LA GRAZIA: ECCLESIALE E "NON ECCLESIALE"

 

 

L’idea che la Chiesa sia necessaria per la salvezza ha una lunga storia all’interno della Chiesa. Ma occorre distinguere tra due posizioni.

La prima interpreta rigidamente l’assioma "fuori dalla Chiesa non c’è salvezza" ("extra ecclesiam nulla salus"). Sant’Ireneo, Origene e san Cipriano riferiscono tale assioma solo agli eretici, a quelli che si sono separati volontariamente dalla Chiesa; san Gregorio di Nissa, san Giovanni Crisostomo e sant’Agostino lo riferiscono invece a tutti quelli, ebrei e pagani, che non hanno aderito al Vangelo loro predicato. Agostino lo ha addirittura esteso a quelli cui il Vangelo non era stato mai predicato, seguito in ciò da Fulgenzio di Ruspe. Diversi secoli dopo, l’interpretazione rigida dell’assioma è stata fatta propria da Innocenzo III nella sua Lettera all’arcivescovo di Tarragona (18-12-1208), dal Concilio Laterano IV (1215), da Bonifacio VIII nella bolla Unam Sanctam (18-12-1302) e dal Concilio di Firenze nel Decreto per i copti (4-2-1442).

Ma dopo il Concilio di Firenze, forse anche per la scoperta del nuovo mondo (1492), che rendeva inverosimile credere che intere masse di persone fossero state escluse da Dio senza colpa dalla salvezza, l’assioma fu abbandonato dalla Chiesa.

Tale abbandono produsse l’affermazione della possibilità della salvezza fuori dalla Chiesa da parte del Concilio di Trento (1547), la dottrina del "battesimo di desiderio"; e poi la condanna del baianismo (secondo cui la mancanza di fede in coloro a cui Cristo non è stato predicato è peccato ) da parte di Pio V nella bolla Ex omnibus afflictionibus (1567), la condanna del giansenismo (secondo cui Cristo non è morto per tutti), da parte di Innocenzo X nella costituzione Cum occasione (1653), e la condanna di Quesnel (secondo cui al di fuori della Chiesa non c’è nessuna grazia) da parte di Clemente XI nella costituzione Unigenitus Dei Filius (1713).

L’allocuzione Singolari quadam (1854) di Pio IX ritorna all’interpretazione dei primi Padri, secondo cui non c’è salvezza solo per chi è colpevolmente fuori dalla Chiesa. Lo stesso concetto viene ribadito da Pio IX nell’enciclica Quanto conficiamur moerore (1863), dove viene affermata la salvezza fuori dalla Chiesa per quelli che "conducono una vita onesta e retta" ma "ignorano invincibilmente" la religione cattolica.

Che i non cattolici possono salvarsi viene ribadito dalla Chiesa cattolica nei seguenti documenti: nell’enciclica Mystici Corporis (1943) di Pio XII (n. 102); nella lettera del Sant’Uffizio all’arcivescovo di Boston (1949), che condanna la posizione di Leonard Feeney, il quale era tornato ad una interpretazione rigida dell’assioma "extra ecclesiam nulla salus"; nelle costituzioni conciliari Lumen Gentium (1964) al n. 16 e Gaudium et Spes (1965) al n. 22; nel decreto conciliare Ad Gentes (1965) al n. 3; nelle encicliche di Giovanni Paolo II Dominum et Vivificantem (1986) al n. 64 e Redemptoris Missio (1990) al n. 10; nel documento Dialogo e annuncio (1991) al n. 29.

Ma il riconoscimento che anche fuori dalla Chiesa c’è salvezza non ha comportato la negazione della necessità della Chiesa per la salvezza, riaffermata dalla Lumen Gentium al n. 14 e dalla Redemptoris Missio ai nn. 9 e 18. E la dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede Dominus Iesus (2000) afferma che la Chiesa è "lo strumento per la salvezza di tutta l'umanità" (n. 22). È emersa, infatti, quella seconda posizione di cui si è parlato all’inizio: l'elaborazione nel corso dei secoli di una concezione secondo cui quelli che si salvano senza appartenere alla Chiesa visibile sono in qualche modo legati alla Chiesa.

