologia è da ricercarsi nella cristologia. Ed è il supporto proprio della teologia cristiana in quanto tale: nasce dal mantenimento, obbligato per il cristianesimo, della fondazione cristologica della fede, perché Cristo, che fonda l’eschaton, è lo stesso Cristo che fonda la Chiesa.

Una seconda riflessione riguarda l’articolazione del futuro ultraterreno sia sul piano individuale che sul piano universale. Se la prospettiva escatologica non può ridursi al solo momento individuale, relativo al destino del singolo, perché alla salvezza sono chiamati tutti gli uomini ed essa coinvolge la totalità del creato (palingenesi), ciò pone una concordanza con la prospettiva ecclesiologica: neanche quest’ultima può ridursi all’ambito individuale, perché la Chiesa è tale in quanto è comunità e non spera solo per i suoi fedeli, ma per il mondo intero.

Una terza riflessione, sulla quale occorre soffermarsi un po’ di più, parte dall’assegnazione all’escatologia sia di una funzione "critica", di denuncia della distanza tra le promesse escatologiche e le realizzazioni storiche e sociali, sia di una funzione "costruttiva", che stimola il presente a "fare la verità" del futuro.

La funzione costruttiva presuppone la funzione critica. E quest’ultima sembra un dato implicito, talvolta un dato oggettivo, ma comunque incontrovertibile. Ma se si assegna all’escatologia la sola funzione critica, negando la funzione costruttiva, ciò produce due possibili sbocchi. Uno è quello di ingessarla nella difesa dell’evento Cristo già avvenuto nella storia, del Regno già in atto, dei cristiani già figli e già santi; ed è lo sbocco dell’escatologia realizzata dell’anglicano C. H. Dodd e, in campo protestante, dell’escatologia trascendente di K. Barth, dell’escatologia esistenziale di R. Bultmann e dell’escatologia sovratemporale di E. Brunner, D. Bonhoefer, F. Gogarten, P. Althaus. L’altro sbocco è quello, sempre in ambito protestante, dell’escatologismo conseguente di J. Weiss, A. Schweitzer e M. Wermer, che riduce l’escatologia alla proclamazione del futuro assoluto e della parusia, che, secondo questi autori il Nuovo Testamento attesterebbe come prossima.

Entrambi gli esiti sembrano inaccettabili per la teologia cattolica, per il Magistero cattolico, e anche per una parte della teologia protestante, quella che afferma la coesistenza nei testi biblici del "già" e del "non ancora" (O. Cullmann, J. Jeremias, P. Tillich) e considera il Regno come una realtà da un lato già realizzata, dall’altro ancora da realizzare. Riguardo alla posizione di Culmann, tuttavia, vi è da dire che essa accentra totalmente l’eschaton nell’evento Cristo e sembra confinare la salvezza, pur concepita storicamente, in un momento centrale, rendendo irrilevanti i percorsi individuali del tempo intermedio, quello tra la risurrezione di Cristo e la sua seconda venuta o parusia.

Vi è un altro tentativo di negare all’escatologia una funzione costruttiva, ed è quello di asserire che la teologia non può ridursi a una funzione di stimolo dei compiti storici della Chiesa, come è avvenuto con la teologia "controversista" del XVI e XVII secolo, con la teologia manualistica nella prima metà del XX secolo e con la teologia della liberazione nella seconda metà del XX secolo. Se questo è vero, è anche vero, però, che il compito fondamentale della teologia cristiana è quello di "far valere" la verità che si è rivelata in Cristo; e il discorso escatologico è componente essenziale di questa verità. Pertanto, questa critica, legata al ruolo della teologia, può avere una sua validità se la funzione costruttiva dell’escatologia viene rapportata alla cultura dominante o alle ingiustizie della struttura sociale, cioè viene posta con prevalente riferimento ai contenuti della promessa escatologica (giustizia, pace, amore, gioia, ecc.). Ed è quello che hanno fatto essenzialmente in ambito protestante la teologia della rivoluzione (R. Shaull, H. Gollwitzer) e in ambito cattolico la teologia incarnazionista (H. M. Feret, M. J. Montuclard, D. Dubarle, G. Thils, B. de Solages), la teologia politica (J. B. Metz) e la teologia della liberazione (G. Gutierrez, L. e C. Boff, S. Galilea, J. Sobrino, J. L. Segundo).

Ma la funzione costruttiva dell’escatologia può anche essere posta, ed è questa la prospettiva di questo libro, con riferimento al processo attraverso cui le promesse escatologiche si realizzano e al risultato finale di tale processo. Questa posizione mantiene la storicità propria dell’escatologismo cristiano ed evita l’ipostatizzazione dell’uomo nel "già" o nel "non ancora". Ma essa può sostenersi solo se si collega a una funzione critica dell’escatologia indirizzata non solo al mondo, alla società ingiusta e alla cultura che colloca Dio "altrove" (il che appare in qualche modo scontato), ma indirizzata anche alla Chiesa.

