POST OFFICE
- PRIMO CAPITOLO -

1.

Cominciò per sbaglio.
Si era sotto Natale ed ero venuto a sapere dall'ubriacone che stava un po' più su, sulla collina, e che a Natale ci provava sempre, che avrebbero assunto più o meno chiunque, e così ci andai, e prima che potessi rendermi conto di quello che stava succedendo ero lì con la sacca di cuoio sulle spalle a girare tutto il giorno a piedi in lungo e in largo. Che lavoro, pensai. Facile! Leggero! Ti davano solo un paio di isolati e se finivi prima il postino fisso ti dava un altro isolato, oppure tornavi in ufficio ed era il capo a dartene un altro, ma tu te la prendevi comoda e dovevi solo infilare tutti quei cartoncini di auguri nelle cassette.
Fu più o meno al secondo giorno come postino natalizio straordinario che arrivò questo donnone che cominciò a venire in giro con me a consegnare le lettere. Dico donnone perché era grossa, nel senso che aveva il culo grosso e le tette grosse ed era grossa in tutti i punti giusti. Sembrava un po' matta ma io continuavo a guardarle le tette e il culo e il resto e mi andava bene così.
Parlava e parlava e parlava. Poi venne fuori. Suo marito lavorava su un'isola, lontano, e lei si sentiva sola, capite, e viveva in una casetta laterale tutta sola.
"Quale casetta?" chiesi.
Lei scrisse l'indirizzo su un pezzo di carta.
"Anch'io mi sento solo," dissi, "stasera vengo da te a fare quattro chiacchiere."
Io avevo una donna, abitavamo insieme, ma lei non c'era quasi mai, era sempre da qualche altra parte, e anch'io mi sentivo molto solo. Soprattutto con quel culone che mi camminava a fianco.
"Va bene," disse lei, "ci vediamo stasera."
Non era male, davvero, era una bella scopata, ma come tutte le scopate dopo la terza o la quarta notte cominciai a perdere interesse e non ci tornai.
Ma non potevo fare a meno di pensare, Dio mio, questi postini, non fanno altro che infilare le loro lettere nelle cassette e farsi scopare. Questo è il lavoro che fa per me, oh, sì sì sì.


2.

E così feci l'esame, lo passai, feci la visita medica, la passai, e diventai postino supplente. L'inizio fu facile. Mi mandarono alla West Avon Station ed era proprio come a Natale solo che nessuno mi chiedeva di scopare. Tutti i giorni mi aspettavo che qualcuno volesse scoparmi ma non succedeva mai. Ma il capo era un brav'uomo, e dovevo solo andare in giro e fare un isolato qua e là. Non avevo nemmeno la divisa, solo il berretto. Portavo i miei soliti vestiti. Con tutto il bere che facevamo io e la mia donna Betty non restavano certo i soldi per i vestiti.
Poi venni trasferito alla Oakford Station.
Il capo era un tipo col collo taurino di nome Jonstone. In quell'ufficio mancava personale e capii subito perché. Jonstone amava indossare camicie rosso cupo... che significavano pericolo e sangue. C'erano 7 supplenti... Tom Moto, Nick Pellegrini, Herman Stratford, Rosey Anderson, Bobby Hansen, Harold Wiley ed io, Henry Chinaski. Bisognava essere in ufficio alle 5 del mattino e io ero l'unico che beveva. Stavo sempre alzato a bere fin dopo mezzanotte, e poi dovevo essere là, alle 5 del mattino, ad aspettare di cominciare, ad aspettare che qualche postino fisso si desse malato. Di solito i fissi si davano malati quando pioveva o faceva un caldo boia o dopo una vacanza, quando il volume di posta da consegnare era il doppio.
C'erano 40 o 50 percorsi diversi, forse più, ciascun casellario era diverso dall'altro, non si riusciva mai a impararne uno, bisognava preparare la posta prima delle 8 per le consegne con il camion, e Jonstone non voleva sentire cazzi. I supplenti smistavano le riviste agli angoli delle strade, non mangiavano e morivano per la strada. Jonstone assegnava i percorsi con 30 minuti di ritardo, sulla sua sedia girevole, con la camicia rossa... "Chinaski, tu fai il 539!". Cominciavamo con mezz'ora di ritardo ma dovevamo lo stesso consegnare la posta ed essere di ritorno in orario. E una o due volte la settimana, già stanchi, sfiniti, stravolti, dovevamo fare la raccolta notturna, e gli orari stabiliti erano impossibili... il camion non ce la faceva ad andare così in fretta. Bisognava saltare quattro o cinque cassette al primo giro e la volta dopo erano zeppe di posta e per infilarle nei sacchi si sudava come dei matti, si puzzava come maiali. Me la mettevano bene in culo, non c'è dubbio. Ci pensava Jonstone.


3.

Erano gli stessi supplenti a rendere possibile l'esistenza di Jonstone ubbidendo ai suoi ordini impossibili. Non riuscivo a capire come un uomo così palesemente crudele riuscisse a mantenere quel posto. I fissi se ne fregavano, il sindacalista non valeva una cicca, e così durante uno dei miei giorni liberi preparai un rapporto di trenta pagine, ne spedii una copia a Jonstone e portai l'altra giù al Federal Building. L'impiegato mi disse di aspettare. Aspettai e aspettai e aspettai. Aspettai un'ora e trenta minuti, poi mi portarono da un ometto coi capelli grigi e gli occhi come cenere di sigaretta. Non mi chiese nemmeno di sedermi. Cominciò a urlare appena mi vide entrare dalla porta.
"Ti credi furbo, tu, eh, a fare queste puttanate?"
"Preferirei che non usasse questo linguaggio, signore!"
"Ti credi furbo, eh? Sei uno di quei figli di puttana con un sacco di paroloni in bocca e ti diverti a mandar giù merda, eh?"
Agitò i miei fogli nella mia direzione. E urlò: "MR. JONSTONE E' UNA BRAVA PERSONA!"
"Non dica sciocchezze. E' ovviamente un sadico," dissi io.
"Da quanto tempo lavori alle poste, tu?"
"Tre settimane.!
"MR. JONSTONE LAVORA ALLE POSTE DA 30 ANNI!"
"E questo cosa c'entra?"
"MR. JONSTONE E' UNA BRAVA PERSONA, ho detto!"
Credo che il poveretto avesse voglia di uccidermi, in realtà. Probabilmente lui e Jonstone andavano a letto insieme.
"Va bene," dissi, "Jonstone è una brava persona. Lasci perdere questa fottuta storia." Poi me ne andai e il giorno dopo mi presi una vacanza. Non pagata, naturalmente.


4.

Quando mi rivide, alle 5 del mattino, due giorni dopo, Jonstone si girò sulla sedia e aveva la faccia e la camicia dello stesso colore. Ma non disse niente. A me non importava. Ero stato alzato fino alle 2 di mattina a bere e a scopare con Betty. Mi appoggiai all'indietro e chiusi gli occhi.
Alle 7 del mattino Jonstone si girò di nuovo sulla sedia. Aveva già assegnato il lavoro a tutti i supplenti o li aveva mandati in altri uffici dove mancava personale.
"E' tutto, Chinaski. Non c'è niente per te, oggi."
Mi guardava fisso. Cazzo, non me ne fregava niente. Volevo solo tornare a letto e dormire un po'.
"O.K., Stone," dissi. I postini l'avevano soprannominato Stone, ma io ero l'unico che lo chiamava così in faccia.
Uscii fuori, il vecchio catorcio si mise in moto, e dopo un po' ero di nuovo a letto con Betty.
"Oh, Hank! Che bello!"
"Certo, piccola!" Glielo appoggiai al culo caldo e 45 secondi dopo dormivo come un sasso.


5.

Ma la mattina dopo, Stone riattaccò:
"E' tutto, Chinaski. Non c'è niente per te oggi."
Andò avanti così per una settimana. Me ne stavo là seduto tutte le mattine dalle 5 alle 7 e non prendevo un soldo. Il mio nome era stato cancellato perfino dal giro notturno di raccolta.
Poi Bobby Hansen, uno dei supplenti più anziani, nel senso di anzianità di servizio, mi disse: "L'ha fatto anche con me, una volta. Ha cercato di prendermi per fame."
"Non me ne frega niente. Io il culo non glielo lecco. Mi licenzio o muoio di fame, piuttosto, qualunque cosa."
"Non è necessario. Presentati alla Prell Station, di sera. Di' al capo che non ti danno lavoro e ti farà star lì per gli espressi."
"Posso farlo? Senza infrangere qualche regolamento?"
"Certo. Mi pagavano ogni due settimane."
"Grazie, Bobby."