Diversi interventi del Magistero cattolico e numerosi scritti teologici hanno cercato di spiegare come possa avvenire tale legame. E si è così parlato di fede implicita (san Tommaso d’Aquino, D. Soto, R. Bellarmino, J. de Lugo), di battesimo di desiderio (Concilio di Trento, decreto sulla giustificazione, cap. IV), di ordinamento per inconsapevole desiderio (MC n. 102), di voto implicito (lettera del Sant’Uffizio all’arcivescovo di Boston), di cristianesimo anonimo (K. Rahner), di ordinamento (LG n. 16), di appartenenza implicita (CTI, 1985), di misteriosa relazione (RM n. 10). Tutte queste ipotesi sono state proposte per cercare di conciliare la necessità della Chiesa per la salvezza con la salvezza fuori dalla Chiesa.

Ma vi è un’altra proposta per evitare questo problema, quella che la Chiesa è necessaria alla salvezza non perchè chi è fuori di essa non si salva, ma perchè chi si salva è dentro di essa, anche se non lo riconosce. Tale proposta ha il suo fondamento nel fatto che la grazia divina è sia ecclesiale che "non ecclesiale".

Il riconoscimento dell’esistenza di una grazia "non ecclesiale" è un’idea che si è affacciata da tempo sia nella teologia che nel Magistero cattolico.

Partiremo dai dati biblici per passare poi alle affermazioni del Magistero, e quindi ad alcune riflessioni teologiche.

Leggiamo nell’Antico Testamento che Dio si manifesta a tutti (Is 19, 21-25) e che lo stesso Dio, oltre che da Israele, è onorato anche da altri popoli in ogni luogo (Ml 1, 11).

La Lettera agli Ebrei attesta che la fede salvifica è possibile prima e al di fuori di Israele, riferendosi ai Santi delle nazioni, che precedettero l’alleanza inaugurata da Dio con Abramo e con Mosè, in particolare ad Abele, ad Enoch e a Noè. "Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e, in base ad essa, fu dichiarato giusto" (Eb 11, 4); "Per fede Enoch fu portato via, in modo da non vedere la morte […]. Prima infatti di essere portato via, egli ricevette la testimonianza di essere stato gradito a Dio. Senza la fede è impossibile essergli graditi" (Eb 11, 5-6); "Per fede Noè, avvertito divinamente di cose che ancora non si vedevano, costruì con pio timore un’arca per la salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e divenne erede della giustizia secondo la fede" (Eb 11, 7). Abele, Enoch e Noè sono stati giustificati da Dio per la loro fede, non perché appartenevano a un popolo eletto o a una Chiesa.

Anche san Paolo attesta che è la fede a salvare tutti gli uomini (At 13, 39; Rm 3, 30; Gal 3, 8).

Vi sono poi alcuni passi biblici che attestano esplicitamente che la salvezza è offerta a tutti (Is 2, 5-6; 56, 7; Mt 22, 9; Lc 2, 30-31), che la grazia di Dio salva tutti gli uomini (Rm 3, 30; Tt 2, 11), che Cristo è morto per tutti (Rm 8, 32; 2 Cor 5, 15; Eb 2, 9), per riscattare tutti (1 Tm 2, 5; 2 Pt 2, 1; Ap 5, 9), per i peccati di tutto il mondo (1 Gv 2, 2).

Una forte e autorevole conferma al fatto che la grazia di Dio raggiunge tutti gli uomini e tutti i popoli sono le celebri parole di Pietro davanti al centurione Cornelio e ai suoi parenti e amici: "In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto. Questa è la parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti" (At 10, 34-36). Pietro afferma qui che Dio non ha preferenze di persone, di gruppi, di popoli, ma accetta e salva chiunque, a qualunque cultura e popolo appartenga, purchè abbia timor di Dio e sia giusto. "Questa è la parola che egli ha inviato […], per mezzo di Gesù Cristo" (v. 36) significa che è questo l’annuncio centrale di Cristo e del Vangelo: la grazia di Dio non è per un gruppo o per un popolo, ma per chi crede e opera la giustizia, a qualunque popolo e cultura appartenga; e quindi a qualunque religione appartenga. Accanto alla grazia ecclesiale, donata nella Chiesa, cioè, vi è una grazia "non ecclesiale", donata fuori dalla Chiesa. Dio agisce, allora, in tutte le religioni e attraverso tutte le religioni.