Il risultato, a mio avviso, è fondamentale. Mentre, infatti, consente alla funzione critica e alla funzione costruttiva di non restare separate, salvaguardando un’esigenza irrinunciabile per la teologia e per la Chiesa cattolica, dall’altro assegna proprio alla Chiesa il compito di collegarle. Questo compito, del resto, non potrebbe essere svolto né dal mondo né dalla società, perché né l’uno né l’altra hanno come scopo proprio e condiviso quello di ridurre la distanza tra presente terreno e futuro metastorico.

Tale compito può essere invece svolto dalla Chiesa. Anzi, io credo, questo è propriamente il compito centrale della Chiesa. Ma non è stato finora svolto in maniera soddisfacente. E il motivo è essenzialmente uno: la Chiesa ha cercato non solo di porre il mondo e gli uomini di fronte alla loro fine e alla distanza terreno/celeste, ma anche di porre se stessa verso il polo "alto" di questa distanza. È chiaro che questa sua aspirazione è assolutamente legittima; ed è anche giustificata da abbondanti e continui doni di santità. Ma così facendo, la Chiesa ha anche lasciato "sguarnito", se così si può dire, il polo "basso" di questa distanza storia/metastoria. Che così è stato "occupato" via via dai peccatori, dagli atei, dai razionalisti, dagli illuministi, dai non cristiani, dalle culture secolarizzate di ogni tempo e luogo. La Chiesa, invece, non è solo nel futuro e nella santità; è anche nell’oggi e nel peccato. E non è solo "non ancora"; è anche "già".

Se la funzione costruttiva dell’escatologia è funzione di oggi e non di domani, se non è semplice attesa di qualcosa che sarà dato nel futuro, essa non può esaurirsi per la Chiesa nell’affermare che altri uomini, che non sono dentro la Chiesa, faranno parte del popolo di Dio nel cielo. Dove sono oggi questi uomini, se non in questo mondo, nello stesso mondo in cui è la Chiesa? Da quale Dio sono stati creati e sono oggi amati, se non dall’unico Dio, dallo stesso Dio che ha voluto la Chiesa? Di quale popolo fanno parte oggi, se non del popolo di Dio? Una Chiesa che non se ne faccia carico, mentre se ne farà carico Dio, non è la Chiesa di Dio.

In conclusione, se i cattolici non collegassero la funzione critica, di denuncia implicita del presente, alla funzione costruttiva, di stimolo al presente, dell’escatologia, dovrebbero coerentemente diventare protestanti, o ebrei, o musulmani, affermando l’assoluta trascendenza di Dio e l’incolmabile distanza di Dio dall’uomo. Se collegano le due funzioni riferendo quella critica al mondo e alla società, rischiano di relegare la Chiesa, e la teologia, a un compito storico contingente. Questo libro intende proporre ed esplorare un’altra possibilità: quella di collegare la funzione critica e quella costruttiva indirizzando la prima alla Chiesa stessa. E mostrando che ciò significa, per la Chiesa cattolica, diventare la Chiesa degli uomini, dei cristiani e dei "non cristiani", con gli uomini e con le religioni, la Chiesa dell’universale popolo di Dio.

Un’ultima breve riflessione a giustificazione di questo collegamento tra escatologia ed ecclesiologia nasce dalla lettura di questo passo di Ratzinger: "I peccati di disimpegno e di disinteresse per le cose temporali, per il miglioramento del mondo presente, per la giustizia e così via, non si sono introdotti nella Chiesa per colpa o in forza della fede nell’aldilà, bensì a motivo della poca fede nell’aldilà. La mancanza o carenza di fede nell’aldilà ha portato a cercare il paradiso in terra, e a chiudersi nell’egoismo e nella passività. Dove la fede e la speranza nell’aldilà sono forti e vive, là si sprigiona energia per la vita presente". 3 E dove, mi chiedo, la fede e la speranza nell’aldilà sono più forti e più vive, se non dentro la Chiesa? Dove, di conseguenza, esse possono sprigionare più energia per la vita presente, se non dentro la Chiesa?

 

 

NOTE

  1. Bordoni M., L’escatologia nel Nuovo Testamento e nella teologia attuale. 2: Orizzonti attuali della riflessione teologico-sistematica sulla escatologia, in AA.VV., Escatologia e Liturgia. Aspetti escatologici del celebrare cristiano, ediz. Liturgiche, Roma, 1988, p. 95.

  2. Gozzelino G., Nell’attesa della beata speranza. Saggio di escatologia cristiana, Elle Di Ci, Leumann (TO), 1993, p. 29.

  3. Ratzinger J., La problematica ad extra: per un dialogo con le culture, in Sartori L. – Ratzinger J., Salvezza cristiana tra storia e aldilà, AVE, Roma, 1976, p. 38.