6.

Non ricordo più a che ora si cominciava. Alle 6 o alle 7 del pomeriggio. Qualcosa del genere.
Bisognava solo star lì con una manciata di lettere, prendere una cartina stradale e studiare il percorso. Era facile. Gli autisti ci mettevano molto più del necessario a studiare il percorso e io stavo al gioco. Partivo insieme agli altri e tornavo indietro insieme a tutti gli altri.
Poi si faceva un altro giro. C'era tempo per starsene un po' al bar, per leggere i giornali, per sentirsi umani. C'era perfino tempo per mangiare. Quando volevo un giorno di vacanza, me lo prendevo. Lungo uno dei percorsi c'era una ragazzona giovane che cambiava vestito tutte le sere. Faceva la sarta, faceva vestiti sexy e camicie da notte e li indossava, anche. Verso le undici salivo su per quelle scale ripide, suonavo il campanello e le consegnavo l'espresso. Lei faceva un'esclamazione di sorpresa, tipo: "OOOOOOOOOOOOhhhhhhhHHHHHHHHH!", mi veniva vicino, molto vicino, mi teneva lì mentre leggeva l'espresso, e poi diceva:"OOOOOOooooh, buonanotte, GRAZIE!"
"Sì, signora," dicevo io, trottando via con un uccello grosso come una casa.
Ma non poteva durare. Dopo circa una settimana e mezzo di libertà arrivò per posta:

"Egregio Mr. Chinaski:
Si presenti immediatamente in Oakford Station.
In caso contrario incorrerà nei provvedimenti
disciplinari previsti o sara passibile di licenziamento.
A. E. Jonstone, Dir., Oakford Station"

Ricominciava la via crucis.


7.

"Chinaski! Percorso 539!"
Il più duro di tutti. Caseggiati con le casette coi nomi semicancellati o addirittura inesistenti, sotto minuscole lampadine in atri oscuri. Vecchie in piedi nell'atrio, su e giù per le strade, sempre con la stessa domanda, come se fossero una sola persona con una sola voce:
"Postino, c'è posta per me?"
E ti veniva di gridare: "Signora, come cazzo faccio a sapere chi è lei o chi sono io o chi sono gli altri?"
E il sudore che colava, e lo stravolgimento della sbronza, l'impossibilità degli orari, e Jonstone là dentro con la sua camicia rossa, che lo sapeva, che si divertiva, che fingeva di farlo per tener bassi i costi. Ma tutti sapevano perché lo faceva, invece. Oh, che brava persona era Mr. Jonstone!
La gente. La gente. E i cani.
Fatemi raccontare dei cani. Era una di quelle giornate da 40 gradi all'ombra e io correvo, tutto sudato, frenetico, stravolto, con la nausea. Mi fermai in un piccolo caseggiato con la cassetta di sotto, sul marciapiede. La aprii con la mia chiave. C'era un silenzio totale. Poi qualcosa mi si infilò tra le palle e il culo. Si mosse. Guardai e vidi un pastore tedesco, adulto, col muso che mi frugava tra le chiappe. Bastava che chiudesse quelle mascelle e addio palle. Decisi che per quel giorno quella gente non avrebbe ricevuto la posta, e forse mai più. Cristo, voglio dire, si dava da fare, con quel muso, là dentro! SNIFF! SNIFF! SNIFF!
Rimisi la posta nella borsa di cuoio, e poi feci mezzo passo avanti, piano, molto piano. Il naso mi seguì. Feci un altro mezzo passo con l'altro piede. Il naso mi seguì. Poi feci un passo intero, sempre piano, molto piano. Poi un altro ancora. E mi fermai. Il naso non c'era più. E il cane stava lì fermo e mi guardava. Forse non gli era mai capitato di annusare roba come quella e non sapeva cosa fare.
Mi allontanai piano piano.


8.

C'era un altro pastore tedesco. Era estate, faceva molto caldo, e lui BALZO' fuori da un cortile e SPICCO' UN GRAN SALTO. Sentii lo schiocco delle mascelle, a pochi centimetri dalla vena giugulare.
"OH GESU'!" urlai, "OH GESU' CRISTO! ALL' ASSASSINO! ALL' ASSASSINO! AIUTO! ALL' ASSASSINO!"
La bestia si girò e fece un altro balzo. Gli centrai la testa a mezz'aria con la sacca della posta, con lettere e riviste che volavano dappertutto. Stava per spiccare un altro salto quando arrivarono due tizi, i padroni, e lo fermarono. Poi, col cane che mi guardava ringhiando, mi chinai e raccolsi le lettere e le riviste che avrei dovuto smistare da capo sulla veranda della casa dopo.
"Voi due figli di puttana siete matti," dissi a quei tizi, "il vostro cane è un assassino. Sbarazzatevene oppure tenetelo lontano dalla gente!"
Li avrei presi a cazzotti tutt'e due ma c'era quel cane che ringhiava e dava strattoni al collare in mezzo a loro. Mi fermai sulla veranda della casa dopo e cominciai a smistare la posta, carponi.
Come al solito non feci in tempo a mangiare, ma arrivai lo stesso in ufficio con quaranta minuti di ritardo.
Stone guardò l'orologio. "Sei in ritardo di 40 minuti."
"E tu non sei mai arrivato," gli dissi.
"Questo significa un'ammonizione."
"Lo so, Stone."
Aveva già il modulo infilato nella macchina per scrivere e si mise subito a picchiare i tasti. Mentre smistavo la posta e preparavo i ritorni si avvicinò e mi sbatté davanti il modulo. Ero stanco di leggere ammonizioni e sapevo che protestare era inutile, dopo quella puntata al Federal Building. Presi il modulo e lo buttai nel cestino senza guardarlo.


9.

Ogni percorso aveva le sue trappole e solo i postini fissi le conoscevano. Ogni giorno ce n'era una nuova, e bisognava sempre stare in guardia, contro assassini, stupratori, cani o altri stramaledetti lunatici. I fissi non te li dicevano, i loro piccoli segreti. Era l'unico vantaggio che avevano... oltre a sapere a memoria tutti gli indirizzi. Erano cazzi acidi per i nuovi, specialmente per quelli che passavano la sera a bere, andavano a letto alle 2, e si alzavano alle 4.30 dopo aver scopato e cantato per tutta la notte e averla passata liscia, o quasi.
Un giorno ero per strada e il percorso stava andando bene, anche se era nuovo, e pensai, Gesù cristo, forse per la prima volta da due anni a questa parte riuscirò a mangiare.
Avevo un tremendo man di testa da sbronza, ma andò bene lo stesso fino a quando dovetti consegnare un pacchetto di lettere indirizzate a una chiesa. Sull'indirizzo non c'era il numero, solo la via e il nome della chiesa. Salii gli scalini con la testa che martellava. Non c'era la cassetta delle lettere e non c'era nessuno, là dentro. C'erano delle candele accese. Acquasantiere in cui immergere le dita. E il pulpito vuoto che mi guardava, e tutte quelle statue, rosso e chiaro, e azzurre e gialle, le finestre chiuse, l'aria del mattino calda e puzzolente.
Oh Gesù Cristo, pensai.
E uscii fuori.
Girai intorno alla chiesa e trovai una scala che scendeva. Entrai da una porta aperta. Sapete cosa vidi? Una fila di cessi. E docce. Ma era buio. Le luci erano spente. Come cazzo fanno a pensare che si possa trovare una cassetta delle lettere al buio? Poi vidi l'interruttore. Lo alzai e le luci della chiesa si accesero, dentro e fuori. Andai nella stanza vicina e vidi un sacco di paramenti sparsi sul tavolo. C'era una bottiglia di vino.
Gesù Cristo, pensai, chi altro potrebbe capitare in un posto come questo se non Chinaski?
Presi la bottiglia di vino, buttai giù una bella sorsata, lasciai le lettere sui paramenti, e tornai indietro verso i cessi e le docce. Spensi le luci, feci una cacata al buio e fumai una sigaretta. Pensai anche di farmi una doccia ma mi pareva già di vedere i titoli: POSTINO SORPRESO A BERE IL SANGUE DEL REDENTORE E A FARE LA DOCCIA, NUDO, IN UNA CHIESA CATTOLICA.
Così, dopotutto, non feci in tempo a mangiare, e quando arrivai in ufficio Jonstone mi sbatté davanti un'ammonizione per il ritardo, ventitré minuti.
In seguito appresi che la posta indirizzata alla chiesa andava recapitata alla casa parrocchiale dietro l'angolo. Ma adesso almeno so dove andare a cacare e a fare la doccia in caso di bisogno.