Vi sono altri luoghi biblici che portano alle stesse conclusioni. A parte quelli in cui si afferma che l’appartenenza alla Chiesa non è sufficiente per entrare nel Regno dei cieli (Mt 7, 21.26; 22, 11-14), e quello in cui si attesta che lo Spirito è concesso anche ai non battezzati (At 10, 44-47), vi è un passo degli Atti degli Apostoli che necessita, credo, di un’attenta analisi. In At 3, 25-26 si dice che il disegno di Dio è quello di benedire in Cristo tutte le nazioni della terra; e che tale benedizione avviene dopo la risurrezione di Cristo. La risurrezione di Cristo è dunque il fondamento della benedizione salvifica per tutti gli uomini, cioè della risurrezione per tutti gli uomini. Tant’è che in un altro passo si afferma che "essi annunziavano in Gesù la risurrezione dai morti" (At 4, 2). La Chiesa, nata dopo la risurrezione di Gesù Cristo, deve annunciare che ha questo fondamento, cioè la benedizione salvifica per tutte le genti della terra. Vale a dire che la Chiesa è fondata sul fatto che la grazia divina non è solo per gli aderenti alla Chiesa, ma per tutti gli uomini. Non è solo ecclesiale, ma anche "non ecclesiale". Gn 12, 3 e At 3, 25-26 non dicono che l’annuncio della benedizione sarà portato a tutti, non si riferiscono, cioè, alla missionarietà della Chiesa, ma dicono che la benedizione stessa ("saranno benedette"; "per portarvi la benedizione") sarà portata a tutti. E se la grazia in Cristo è per tutti, la Chiesa, che è la Chiesa di Cristo, deve annunciare e testimoniare che la grazia divina è ecclesiale e "non ecclesiale".

Continuo a porre la locuzione "non ecclesiale" tra virgolette, perché quelli che sono salvati senza appartenere alla Chiesa storicamente visibile sono anch’essi membri del popolo di Dio e appartengono di fatto a quella Chiesa invisibile di cui si parlerà nel sesto capitolo. Pertanto, la grazia che li salva non si può definire propriamente e veramente non ecclesiale.

Come scrive Dupuis, "la Chiesa dev’essere intesa, in quanto luogo dello Spirito, come il punto a cui tende la grazia "non ecclesiale"". 1

Passiamo ora alle affermazioni magisteriali su questo tema così delicato.

A partire dal Concilio Vaticano II il Magistero cattolico è venuto sempre più elaborando in modo chiaro ed esplicito l’idea che la salvezza operata da Cristo riguarda anche i membri delle altre religioni e che l’attività del Verbo e dello Spirito è presente in tutte le religioni.

É opportuno distinguere le affermazioni magisteriali a partire dal Concilio in quattro gruppi: il primo relativo al legame tra salvezza, religioni e non cristiani; il secondo relativo al legame tra Verbo e Spirito, religioni e non cristiani; il terzo sul rapporto tra la grazia, le religioni e i non cristiani; il quarto sul rapporto tra il Regno, le religioni e i non cristiani.

Riporterò le affermazioni del Magistero senza commenti: non li ritengo necessari, data la loro chiarezza.

Cominciamo dal primo gruppo. Il decreto Conciliare Ad Gentes (1965) afferma che i membri delle altre religioni possono essere salvati da Cristo "attraverso vie a lui note" (AG n. 7). L’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi di Paolo VI (1975) afferma che "questa salvezza Dio la può compiere in chi egli vuole attraverso vie straordinarie che solo lui conosce" (EN n. 80).

Il documento del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e della Congregazione per la evangelizzazione dei popoli Dialogo e Annuncio (1991) attesta che "i membri delle altre religioni […] ricevono la salvezza in Gesù Cristo, anche se non lo riconoscono come loro salvatore" (DA n. 29).