10.

Cominciò la stagione delle piogge. Quasi tutti i soldi mi andavano via in alcool e avevo i buchi nelle suole delle scarpe e un impermeabile vecchio e strappato. Quando pioveva forte mi bagnavo tutto, proprio tutto... perfino le mutande e i calzini erano zuppi e gocciolanti. I postini fissi si davano malati, si davano malati in tutti gli uffici della città, e quindi c'era lavoro tutti i giorni, alla Oakford Station, in tutti gli uffici. Perfino i supplenti si davano malati. Io non mi diedi malato perché ero troppo stanco per fare una pensata qualsiasi. Quella mattina mi mandarono alla Wently Station. C'era uno di quei temporali di 5 giorni in cui la pioggia è una cortina ininterrotta e la città scazza, tutti scazzano, le fogne non riescono a inghiottire l'acqua che trabocca sui marciapiedi e in certe zone anche nei giardini e nelle case.
Mi mandarono alla Wently Station.
"Hanno detto che hanno bisogno di un uomo in gamba," mi gridò dietro Stone mentre mi tuffavo in una cortina d'acqua.
La porta si chiuse. Se il motore si avvia, e si avviò, potevo partire per Wently. Ma non aveva importanza, se la macchina non partiva ti infilavano su un autobus. Avevo già i piedi tutti fradici.
Il capo di Wently mi mostrò un casellario. Era già strapieno e io cominciai a infilarci altra posta aiutato da un altro supplente. Non avevo mai visto un casellario come quello! Doveva essere uno stramaledetto scherzo. C'erano 12 suddivisioni, nel casellario. Quel casellario doveva contenere la posta di mezza città. Ancora non sapevo che quel percorso andava tutto su per colline ripidissime. Chiunque l'avesse ideato doveva essere pazzo.
Smistammo la posta e la preparammo, e proprio quando stavo per partire arrivò il capo e disse: "Non posso darvi un aiuto per questa."
"Non importa," dissi io.
Cazzo se importava. Solo in seguito scoprii che il capo era culo e camicia con Jonstone.
Il percorso cominciava dall'ufficio. Il primo di dodici giri. Uscii nella cortina d'acqua e sguazzai giù per la collina. Era la parte povera della città... case piccole e cortili con le cassette piene di ragni, cassette appese con un chiodo solo, vecchie che rollavano sigarette e masticavano tabacco e canticchiavano coi canarini e ti guardavano, l'idiota che si era perso nella pioggia.
Le mutande quando si bagnano scivolano giù, giù, giù sulle chiappe del culo, una fascia bagnata tenuta su dal cavallo dei pantaloni. La pioggia spandeva l'inchiostro degli indirizzi; le sigarette non volevano saperne di restare accese. Bisognava continuare a pescare le riviste nella borsa. Era il primo giro ed ero già stanco. Le scarpe erano così incrostate di fango che sembravano stivali. Ogni tanto capitavo su un tratto scivoloso e rischiavo di cascare.
Si aprì una porta e una vecchia fece la domanda che mi facevano cento volte al giorno:
"Dov'è il postino, oggi?"
"Signora, LA PREGO, come vuole che faccia a saperlo? Come cazzo faccio a saperlo? Io sono qui e lui è da qualche altra parte."
"Oh, ma lo sa che lei è proprio un tipaccio!"
"Un tipaccio?"
"Sì."
Scoppiai a ridere e le misi in mano una busta voluminosa zuppa d'acqua, poi continuai il giro. Forse in cima alle colline sarà meglio, pensai.
Un'altra vecchia, per essere gentile, mi chiese: "Non vuole entrare un momento e bere una tazza di tè e asciugarsi un po'?"
"Signora, ma si rende conto che non abbiamo tempo nemmeno di tirarci su le mutande?"
"Le mutande?"
"Sì, LE MUTANDE!" le urlai in faccia e uscii nella parete d'acqua.
Finii il primo giro. Mi ci volle su per giù un'ora. Ancora undici giri, che voleva dire ancora undici ore. Impossibile, pensai. Devono avermi dato il più duro per primo.
Sulla collina era peggio perché bisognava trascinarsi in salita.
Mezzogiorno arrivò e se ne andò. Senza mangiare. Ero al quarto o quinto giro. Perfino in una giornata buona quel percorso sarebbe stato impossibile. Così era tanto impossibile che era impossibile addirittura pensarci.
Alla fine ero così bagnato che credevo di annegare. Trovai una veranda che lasciava passare poca acqua e mi fermai un po' e riuscii perfino ad accendere una sigaretta. Feci 3 o 4 tiri poi sentii la voce di una vecchietta dietro di me:
"Postino! Postino!"
"Sì, signora?" dissi.
"LA POSTA SI STA BAGNANDO!"
Guardai giù verso la borsa ed era vero, l'avevo lasciata aperta. Un paio di gocce erano cadute dentro da un buco nel tetto della veranda.
Me ne andai. Adesso basta, pensai, solo un idiota sopporterebbe quello che sto sopportando io. Adesso cerco un telefono e gli dico di venire a prendersi la loro posta perché io mi licenzio. Jonstone ha vinto.
Nell'istante in cui decisi di licenziarmi cominciai a sentirmi molto meglio. Attraverso la cortina di pioggia, in fondo alla discesa, vidi una costruzione che sembrava un posto col telefono. Ero a metà della discesa. Quando arrivai in fondo vidi che era un piccolo caffé. C'era il riscaldamento acceso. Bene, merda, pensai, tanto vale che mi asciughi. Mi tolsi l'impermeabile e il berretto, buttai la borsa sul pavimento e ordinai una tazza di caffé.
Era un caffé molto nero. Fatto coi fondi di un altro caffé. Il peggior caffé che avessi mai assaggiato, ma era caldo. Ne bevvi 3 tazze e restai là seduto un 'ora, fino a quando fui bene asciutto. Poi guardai fuori: aveva smesso di piovere! Uscii e ripartii su per la salita e ricominciai a distribuire la posta. Me la presi comoda e finii il percorso. Al dodicesimo giro camminavo nel crepuscolo. Arrivai all'ufficio che era buio.
L'entrata del personale era chiusa.
Bussai alla porta di lamiera.
Arrivò un ragazzotto bello caldo e aprì la porta.
"Perché cazzo ci hai messo tanto?" mi urlò.
Andai al casellario e buttai per terra la borsa bagnata piena di ritorni, errori e posta raccolta. Poi presi la chiave e la buttai contro il casellario. Me ne fregai. Lui mi guardava.
Lo guardai.
"Ragazzo, se osi dire anche una sola parola, se fai anche solo uno starnuto, com'è vero Dio, ti ammazzo!"
Il ragazzo non disse niente. Timbrai il cartellino.
La mattina dopo aspettai che Jonstone si girasse sulla sua sedia e dicesse qualcosa. Lui fece come se niente fosse. Aveva smesso di piovere e i fissi erano guariti. Stone mandò a casa 3 supplenti senza paga, uno ero io. Lo amai, in quel momento.
Andai a casa e lo appoggiai al culo caldo di Betty.


11.

Ma poi ricominciò a piovere. Stone mi mandò a fare un giro che si chiamava raccolta della domenica, e se pensate che fosse roba di chiesa, vi sbagliate. Bisognava andare allo West Garage a prendere un furgone e un foglio di istruzioni. Sul foglio c'era scritto in quali vie bisognava andare, a che ora, e come si faceva ad arrivare alla cassetta dopo. Tipo 2.32, Beecher e Avalon, S3 D2 (che significava tre isolati a sinistra e due a destra) 2.35, e veniva da chiedersi come si faceva a vuotare una cassetta, poi andar giù per 5 isolati in 3 minuti e vuotare un'altra cassetta. Certe volte ci volevano 3 minuti solo per vuotare una di quelle cassette della domenica. E le indicazioni erano sbagliate. Capitava che prendessero un viale per una via e una via per un viale. Non sapevo mai dov'ero.
Era una di quelle piogge continue, non forti, ma incessanti. La zona era nuova per me, ma almeno c'era abbastanza luce per leggere le istruzioni. Poi però cominciò a far buio e diventò sempre più difficile leggere (alla luce del cruscotto) e trovare le caselle. Poi le strade cominciarono ad allagarsi e avevo già infilato parecchie volte i piedi in pozzanghere alte fino alla caviglia.
Poi la luce del cruscotto si spense. Non potevo più leggere le istruzioni. Non avevo idea di dove fossi. Senza quelle istruzioni ero come sperduto nel deserto. Ma la fortuna non mi aveva abbandonato del tutto... non ancora. Avevo due scatole di fiammiferi, e prima di passare per la cassetta dopo, accendevo un fiammifero, leggevo le istruzioni e andavo. Per una volta ero riuscito a farla in barba al Destino Avverso, a quel Jonstone lassù in cielo, che guardava giù, che mi spiava.
Poi voltai l'angolo, saltai giù per vuotare la cassetta e quando tornai indietro le istruzioni erano SPARITE!
Jonstone lassù in Cielo, abbi Pietà! Mi ero perduto nel buio e nella pioggia. Possibile che fossi davvero idiota, dopotutto? Ero io che andavo a cercarmele, le rogne? Possibile. Era possibile che fossi davvero subnormale, che per me fosse già una fortuna riuscire a sopravvivere.
Le istruzioni erano attaccate al cruscotto. Pensai che fossero volate fuori dal furgone all'ultima svolta brusca. Scesi dal furgone con i pantaloni arrotolati alle ginocchia e cominciai a guadare l'acqua alta 30 centimetri. Era buio. Non le troverò mai, le stramaledette istruzioni! Continuai a camminare, accendendo fiammiferi... ma niente, niente. Le aveva portate via l'acqua. Arrivato all'angolo ebbi il buon senso di guardare da che parte tirava la corrente e seguirla. Vidi un oggetto galleggiare sull'acqua, accesi un fiammifero, ed eccole lì. Le istruzioni. Impossibile! Le avrei baciate. Tornai a guado fino al furgone, salii, tirai giù le gambe dei pantaloni e attaccai quelle istruzioni al cruscotto. Naturalmente ormai ero in ritardo, ma almeno ero riuscito a ritrovare quelle stramaledette istruzioni. Non mi ero perduto nei meandri di Nonsodove. Non sarei stato costretto a suonare un campanello e a chiedere a qualcuno come fare a tornare al garage delle poste.
Mi sembrava già di sentirlo, il figlio di puttana nel suo soggiorno caldo:
"Bene, bene. Lei è un impiegato delle poste, eh? E non riesce a trovare la strada per tornare al suo garage, eh?"
Continuai a guidare, accendendo un fiammifero dopo l'altro, saltando nei gorghi d'acqua e svuotando una cassetta dopo l'altra. Ero stanco e bagnato e stravolto dalla sbronza della sera prima, ma d'altra parte ero sempre stanco e stravolto e ormai ero abituato alla stanchezza e allo stravolgimento come alla pioggia. Continuai a pensare a un bagno caldo e alle belle gambe di Betty, e, tanto per non crollare, immaginavo di star seduto in una bella poltrona, con un bicchiere pieno in mano, il cane che scodinzolava, io che gli carezzavo la testa.
Ma era una visione remota. Le fermate sulle istruzioni sembravano infinite e quando arrivai in fondo al foglio trovai scritto "Voltare" e così voltai e manco a dirlo sul retro c'era un'altra lista di fermate.
Con l'ultimo fiammifero feci l'ultima fermata, depositai la posta all'ufficio indicato, ed era tanta, e poi tornai indietro, allo West Garage. Era all'estremità ovest della città e laggiù il terreno era molto piatto, la rete di fognature non riusciva a contenere tutta l'acqua, e tutte le volte che pioveva un po' c'era quella che chiamavano un' "alluvione". Era il termine giusto.
Man mano che avanzavo col furgone l'acqua si faceva sempre più alta. Vidi macchine ferme e abbandonate dappertutto. Peccato. Io volevo solo arrivare il più presto possibile a quella poltrona e al bicchiere di scotch e guardare il culo di Betty ballonzolare per la stanza. Poi a uno stop incontrai Tom Moto, un altro dei supplenti di Jonstone.
"Da che parte vai?" chiese Moto.
Mi hanno insegnato che la distanza più breve fra 2 punti è una linea retta," gli risposi.
"Non in questo caso," disse lui. "La conosco, quella zona. E' un vero e proprio lago, laggiù."
"Balle," dissi, "ci vuol solo un po' di fegato. Hai un fiammifero?"
Accesi e lo lasciai allo stop.
Arrivo, Betty, piccola mia!
Già.
L'acqua si faceva sempre più alta, ma anche i furgoni delle poste sono alti. Presi la scorciatoia attraverso il quartiere residenziale, a tutta birra, e l'acqua si alzò tutt'intorno. Continuava a piovere, forte. Non c'erano macchine in giro. Ero l'unico oggetto in movimento.
Betty, piccola mia. Già.
Un tizio dalla veranda di una casa fece una risata e urlò: "IL SERVIZIO POSTALE NON SI FERMA MAI!"
Bestemmiai e gli feci le corna.
Mi accorsi che l'acqua era entrata nella macchina e giravavorticosamente intorno alle mie scarpe, ma continuai a guidare. Ancora 3 isolati!
Poi il furgone si fermò.
Oh. Oh. Merda.
Restai lì ad armeggiare con l'accensione. Il motore si accese, poi si spense di nuovo. E non si accese più. Restai lì a guardare l'acqua. Doveva essere alta almeno 60 centimetri. Che cosa dovevo fare? Restar lì fermo fino all'arrivo di una squadra di soccorso?
Che cosa diceva il manuale delle Poste? E dov'era? Non avevo mai conosciuto nessuno che l'avesse visto.
Balle.
Chiusi il furgone, mi misi in tasca le chiavi, scesi nell' acqua che mi arrivava quasi alla vita e mi avviai a guado verso lo West Garage. Pioveva ancora. All'improvviso l'acqua si alzò di altri 10 o 12 centimetri. Prima ero su un prato e adesso ero sceso sul marciapiede. Il furgone era parcheggiato sul prato di qualcuno.
Per un attimo pensai che avrei fatto prima a nuotare, poi pensai, no, sarei sembrato ridicolo. Arrivai al garage e andai a consegnare le chiavi. Ero lì, più bagnato del bagnato, e l'impiegato mi guardò.
Gli gettai le chiavi del furgone e quelle dell'accensione.
Poi scrissi su un pezzo di carta: 3435 Mountview Place.
"Il tuo furgone è a questo indirizzo. Vai a prenderlo."
"Vuoi dire che l'hai lasciato laggiù?"
"Voglio dire che l'ho proprio lasciato laggiù."
Mi avvicinai, timbrai il cartellino, poi mi spogliai, restai in mutande e mi misi davanti al radiatore. Appesi i vestiti sopra il radiatore. Poi guardai in fondo alla stanza e là, vicino a un altro radiatore, c'era Tom Moto, anche lui in mutande.
Scoppiammo a ridere.
"Tempo di merda, eh?" disse lui.
"Incredibile."
"Credi che sia stato Stone?"
"Cazzo, sì! E' lui che fa piovere!"
"Ti si è fermato il furgone?"
"già," dissi.
"Anche a me."
"Senti, bello," dissi, "la mia macchina ha 12 anni. La tua è nuova. Di certo la mia non si muoverà. Me la daresti una spinta per metterla in moto?"
"O.K."
Ci vestimmo e uscimmo. Moto aveva comprato una macchina nuova circa 3 settimane prima. Aspettai che mettesse in moto. Niente. Oh Cristo, pensai.
L'acqua era già sul pavimento.
Moto scese dalla macchina.
"Niente da fare. Non va."
Provai a mettere in moto la mia, senza sperarci molto. Sentii qualcosa nella batteria, una scintilla, anche se debole. Diedi gas, ci riprovai. Si accese. Diedi gas come un matto. VITTORIA! Scaldai il motore per bene. Poi feci marcia indietro e cominciai a spingere la macchina nuova di Moto. La spinsi per un paio di chilometri. Niente da fare. Non faceva nemmeno una scoreggia. Lo spinsi in garage, ce lo lasciai, feci un bel giro per tenermi lontano dalle strade alluvionate e riuscii a tornare dal culo di Betty.


12.