Il secondo gruppo si può aprire con un celebre passo della costituzione dogmatica conciliare Gaudium et Spes (1965): "Dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti, nel modo che Dio conosce, la possibilità di essere associati al mistero pasquale" (GS n. 22).

La dichiarazione conciliare Nostra Aetate (1965) afferma che "le religioni riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini" (n. 2) e che "la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni" (n. 2).

Il decreto Ad Gentes afferma che "indubbiamente lo Spirito Santo operava nel mondo già prima che Cristo fosse glorificato" (AG n. 4). Nello stesso decreto è attestato che i "germi del Verbo" sono presenti nelle religioni (AG n. 11). E la medesima attestazione si trova in Evangelii Nuntiandi al n. 53, nelle encicliche di Giovanni Paolo II Redemptor Hominis (1979) al n. 11 e Redemptoris Missio (1990) al n. 56, nel documento Dialogo e Annuncio (1991) al n. 28.

Riguardo ancora all’azione universale dello Spirito, dice l’enciclica Dominum et Vivificantem di Giovanni Paolo II (1986) che vi è un’"azione dello Spirito anche prima di Cristo – sin dal principio – in tutto il mondo, […] in ogni luogo e in ogni tempo, […] secondo l’eterno piano di salvezza" (n. 53). Nella Redemptoris Missio Giovanni Paolo II attesta "l'opera di Cristo e dello Spirito fuori dei confini visibili della Chiesa" (n. 18), afferma che nelle religioni vi è "la presenza e l’attività dello Spirito" (n. 28) e dice che "è lo Spirito che sparge i semi del Verbo presenti nei riti e nelle culture" (n. 28). Dialogo e Annuncio a sua volta specifica che i non cristiani sono raggiunti dal mistero di salvezza "per vie conosciute da Dio, grazie all’azione invisibile dello Spirito di Cristo" (n. 29). E si può infine aggiungere un passo del documento Il Cristianesimo e le religioni (1997) redatto dalla Commissione Teologica Internazionale: "sarebbe difficile pensare che abbia valore salvifico quanto lo Spirito Santo opera nel cuore degli uomini presi singolarmente e non lo abbia quanto lo stesso Spirito opera nelle religioni e nelle culture" (n. 84).

Un terzo gruppo di attestazioni magisteriali riguarda il rapporto tra la grazia, i non cristiani e le religioni. Leggiamo nella Lumen Gentium (1964): "Quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e che tuttavia cercano sinceramente Dio, e con l’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento di Dio, e si sforzano, non senza la grazia divina, di raggiungere la vita retta" (LG n. 16).

La Gaudium et Spes (1965) è ancora più esplicita, affermando che in tutti gli uomini di buona volontà "opera invisibilmente la grazia" (GS n. 22). Un altro documento conciliare, il decreto Ad Gentes, si spinge ancora oltre, affermando che le religioni contengono elementi "di verità e di grazia" (AG n. 9). E la dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede Dominus Iesus sostiene che "i libri sacri di altre religioni, che di fatto alimentano e guidano l'esistenza dei loro seguaci, ricevono dal mistero di Cristo quegli elementi di bontà e di grazia in essi presenti" (n. 8). Infine, Giovanni Paolo II afferma in modo chiaro nella Redemptoris Missio che i seguaci delle altre religioni possono "ricevere la grazia di Dio ed essere salvati da Cristo" (RM n. 55).

Un ultimo gruppo di attestazioni del Magistero cattolico è relativo al rapporto tra i non cristiani, le religioni e il Regno di Dio.

Ancora nella Redemptoris Missio leggiamo: "La realtà incipiente del Regno può trovarsi anche al di là dei confini della Chiesa nell’umanità intera, in quanto questa viva i "valori evangelici" e si apra all’azione dello Spirito che spira dove e come vuole (cfr. Gv 3, 8)" (RM n. 20). Il documento Dialogo e Annuncio, infine, estende la realtà del Regno esplicitamente alle altre religioni: "La realtà incoativa di questo Regno si può trovare anche oltre i confini della Chiesa, per esempio nei cuori dei seguaci di altre tradizioni religiose" (DA n. 35).