Il postino preferito di Stone era Matthew Battles. Battles non aveva mai nemmeno una piega sulla camicia. In effetti aveva sempre addosso roba nuova, che sembrava nuova. Le scarpe, le camicie, i pantaloni, il berretto. Aveva sempre le scarpe luccicanti e sembrava che i suoi vestiti non fossero stati lavati nemmeno una volta. Quando su una camicia o su un paio di pantaloni c'era una macchiolina, li buttava via.
Quando passava Matthew Stone diceva:
"Ah, ecco un vero postino!"
E diceva sul serio, Stone! Aveva una luce da innamorato negli occhi, praticamente.
E Matthew se ne stava lì davanti al suo casellario, dritto e immacolato, lustro e fresco come una rosa, con le scarpe trionfalmente luccicanti, e infilava le lettere nel casellario con gioia.
"Tu sì che sei un vero postino, Matthew!" "Grazie, Mr. Jonstone!" Una mattina alle 5 entrai in ufficio e mi sedetti ad aspettare dietro Stone. Sembrava un po' loffio sotto la camicia rossa. Moto era lì vicino a me. Mi disse: "Ieri hanno arrestato Matthew.""Arrestato?""Sì, per furto. Apriva le lettere del Nekalaya Temple e prendeva i soldi. Dopo 15 anni di servizio.""E come hanno fatto a beccarlo?""Le vecchie. Queste vecchie mandavano lettere piene di soldi al Nekalaya da anni e non ricevevano mai risposte, ringraziamenti o altro. Nekalaya l'ha detto alla direzione e la direzione ha cominciato a tener d'occhio Matthew.""Senza scherzi?""Senza scherzi. L'hanno preso in pieno giorno."Mi appoggiai allo schienale. Nekalaya aveva costruito quel grosso tempio e l'aveva dipinto di un verdolino vomitevole, credo che gli ricordasse i dollari, e aveva 30 o 40 dipendenti che non facevano altro che aprire buste, tirar fuori assegni e contanti, registrare il totale, il mittente, la data di arrivo eccetera. Altri invece si davano da fare a spedir libri e opuscoli scritti da Nekalaya, e c'era la sua foto alla parete, una grande foto di N. in abiti talari con la barba, e un ritratto di N., anche quello molto grande, nell'ufficio, che teneva d'occhio gli impiegati. Nekalaya sosteneva che una volta, camminando nel deserto, aveva incontrato Gesù Cristo e Gesù Cristo gli aveva detto tutto. Si erano seduti insieme su un masso e G. C. gli aveva detto tutto. Adesso trasmetteva i segreti di Gesù Cristo a quelli che potevano permetterseli. Teneva anche una funzione ogni domenica. I suoi aiutanti, che erano anche suoi segretari, andavano e venivano timbrando il cartellino. Immaginatevi un po', Matthew che cercava di fregare Nekalaya che aveva incontrato Cristo nel deserto! "L'hanno detto a Stone?" chiesi. "Vuoi scherzare?"Restammo lì su per giù un'ora. Misero un supplente al posto di Matthew. Gli altri supplenti ricevettero le loro istruzioni. Io restai seduto lì dietro a Stone. Poi mi alzai e andai alla sua scrivania. "Mr. Jonstone?" "Sì, Chinaski?" "Dov'è Matthew, oggi? Malato?" La testa di Stone cadde sul petto. Guardò il foglio che teneva in mano e fece finta di continuare a leggere. Tornai indietro a mi sedetti. Alle 7 Stone si voltò."Non c'è niente per te oggi, Chinaski. "Mi alzai e andai alla porta. Mi fermai sulla porta. "Arrivederci, Mr. Jonstone. Buona giornata. "Non rispose. Andai al negozio di liquori e comprai mezza pinta di Grandad per colazione.

13.

La gente diceva sempre le stesse cose, in qualunque posto andassi a distribuire la posta sentivo sempre le stesse cose, in continuazione.
"E' in ritardo, oggi!"
"Dov'è il postino solito?"
"Postino! Postino! Questa non è per me!"
Le strade erano piene di gente stupida e malata di testa. Avevano quasi tutti una bella casa e pareva che non lavorassero, e veniva da chiedersi come facessero. C'era un tizio che non voleva che gli mettessi la posta nella cassetta. Si metteva in mezzo al viale e mi guardava arrivare da 2 o 3 isolati di distanza e stava lì con la mano alzata.
Chiesi agli altri che avevano avuto quel percorso:
"Che cos'ha quel tizio che sta sempre in mezzo al viale con la mano alzata?"
"Quale tizio che sta sempre con la mano alzata in mezzo al viale?"
Anche loro dicevano sempre le stesse cose.
Un giorno che mi avevano assegnato quel percorso vidi l'uomo-con-la-mano-alzata a un isolato di distanza. Stava parlando con un vicino, si guardò alle spalle, vide che ero a più di un isolato di distanza e pensò di avere il tempo di tornare indietro prima del mio arrivo. Credo di non aver mai lavorato tanto in fretta, tutto gambe e braccia, senza mai fermarmi, l'avrei fregato. La lettera era già metà dentro la fessura della sua cassetta quando si voltò e mi vide.
"OH NO NO NO!" gridò, "NON LA METTA NELLA CASSETTA!"
Arrivò di corsa verso di me. Vidi solo la polvere che sollevava. Stava facendo i cento metri in 9 secondi e 2.
Gli misi in mano la lettera. Lo guardai. La aprì, attraversò la veranda, aprì la porta ed entrò in casa. Aspetto ancora che qualcuno mi dica che cosa significa tutto questo.


14.

Avevo un nuovo percorso. Stone mi assegnava sempre percorsi duri, ma ogni tanto, per forza di cose, era costretto a darmene qualcuno decente. Il percorso 511 stava andando abbastanza bene, e già stavo pensando a mangiare, a quella colazione che non riuscivo mai a fare.
Era un quartiere residenziale medio. Niente caseggiati. Solo case, una dopo l'altra, coi giardini ben tenuti. Ma era un percorso nuovo, e io camminavo e intanto continuavo a chiedermi dov'era la trappola. Perfino il tempo era bello.
Dio mio, pensai, questa è la volta che ce la farò! Mangerò e poi via, di nuovo al lavoro! Finalmente la vita era sopportabile.
Quella gente non teneva nemmeno cani. Nessuno stava fuori dalla porta ad aspettare la posta. Non sentivo una voce umana da ore. Forse avevo raggiunto la maturità postale, qualunque cosa fosse. Continuai a camminare, efficiente, quasi impegnato.
Ricordai uno dei postini vecchi che mi diceva con la mano sul cuore: "Chinaski, un giorno o l'altro ti beccherà, qui, guarda, proprio qui!"
"L'infarto?"
"L'amore per il tuo lavoro. Vedrai. Ti sentirai orgoglioso del tuo lavoro."
"Balle!"
Ma quell'uomo aveva ragione.
Pensai a lui camminando.
Dovevo consegnare una raccomandata con ricevuta di ritorno.
Andai alla porta e suonai il campanello. Si aprì uno sportello nella porta. Non vedevo la faccia dietro lo sportello.
"Raccomandata!"
"Indietro!" disse una voce di donna. "Indietro! Voglio vederti in faccia!"
Ecco, pensai, ci siamo, un'altra pazza.
"Senta, signora, non è necessario che mi veda in faccia. Lascerò l'avviso nella cassetta e verrà lei a ritirare la lettera all'ufficio postale. Porti un documento d'identità."
Misi l'avviso nella cassetta e feci per scendere gli scalini della veranda.
La porta si aprì e lei corse fuori. Aveva addosso una di quelle vestaglie trasparenti e non portava il reggiseno. Solo un paio di mutandine azzurre. Aveva i capelli spettinati, a ciocche ritte sulla testa come se stessero cercando di scappar via. Doveva avere una crema in faccia, sotto gli occhi, per lo più. Aveva la pelle bianca come se non avesse mai visto il sole e un colorito malsano. Teneva la bocca aperta. Portava un velo di rossetto e aveva un sacco di ciccia nei punti...
Vidi tutto questo mentre lei mi correva incontro. Stavo rimettendo la raccomandata nella borsa.
Urlò: "Mi dia quella lettera!"
"Dissi: "Signora, dovrà venire..."
Afferrò la lettera e corse alla porta, la aprì e sparì dentro casa.
Porco mondo! Non potevo tornare indietro senza la raccomandata o la firma! Bisognava perfino firmare alla partenza e al ritorno, con quelle lettere.
"EHI!"
Le corsi dietro e infilai il piede nella porta appena in tempo.
"EHI! PORCO MONDO!"
"Vada via! Vada via! Lei è un malintenzionato!"
"Senta, signora! Cerchi di capire! Deve firmare la ricevuta! Altrimenti non posso lasciarle la lettera! Lei sta derubando le poste degli Stati Uniti!"
"Se ne vada! Malintenzionato!"
Mi appoggiai alla porta con tutto il peso e spinsi. Era buio là dentro. Le tapparelle erano tutte abbassate.
"LEI NON HA DIRITTO DI ENTRARE IN CASA MIA! SE NE VADA!"
"E lei non ha diritto di derubare le poste! Mi dia la lettera, oppure firmi la ricevuta. Poi me ne andrò."
"Va bene! Va bene! Firmerò."
Le feci vedere dove doveva firmare e le diedi una penna. Le guardai il seno e il resto e pensai, peccato che sia matta da legare, peccato, peccato.
Mi restituì la penna e la ricevuta firmata... uno scarabocchio. Aprì la lettera, cominciò a leggere mentre io mi voltavo per andarmene.
Poi me la trovai davanti, era tra me e la porta, con le braccia spalancate. La lettera era per terra.
"Bruto! Bruto! Vuoi violentarmi!"
"Senta, signora, mi faccia passare."
"TE LO SI LEGGE IN FACCIA CHE SEI UN BRUTO!"
"Lo so già. E adesso mi lasci uscire."
Cercai di spostarla di lato con una mano. Mi graffiò una guancia, un bel graffio. Lasciai cadere la borsa, persi il berretto, e mentre mi stavo tamponando il sangue con un fazzoletto lei attaccò l'altra guancia.
"BRUTTA PUTTANA! SI PUO' SAPERE CHE CAZZO TI SEI MESSA IN TESTA?"
"Visto? Visto? Sei un bruto!"
Mi stava addosso. Le afferrai le chiappe del culo e misi la bocca sulla sua. Sentivo quei seni contro il petto, mi stava tutta addosso. Buttò indietro la testa, per scostarsi...
"Bruto! Bruto! Vuoi violentarmi!"
Abbassai la testa e le presi in bocca una tetta, poi passai all'altra.
"Aiuto! Aiuto! Mi violentano!"
Aveva ragione. Le tirai giù le mutande, tirai giù la cerniera dei pantaloni, glielo misi dentro, poi la trascinai verso il divano. Cademmo sul divano.
Alzò le gambe in alto.
"AIUTO!" gridò.
Sborrai, mi tirai su la lampo, raccolsi la borsa della posta e me ne andai lasciandola lì a fissare assorta il soffitto...
Non andai a mangiare ma non riuscii lo stesso a finire il percorso in orario.
"Sei in ritardo di 15 minuti," disse Stone.
Io non dissi niente.
"Stone mi guardò. "Dio onnipotente, che cosa ti sei fatto alla faccia?" chiese.
"E lei, che cos'ha fatto alla sua?" chiesi io.
"Che cosa?"
"Niente, niente."


15.

Ero di nuovo stravolto dall' alcool, c'era un'altra ondata di caldo... 40 gradi, da una settimana. Passavo le serate a bere, sempre, e la mattina presto c'era Stone e quelle giornate impossibili.
I ragazzi portavano caschi coloniali e occhialoni, ma io no, per me era sempre lo stesso, col sole e colla pioggia... vestiti stracciati, e scarpe così vecchie che i chiodi mi si piantavano nei piedi. Mi mettevo il cartone nelle scarpe. Ma era un sollievo temporaneo... dopo un po' i chiodi ricominciavano a scavarmi i calcagni.
Perdevo birra e whiskey, a fontanella, dalle ascelle, e andavo in giro con quella croce sulle spalle, tiravo fuori riviste, consegnavo migliaia di lettere, barcollando, col sole che picchiava.
Una donna mi gridò dietro:
"POSTINO! POSTINO! QUESTA NON E' PER ME!"
Guardai. Era un isolato più in giù, in discesa, e io ero già in ritardo.
"Senta, signora, metta la lettera fuori dalla cassetta! La ritireremo domani."
"NO! NO! LA PRENDA ADESSO!"
Sventolava quella lettera nel cielo.
"Signora!"
"VENGA A PRENDERLA! NON E' PER ME!"
Oh dio mio.
Misi giù la sacca. Poi presi il berretto e lo buttai sul prato. Rotolò sulla strada. Lo lasciai lì e mi incamminai verso la donna. Mezzo isolato.
La raggiunsi e le strappai di mano la lettera, mi voltai, tornai indietro.
Era un volantino pubblicitario! Posta di quarta categoria. L'avviso di una svendita di articoli di abbigliamento a metà prezzo.
Raccolsi il berretto sulla strada, me lo misi in testa. Issai la sacca sulle spalle, alla sinistra della spina dorsale, ripresi a camminare. 40 gradi!
Passai davanti a una casa e una donna mi corse dietro.
"Postino! Postino! Non c'è niente per me?"
"Signora, se non le ho messo niente nella cassetta, vuol dire che non c'è niente per lei."
"Ma deve esserci una lettera per me!"
"Che cosa glielo fa pensare?"
"Mia sorella mi ha telefonato e mi ha detto che mi avrebbe scritto."
"Signora, non ho niente per lei."
"Ma deve esserci una lettera! Ne sono certa! Sono certa che è là in mezzo."
Tese la mano verso un mazzetto di lettere.
"NON TOCCHI LA POSTA DEGLI STATI UNITI, SIGNORA! NON C'E' NIENTE PER LEI OGGI!"
Mi voltai e me ne andai.
"SONO SICURA CHE C'E' LA MIA LETTERA LI' DENTRO!"
C'era un'altra donna sulla veranda di una casa.
"E' in ritardo, oggi."
"Sì, signora."
"Dov'è il postino solito?"
"Ha il cancro. Sta morendo."
"Sta morendo? Di cancro? Harold sta morendo di cancro?"
"Proprio così," dissi.
Le diedi la posta.
"BOLLETTE! BOLLETTE! BOLLETTE!" urlò. "POSSIBILE CHE NON MI PORTIATE MAI ALTRO CHE BOLLETTE?"
"Sì, signora, solo bollette."
Mi voltai e ripresi a camminare.
Non era colpa mia se usavano il telefono e il gas e la luce e comperavano tutto a credito. Eppure quando gli portavano le bollette se la prendevano con me... come se gliel'avessi ordinato io, di farsi mettere il telefono, o di comperare la TV da 350 dollari a rate.
La fermata dopo era una casa a due piani, abbastanza nuova, con dieci o dodici appartamenti. La cassetta era sul davanti, sotto il tetto della veranda. Finalmente un po' d'ombra. Misi la chiave nella serratura della cassetta e la aprii.
"SALVE ZIO SAM! COME ANDIAMO OGGI?"
Urlava, quasi. Non me l'aspettavo, quella voce di uomo alle spalle. Urlava, e io ero nervoso, dopo la bevuta della sera prima. Feci un salto. Era troppo. Tolsi la chiave dalla cassetta e mi girai. C'era solo una porta schermata davanti a me. Là dentro c'era qualcuno. Invisibile, a godersi l'aria condizionata.
"Porco mondo!" gridai, "non chiamatemi zio Sam! Non sono lo zio Sam!"
"Oh, sei un furbacchione, eh? Per due cents vengo fuori e ti faccio il culo!"
Presi la borsa e la sbattei per terra. Le lettere e le riviste volarono dappertutto. Avrei dovuto smistarle di nuovo, dopo. Presi il berretto e lo sbattei sul cemento.
"VIENI FUORI? BRUTTO FIGLIO DI PUTTANA! OH, DIO ONNIPOTENTE, TI PREGO! VIENI FUORI! VIENI FUORI, AVANTI, VIENI FUORI!"
Volevo ammazzarlo.
Non venne fuori nessuno. Non si sentiva volare una mosca. Guardai la porta schermata. Niente. Come se l'appartamento fosse vuoto. Per un attimo pensai di entrare a vedere. Poi mi voltai, mi misi in ginocchio e cominciai a smistare le lettere e le riviste. Era una parola, senza casellario. In venti minuti rimisi tutto a posto. Infilai un paio di lettere nella cassetta, lasciai cadere le riviste sulla veranda, chiusi la cassetta, diedi un'occhiata alla porta schermata. Non si sentiva volare una mosca.
Finii il giro, e camminando pensavo, adesso quello telefona a Jonstone e gli dice che l'ho minacciato. Meglio prepararsi al peggio.