Tutte queste affermazioni del Magistero cattolico, insieme ai dati biblici commentati in precedenza, danno corpo al concetto di grazia "non ecclesiale", donata da Dio al di fuori della Chiesa storicamente visibile.

Parallelamente alle aperture e alle attestazioni del Magistero cattolico, si è sviluppato un vasto dibattito teologico su questo tema. Di esso non è ovviamente possibile dare ampiamente ed esaurientemente conto in questa sede. Mi limiterò pertanto ad un breve ed essenziale excursus, riguardante alcuni dei teologi che, in modo più o meno forte, hanno affermato l’esistenza della grazia salvifica di Dio al di fuori della Chiesa.

Abbiamo già visto che i Padri hanno parlato di "semi del Verbo" in tutti gli uomini e le culture (san Giustino), di Verbo che si rivela sin dall’inizio della creazione (sant’Ireneo, Origene, sant’Agostino), di poeti e filosofi ispirati dal Verbo fuori dalla tradizione ebraico-cristiana (Clemente di Alessandria), del Verbo che reca la fede e la salvezza per tutti (Clemente di Alessandria). Sant’Agostino, inoltre, afferma l’esistenza della Chiesa prima della venuta di Cristo, fin da Abele (Ecclesia ab Abel), il primo giusto (Enarratio in Psalmos 118); e ancora afferma l’esistenza ab initio, in ogni tempo e luogo, della salvezza operata da Cristo (Epistula 102).

Il discorso sul valore salvifico delle religioni e sul mistero di Cristo nelle tradizioni religiose si riaccende e diventa sistematico a partire dagli anni del Concilio Vaticano II.

É normale la distinzione fra tre posizioni: ecclesiocentrica (o esclusivista), cristocentrica (o inclusivista) e teocentrica o regnocentrica (o pluralista). Pressocchè abbandonata la prima, fondata sull’assioma "extra ecclesiam nulla salus", il dibattito odierno si svolge tra le altre due, con varie sfumature.

Secondo la posizione pluralista, le religioni sono di per sé vie e mezzi di salvezza (Kunnumpuram 1971), 2 il centro attorno a cui ruotano tutte le religioni è Dio (Hick 19733 e 19774) o il Regno di Dio (Knitter 1986), 5 si deve rinunciare senz’altro alle affermazioni cristologiche (Race 1983), 6 e la salvezza viene dal Verbo fatto carne (Pieris 1993). 7

Non ritengo si possa accettare la posizione pluralista per tre motivi. Essa ha da un lato, soprattutto con Knitter, il merito di affermare che i non cristiani sono anch’essi membri del Regno di Dio; ma, come nota Dupuis, dimentica "che il Regno di Dio ha fatto irruzione nella storia in Gesù Cristo e nell’evento Cristo; [...] e che il Regno escatologico cui sono convocati tutti insieme i membri delle varie tradizioni religiose è quel Regno che il Signore Gesù Cristo consegnerà al Padre alla fine (cfr. 1 Cor 15, 28)". 8

Il secondo motivo sta nel fatto che il Verbo da incarnarsi, che illumina tutti gli uomini di ogni tempo e luogo (Gv 1, 4.9) è lo stesso Verbo che si è incarnato nel Gesù Cristo storico (Gv 1, 14). Che non si possano separare il Verbo e Gesù Cristo è affermato anche dalla Redemptoris Missio al n. 6 e dalla dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede Dominus Iesus, dove si afferma al n. 10: "Con l'incarnazione, tutte le azioni salvifiche del Verbo di Dio si fanno sempre in unità con la natura umana che egli ha assunto per la salvezza di tutti gli uomini. L'unico soggetto che opera nelle due nature, umana e divina, è l'unica persona del Verbo".

Il terzo motivo discende dai quei passi biblici che attestano ripetutamente che lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo (Gv 3, 34; Rm 8, 9; 2 Cor 13, 5; Gal 4, 6; Ef 3, 17; Fil 1, 19; 1 Pt 1, 10-11).