Spalancai la porta e vidi Jonstone seduto alla sua scrivania. Leggeva qualcosa.
Restai lì a guardarlo, in attesa.
Stone alzò gli occhi, poi li riabbassò su qualunque cosa stesse leggendo.
Continuai a guardarlo, in attesa.
Stone continuò a leggere.
"Be'," dissi alla fine, "e allora?"
"Allora che cosa?" Stone alzò la testa.
"LA TELEFONATA! MI DICA DI QUELLA TELEFONATA! NON RESTI LI' A GUARDARMI COME SE NIENTE FOSSE!"
"Quale telefonata?"
"Non ha ricevuto una telefonata su di me?"
"Una telefonata? Perché, cos'è successo? Che cosa hai combinato? Si può sapere, eh?"
"Niente."
Andai a depositare la borsa.
Quel tizio non aveva telefonato. Non certo per fare un'opera buona. Probabilmente aveva pensato che sarei tornato a pestarlo, se avesse telefonato.
Passai davanti a Stone, diretto al casellario.
"Che cosa hai combinato, oggi, Chinaski?"
"Niente."
Questa storia lo mandò in confusione al punto che si dimenticò di dirmi che ero in ritardo di 30 minuti e di sbattermi davanti un'ammonizione.


16.

Una mattina stavo sistemando la posta nel casellario vicino a G.G. Lo chiamavano tutti così: G.G. In realtà si chiamava George Green. Ma lo chiamavano G.G. da anni e ormai sembrava proprio un G.G. Faceva il postino da quando aveva vent'anni e adesso ne aveva quasi settanta. Non aveva più voce. Non parlava. Gracchiava. E quando gracchiava, non diceva molto. Non era simpatico né antipatico. Era lì e basta. La sua faccia si era raggrinzita in strane rughe e rigonfi di carne repellente. Non c'era luce nei suoi occhi. Era solo un vecchio indurito che aveva lavorato tutta la vita: G.G. Aveva gli occhi come pezzetti di argilla opaca lasciati cadere dentro le orbite. Era meglio non pensare a lui, non guardarlo.
Ma G.G. con tutti quegli anni di anzianità aveva uno dei percorsi migliori, proprio al confine della zona dei ricchi. In effetti era giusto chiamarla zona dei ricchi. Le case erano vecchie ma grandi, quasi tutte a due piani. Vasti giardini col prato rasato e curato da giardinieri giapponesi. Ci abitavano alcuni attori del cinema. Un famoso disegnatore di vignette. Uno scrittore di grido. Due ex governatori. Nessuno rivolgeva mai la parola al postino in quella zona. Non si vedeva mai nessuno. Si incontrava qualche persona solo all'inizio del percorso, dove c'erano case meno lussuose, e lì c'erano anche i bambini che rompevano le scatole. Voglio dire, G.G. era scapolo. E aveva un fischietto. All'inizio del giro si piantava in mezzo al marciapiede dritto come un fuso, tirava fuori il fischietto, un bel fischietto grosso, e fischiava, sputacchiando in tutte le direzioni. Questo per far sapere ai bambini che era arrivato. Portava le caramelle ai bambini. Loro arrivavano di corsa e lui gli dava le caramelle e intanto continuava per la strada. Buon vecchio G.G.
Avevo scoperto questa storia delle caramelle la prima volta che avevo fatto quel giro. A Stone non piaceva l'idea di darmi percorsi facili ma ogni tanto capitava che non avesse scelta. Così stavo camminando quando arrivò un ragazzino e mi chiese:
"Ehi, dove sono le mie caramelle?"
E io dissi: "Quali caramelle, ragazzino!"
E il ragazzino disse: "Le mie caramelle! Voglio le mie caramelle!"
"Senti ragazzino," dissi, "devi essere impazzito. Come mai tua madre ti lascia andare in giro da solo?"
Il ragazzino mi diede un'occhiata strana.

Ma un giorno G.G. si mise nei guai. C'era una ragazzina nuova nel quartiere. E lui le dette le caramelle. E disse: "Come sei carina, piccola! Vorrei aver una bambina carina come te!"
La madre ascoltava dalla finestra e corse fuori urlando, accusò G.G. di aver molestato la bambina. Non conosceva G.G., e così quando lo vide dare le caramelle alla bambina e lo sentì pronunciare quella frase non ci vide più.
Il buon vecchio G.G. Accusato di molestare i bambini.
Arrivai in ufficio e sentii Stone al telefono che cercava di spiegare alla madre della bambina che G.G. era un uomo d'onore. G.G. era seduto davanti al suo schedario, paralizzato.
Quando Stone ebbe finito di parlare e riappese, gli dissi:
"Non dovrebbe neanche ascoltarla quella donna. E' bacata nel cervello. Metà delle madri d'America, con le loro preziose passerine e le loro preziose bambine, sono bacate nel cervello. Le dica di andare a farsi fottere. G.G. non riesce nemmeno a rizzarlo, lei lo sa benissimo."
Stone scosse la testa. "No, gli utenti sono pericolosi! Questa storia è una bomba innescata!"
Non riusciva a trovare altro da dire. E io l'avevo già visto Stone... darsi da fare e spiegare tutto quello che c'era da spiegare a tutti gli stronzi che telefonavano...
Avevo il casellario vicino a G.G., il percorso 501, che non era male. Dovevo faticare un bel po' per smistare la posta ma almeno era possibile, e questo lasciava un margine di speranza.
G.G. conosceva il casellario a memoria, ma non era più quello di una volta. Aveva infilato troppe lettere in troppe caselle nel corso della sua vita... perfino quel suo corpo ormai insensibile si rivoltava, alla fine. Durante la mattinata lo vidi esitare parecchie volte. Si fermava e barcollava, sembrava in trance, poi si riscuoteva e ricominciava a infilare lettere. Non che quell'uomo mi piacesse granché. Non aveva avuto una vita interessante, e si era dimostrato un pezzo di merda, più o meno. Ma tutte le volte che lo vedevo esitare, provavo una stretta al cuore. Era come un vecchio cavallo fedele che non potesse più muoversi. O una vecchia automobile, che un bel mattino non parte più.
La posta era tanta e guardando G.G. mi venne un freddo mortale. Forse per la prima volta in più di 40 anni di servizio non ce l'avrebbe fatta a finire per la distribuzione del mattino! Per un uomo orgoglioso del suo lavoro come G.G. poteva essere una tragedia. Io avevo mancato un sacco di volte la distribuzione del mattino, e avevo dovuto portare in giro i sacchi nella mia macchina, ma il mio atteggiamento era un tantino diverso.
Ebbe un'altra esitazione.
Dio onnipotente, pensai, non se ne accorge nessuno, oltre a me?
Mi guardai intorno, ma nessuno sembrava preoccuparsi di G.G. Tutti avevano detto, chi prima chi dopo, di essergli affezionati... "G.G. è un buon diavolo". Ma adesso il "buon diavolo" stava andando a fondo e nessuno sembrava accorgersene. Alla fine c'era più posta davanti a G.G. che davanti a me.
Forse posso dargli una mano a sistemare le riviste, pensai. Ma arrivò un impiegato che mi mise davanti un altro mucchio di posta. Ero quasi alla pari con G.G., adesso. Avremmo avuto il nostro daffare. Per un attimo esitai, poi strinsi i denti, allargai le gambe, mi tuffai come se avessi preso un gran pugno nello stomaco, e attaccai quel mucchio di lettere.
Sia io che G.G. finimmo di smistare la posta, le riviste e la posta aerea due minuti prima della partenza. Ce l'avremmo fatta. Mi ero preoccupato per nulla. Poi arrivò Stone. Portava due mazzette di circolari. Ne diede uno a G.G. e uno a me.
"Anche queste," disse. Poi se ne andò.
Stone sapeva benissimo che non saremmo riusciti a smistare anche le circolari in tempo. Tagliai lo spago e cominciai stancamente a sistemarle. G.G. restò lì seduto a guardare il suo mazzetto di circolari.
Poi mise giù la testa, mise giù la testa sulle braccia, e cominciò a piangere piano.
Non riuscivo a crederci.
Mi guardai intorno.
Gli altri postini non stavano guardando G.G. Stavano tirando giù le loro lettere, le legavano insieme e intanto chiacchieravano e ridevano.
"Ehi," dissi io un paio di volte, "ehi!"
Ma nessuno guardava G.G.
Mi avvicinai a G.G. Gli toccai un braccio: "G.G.," dissi, "posso fare qualcosa?"
Fece un gran salto e corse su per le scale fino allo spogliatoio degli uomini.
Lo guardai allontanarsi. Nessuno sembrò accorgersi di niente. Infilai ancora un po' di lettere nel casellario, poi andai anch'io su per le scale.
Era lì, con la testa appoggiata alle braccia ripiegate su uno dei tavoli. Solo che adesso non piangeva in silenzio. Singhiozzava e gemeva. Aveva il corpo scosso dai singhiozzi. Non riusciva a smettere.
Mi precipitai giù per le scale, passai davanti a tutti i postini e corsi alla scrivania di Stone.
"Ehi, ehi, Stone! Gesù Cristo, Stone!"
"Che cosa c'è?" chiese lui.
"G.G. è scoppiato! E a nessuno gliene frega niente. E' di sopra che piange! Ha bisogno di aiuto!"
"Chi c'è al suo posto?"
"E chi se ne frega? Le sto dicendo che sta male! Ha bisogno di aiuto!"
"Devo trovare subito qualcuno che prenda il suo posto!"
Stone si alzò dalla sedia e si mise a girare per la stanza scrutando i suoi postini come se pensasse di trovarne uno di più. Poi tornò in fretta alla sua scrivania.
"Senta, Stone, bisogna che qualcuno porti a casa quell'uomo. Mi dica dove abita e ce lo porterò io con la macchina... mi trattenga pure le ore. Poi lo farò io, il suo fottuto giro."
Stone alzò gli occhi:
"Chi c'è al tuo posto?"
"Oh, al diavolo..."
"VA' AL TUO POSTO!"
Poi si mise a parlare al telefono con un altro capufficio: "Pronto, Eddie? Ascolta, ho bisogno di un uomo, qui..."
Quel giorno non ci sarebbero state caramelle per i bambini. Tornai indietro. Tutti gli altri postini se n'erano andati. Cominciai a dividere le circolari. Sul casellario di G.G. c'era il mazzetto di circolari ancora legato con lo spago. Ero di nuovo in ritardo. E senza mezzi di trasporto. Quando tornai quel pomeriggio Stone mi sbatté davanti un'ammonizione.
Non vidi più G.G. Nessuno seppe mai come fosse finito. E nessuno si preoccupò mai di nominarlo. Il "buon diavolo". Il postino coscienzioso. Sacrificato su un mazzetto di circolari di un negozio locale... con le occasioni: una scatola di detersivo di marca in regalo con un buono speciale per ogni acquisto sopra i 3 dollari.