Che lo Spirito è lo Spirito di Cristo fin dall’inizio della storia della salvezza e per tutto il suo corso è affermato anche da diversi teologi, come Rahner, 9 Wong, 10 Dupuis, 11 De Rosa. 12

La posizione cristocentrica trova sostegno preliminarmente in quelle affermazioni dei teologi relative al rapporto tra Verbo/Spirito e religioni, che si possono riassumere in una frase di Dupuis, il quale parla di un’universale "attiva presenza del "Verbo di Dio" e dello "Spirito di Dio" nella storia della salvezza e, specificatamente, nelle tradizioni religiose dell’umanità". 13

Tra i numerosi sostenitori del cristocentrismo si possono ricordare Kasper, 14 Rahner, 15 D’Costa, 16 Barnes, 17 Bordoni, 18 Dupuis. 19

Lo sforzo del cristocentrismo inclusivo è quello di mostrare come e perché l’universale volontà salvifica di Dio si possa conciliare con la mediazione unica di Gesù Cristo (cfr. D’Costa G., cit.), che lo Spirito di Cristo è attivo in tutti gli uomini e in tutte le religioni (cfr. Kasper W., cit., pag. 379; Barnes M., cit., pag. 143), che "la salvezza rivelata da Dio in Gesù Cristo costituisce […] il destino universale escogitato da Dio per gli esseri umani, in qualunque situazione essi possano trovarsi e a qualunque tradizione religiosa possano appartenere" 20 e che "l’universalità del Regno di Dio consiste nel fatto che i cristiani e gli "altri" condividono il medesimo mistero di salvezza in Gesù Cristo, anche se tale mistero giunge loro per vie differenti". 21

All’interno della posizione cristocentrica, è affermata esplicitamente l’esistenza della grazia divina salvifica al di fuori della Chiesa.

Secondo Congar, "sono esistiti ed esistono doni di luce e di grazia operanti per la salvezza al di fuori dei confini visibili della Chiesa". 22 Le religioni contengono secondo Rahner "componenti dovute a un influsso soprannaturale della grazia", 23 secondo Dupuis "tracce dell’incontro degli esseri umani con la grazia". 24 Per Rossano, infine, "non vi è dubbio che "grazia e verità" raggiungano o possano raggiungere i cuori degli uomini e delle donne attraverso i segni visibili, esperienziali delle varie religioni". 25

L’esistenza della grazia "non ecclesiale" trova dunque un ampio sostegno teologico, che si aggiunge alle basi bibliche e magisteriali, di cui si è detto in precedenza.

L’attestazione da parte della Chiesa cattolica della grazia "non ecclesiale" rende superflua la necessità di postulare una qualche fede implicita nei non cristiani che sono salvati. D’altro canto, consente di proclamare che la Chiesa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza (cfr. Unitatis Redintegratio n. 3) non perché salva i cristiani, ma perché annuncia e testimonia quel Cristo che salva anche i non cristiani; non perché possiede in esclusiva i mezzi di salvezza per i suoi aderenti, ma perché possiede e annuncia la rivelazione dell’unico mezzo per il quale tutti gli uomini sono salvati. Del resto, rifiutare la grazia "non ecclesiale" e accettare solo la grazia ecclesiale avrebbe una qualche affinità col peccato. Secondo san Paolo, infatti, la legge, che dovrebbe servire a trasmettere la volontà di Dio, diventa causa di peccato (Rm 5, 20; 7, 5).

Ciò accade perché il peccato nasce non solo dal rifiuto dello Spirito che Dio ci dona (cfr. Gv 1, 11; 3, 19), ma anche dalla negazione, o dal non riconoscimento, della propria radicale creaturalità, che inevitabilmente diventa autoesaltazione (cfr. 1 Cor 7, 29s). Quando l’osservanza della legge diventa motivo di autogratifica- zione, l’uomo pecca (cfr. Mt 6, 1; 23, 23-28; Lc 18, 10-14; Gv 12, 42-43; Rm 7, 5.9.11). Nel rifiuto della grazia "non ecclesiale" vi sarebbero entrambi i caratteri del peccato: rifiuto dello Spirito e del Verbo che agiscono nella storia e attribuzione solo ad una pratica religiosa del valore salvifico, con contestuale inevitabile rischio che i seguaci di tale pratica e di tale culto si sentano salvati e gratificati solo attraverso di essa, e non per la grazia di Dio.

Se la grazia è necessaria alla salvezza e la Chiesa è necessaria alla salvezza, ricevere la grazia significa essere in qualche modo dentro la Chiesa. Poichè essa è donata anche ai "non cristiani", essi sono dentro la Chiesa, che dunque è la Chiesa anche dei "non cristiani".

 

 

NOTE

  1. Dupuis J., Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Queriniana, Brescia, 1997, pag. 473.

  2. Kunnumpuram K., Ways of Salvation. The Salvific Meaning of non-Christian Religious according to the Teaching of Vatican II, Pontifical Atheneum, Poona, 1971, pagg. 88–91.

  3. Hick J., God and the Universe of Faiths: Essays in the Philosophy of Religion, Macmillan, London, 1973.

  4. Hick J., The Centre of Christianity, SCM Press, London, 1977.

  5. Knitter P. F., La teologia cattolica delle religioni a un crocevia, in Küng H. – Moltmann J. (edd.), Il cristianesimo tra le religioni mondiali, in Concilium 1/1986, pagg. 133-144.

  6. Race A., Cristians and Religious Pluralism. Patterns in the Christian Theology of Religions, SCM Press, London, 1983, pagg. 106-148.

  7. Pieris A., An Asian Paradigm: Interreligious Dialogue and Theology of Religions, in The Month 26, 1993, pagg. 129-134.

  8. Dupuis J., cit., pag. 262.

  9. Rahner K., Gesù Cristo nelle religioni non cristiane, in Teologia dell’esperienza dello Spirito, Nuovi saggi, vol. VI, edizioni Paoline, Roma, 1978, pag. 463 (originale tedesco in Schriften zur Theologie, 16 voll, Benziger Verlag, Einsiedeln, 1961-1984).

  10. Wong J. H., Anonymous Christians: Karl Rahner’s Pneuma-Christocentrism and East-West Dialogue, in Theological Studies 55, 1994, 4, pagg. 609-637.

  11. Dupuis J., cit., pag. 300.

  12. De Rosa G., Una teologia problematica del pluralismo religioso, in La Civiltà Cattolica, 1998, III, pag. 142.

  13. Dupuis J., cit., pag. 298.

  14. Kasper W., Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia, 1975 (originale tedesco, Jesur der Christus, 1974).

  15. Rahner K., Corso fondamentale sulla fede. Introduzione sul concetto di cri-stianesimo, edizioni Paoline, Alba, 1977 (originale tedesco, Grundkurs der Glaube. Einführung in den Begriff des Christentums, 1976).

  16. D’Costa G., Theology of Religious Pluralism: The Challenge of Other Reli-gions, Basil Blackwell, Oxford, 1986.

  17. Barnes M., Theology of Religions in a Post-modern World, in The Month 28, 1994, pagg. 270-274; 325-330.

  18. Bordoni M., La cristologia nell’orizzonte dello Spirito, Queriniana, Brescia, 1995.

  19. Dupuis J., cit.

  20. Dupuis J., cit., pag. 420.

  21. Dupuis J., cit., pag. 462.

  22. Congar Y., L’Église, sacrement universel du salut, in Église vivante 17, 1965, pag. 351.

  23. Rahner K., Cristianesimo e religioni non cristiane, in Saggi di antropologia soprannaturale, edizioni Paoline, Roma, 1965, pagg. 545, 564 (originale tedesco in Schriften zur Theologie, 16 voll., Benziger Verlag, Einsiedeln 1961-1984).

  24. Dupuis J., cit., pag. 428.

  25. Rossano P., Christ’s Lordship and Religious Pluralism in Roman Catholic Perspective, in Anderson G. H. – Strausky Th. F. (edd.), Christ’s Lordship and Religious Pluralism, Orbis Books, Maryknoll, New York, 1981, pagg. 102-103.