17.

Dopo 3 anni diventai fisso. Questo voleva dire vacanze pagate (ai supplenti non toccavano) e 40 ore alla settimana con 2 giorni liberi. A quel punto anche Stone fu costretto a impiegarmi come aiuto su 5 percorsi diversi. Solo quello dovevo fare... 5 percorsi diversi. Col tempo avrei imparato bene il casellario più le scorciatoie e le trappole di ogni percorso. Sarebbe diventato sempre più facile. Potevo cominciare a crogiolarmi nell'attesa di giorni migliori.
Ma in un certo senso non ero molto contento. Non che volessi soffrire a tutti i costi, il lavoro era ancora abbastanza duro, ma mancava la suspense di quand'ero supplente... quando non sapevo cosa cazzo sarebbe successo un minuto dopo.
Un po' di postini fissi vennero a stringermi la mano.
"Congratulazioni."
"Sì," dissi io.
Congratulazioni per che cosa? Non avevo fatto niente. Adesso ero un membro del club. Ero uno dei ragazzi. Avrei avuto un lavoro sicuro, per anni, e alla fine avrei potuto optare per un determinato percorso. Ricevere regali di Natale dalla gente. E quando avrei telefonato per darmi malato, avrebbero preso qualche povero bastardo di supplente e gli avrebbero detto: "Dov'è il postino, oggi? E' in ritardo. Il postino fisso non è mai in ritardo."
E così eccomi postino. Poi misero in giro una circolare che diceva che non bisognava lasciare berretti e altri oggetti sul casellario. Quasi tutti i ragazzi ci mettevano il berretto. Non facevano male a nessuno e risparmiavano la strada fino allo spogliatoio. E adesso dopo 3 anni che mettevo il berretto sul casellario mi ordinavano di non farlo più.
Be', io continuavo ad arrivare in ufficio stravolto dal bere e al berretto non ci pensavo nemmeno. E così il mio berretto era proprio sopra al casellario, il giorno dopo la circolare.
Stone arrivò di corsa con la sua ammonizione. Diceva che era contro il regolamento e le regole tenereoggetti sopra il casellario. Mi misi in tasca la lettera di ammonizione e continuai a smistare la mia posta. Stone se ne stava sulla sua sedia girevole e mi guardava. Tutti gli altri postini avevano messo il berretto nell'armadietto dello spogliatoio. Tranne me e un altro... un certo Marty. E Stone era andato da Marty e gli aveva detto: "Senti, Marty, l'hai letta la circolare, no? Non devi lasciare il berretto sul casellario."
"Oh, mi scusi, signore. L'abitudine, sa. Mi scusi." Marty tirò giù il berretto dal casellario e corse di sopra a metterlo nell'armadietto.
La mattina dopo mi dimenticai di nuovo della circolare. Stone arrivò con l'ammonizione.
Diceva che era contro il regolamento lasciare oggetti sopra il casellario.
Mi misi in tasca l'ammonizione e continuai a infilare lettere nel casellario.
La mattina dopo, quando entrai in ufficio, vidi che Stone mi stava guardando. Mi stava guardando con intenzione. Voleva vedere che cosa avrei fatto del berretto. Lo tenni un po' sulla corda. Poi mi tolsi il berretto e lo misi sopra il casellario.
Stone arrivò di corsa con l'ammonizione.
Non la lessi. La buttai nel cestino, lasciai il berretto dov'era e continuai a infilare le lettere nelle caselle.
Sentivo la macchina per scrivere di Stone. I tasti avevano un suono arrabbiato.
Chissà come ha fatto a imparare a scrivere a macchina? pensai.
Arrivò di corsa. Mi porse un'altra ammonizione.
Lo guardai.
"Non è necessario che la legga. So già cosa dice. Dice che non ho letto la prima lettera d'ammonizione."
Buttai la seconda lettera di ammonizione nel cestino.
Stone tornò di corsa alla sua macchina per scrivere.
Mi tese una terza lettera di ammonizione.
"Senta," dissi, "lo so che cosa dicono queste ammonizioni. La prima era per il berretto sopra il casellario. La seconda per non aver letto la prima. E la terza per non aver letto la prima e la seconda."
Lo guardai, poi lasciai cadere l'ammonizione nel cestino senza leggerla.
"Ora, lo sa che posso buttarle tutte nel cestino a mano a mano che lei le scrive. Posso continuare per ore, e dopo un po' uno di noi due comincerà a sembrare ridicolo. Veda un po' se le conviene."
Stone tornò alla sua sedia girevole e si sedette. Non ricominciò a scrivere a macchina. Restò semplicemente seduto a guardarmi.
Il giorno dopo non andai al lavoro. Dormii fino a mezzogiorno. Non telefonai. Poi andai giù al Federal Building. Gli dissi cosa volevo. Mi misero davanti alla scrivania di una donna anziana e rinsecchita. Aveva i capelli grigi e un collo sottilissimo che all'improvviso si piegò a metà. La testa si spostò in avanti e lei mi guardò al di sopra degli occhiali.
"Desidera?"
"Voglio licenziarmi."
"Licenziarsi?"
"Sì, licenziarmi."
"Ma lei è fisso?"
"Sì," dissi io.
"Tks, tks, tks, tks, tks, tks, tks," fece lei, con quelle labbra secche.
Mi diede i moduli e io cominciai a riempirli.
"Da quanto tempo lavora alle poste?"
"Tre anni e mezzo."
Tks, tks, tks, tks, tks, tks, tks," fece lei, "tks, tks, tks, tks."
E così era fatta. Andai a casa da Betty e stappammo la bottiglia.
Non potevo sapere che due anni dopo sarei tornato a lavorare alle poste come impiegato e che avrei lavorato come impiegato, appollaiato su uno sgabello, per quasi 12 anni.

 

SECONDO CAPITOLO