Pinerolo,
15 novembre 2003 – incontro organizzato dal gruppo “La Scala di Giacobbe”
Conversazione
su Bibbia – rivelazione - ispirazione
Registrazione
dell'intervento introduttivo di Franco Barbero. Testo non rivisto dall'autore
Cominciamo
a prendere in esame due nuclei fondamentali per comprendere che cosa si intende
per “de
rivelante”, il Dio che
crea e si rivela, e “de divina
inspiratione”.
LA
RIVELAZIONE
Nel
contesto ebraico-cristiano-islamico abbiamo una chiara singolarità nel fatto
che Dio si svela; è Lui che prende l’iniziativa.
Questa
divina rivelazione non è, quindi, uno sforzo umano (pensiamo ai rituali antichi
dove si credeva che si potessero rintracciare nelle viscere degli animali i
segni del divino), neppure il lasciarsi possedere dallo Spirito, e avere così
“sentore divino”, e non è nemmeno uno sforzo di mistica intimità né di
mistica commistione.
Si
tratta invece di una precisa consapevolezza della
teofania, il mostrarsi di Dio, e di epifania,
la manifestazione di Dio. È un Dio che si manifesta, che prende l’iniziativa.
Nella
dimensione ebraico-cristiana-islamica Dio non si vede, è inaccessibile e, come
si legge nel Primo Testamento, “chi vede Dio ne muore”.
Tutta
la dinamica interna del Primo Testamento descrive un Dio “imprendibile”,
senza nome: “Io sono colui che sono”; “Sono colui che sarò”. Un Dio che
non consegna una tangibilità e ogni volta che compare l’idea di farne una pur
velata fotografia c’è subito una severa proibizione: “non ti farai di me
immagine alcuna”. Questo colloca tutta la ricerca in una dimensione diversa:
non siamo noi che raggiungiamo Dio, non siamo noi che ne catturiamo l’ombra ma
è Dio che prende un’iniziativa di amore perché, essendo noi Sue creature,
vuole farci compagnia. È come nella dinamica dell’amore… vuole farsi
conoscere (1).
Nella
Scrittura ebraica questo avviene in molti modi: Dio prende la parola, Dio fa
conoscenza, Dio cerca l’incontro mediante la testimonianza dei profeti e dei
sapienti. Dio ci viene incontro nella storia: ecco l’Esodo e i momenti della
liberazione. Dio ci viene incontro anche attraverso la testimonianza che
continua. La Bibbia pertanto è un’autorità non superiore a tutte le sue
interpretazioni successive: per capire la Bibbia, secondo l’ebreo, ci vuole
tutto ciò che è stato scritto dopo (2).
Nell’ebraismo
s’intende un Dio che dalla storia, dalla Scrittura, dal cuore delle donne e
degli uomini fa le Sue epifanie. Il senso della rivelazione continua nella vita
dei singoli credenti, nella vita di tutti e tutte
coloro che cercano, nella vita di tutte le donne e di tutti gli uomini
che si affidano, nella vita e nella scrittura dei saggi e dei ricercatori, nel
fare la giustizia. La rivelazione è
l’amore con cui Dio ci cerca.
Nelle
origini cristiane questo concetto si condensò molto bene nel fatto che Dio ci
cerca attraverso “l’inviato” che è Gesù: “mi ha mandato”, “non ciò
che voglio io ma ciò che vuole il Padre”, “sono venuto”. Per il movimento
nascente di Gesù e per la prima patristica, egli è stato l’epifania di Dio;
quindi, nel linguaggio che ci è diventato consueto e che però ha prestato il
fianco a molte terribili e devianti interpretazioni, Gesù è
“l’incarnazione” (3). Con un’espressione bellissima del teologo Giuseppe
Barbaglio possiamo dire che “nella vita del profeta di Nazareth, Dio si è
manifestato al massimo”. Come ho tentato di spiegare nel volumetto “Lazzaro
vieni fuori”, il termine “incarnazione” ha questo preciso significato
funzionale: nell’esistenza carnale, storica, umana di Gesù, Dio fa vedere
quanto ama, qual è il sentiero della Sua volontà; nella
carne di Gesù c’è la definitiva rivelazione di Dio.
Riassumendo:
le Scritture sono testimoni dell’opera di Dio, però esse non fotografano, ne
tanto meno perimetrano, in quanto sono testimoni di ciò che di Dio i testimoni
hanno capito. E’ importante sottolineare questo punto perché per capirsi
bisogna amarsi (noi abbiamo
esperienza di questo nella vita di relazione).
Dio
ci viene incontro perché ha preso un’iniziativa di amore; queste persone ci
hanno lasciato delle testimonianze perché hanno amato questa esperienza in cui
hanno visto le tracce del divino.
Questo
pensiero viene sintetizzato in modo squisito dal teologo spagnolo Barreta con
l’espressione “ermeneutica della simpatia”: si entra in rapporto con un
testo biblico sapendo che al di là degli errori, delle imperfezioni, dei
travisamenti storici, si cerca una testimonianza che è fondativa, in cui si
legge un passaggio da fede a fede; infatti questi testi sono stati raccolti non
perché rappresentino la perfezione, o, peggio, l’ultima parola, ma perché
rappresentano le fondamenta del palazzo sul quale noi dobbiamo costruire. Non
sono tutto, ma se noi non avessimo questa struttura, questo fondamento, non
costruiremmo la nostra fede.
L’ISPIRAZIONE
L’elenco
dei “libri ispirati” per la chiesa cattolica risale al Concilio di Trento,
quando si è stabilito il canone definitivo della Bibbia accettando l’edizione
della Vulgata come autentica.
Ma
per comprendere tale processo dobbiamo fare un passo indietro. Dobbiamo partire
dalla “svolta gregoriana” (4)
quando Gregorio VII emana, nel 1075, il “Dictatus
Papae” (5), che afferma:
1°
cap.: La chiesa romana è stata fondata solo dal Signore.
2°
cap.: Soltanto il vescovo di Roma merita di essere chiamato universale (6).
3°
cap.: Solo il papa può portare le insegne imperiali.
11°
cap.: Il suo nome è unico nel mondo.
12°
cap.: Egli può deporre gli imperatori.
16°
cap.: Nessun consiglio può essere chiamato generale senza suo ordine
18°
cap.: La sua sentenza non può essere riformata da nessuno, ed egli è il solo
che può riformare quelle di tutti.
19°
cap.: Egli non può essere giudicato da nessuno.
20°
cap.: Nessuno può giudicare chi abbia fatto appello alla sede apostolica.
21°
cap.: Le cause importanti di ogni chiesa devono essere a lui sottoposte.
22°
cap.: La chiesa romana non potrà mai errare, come attesta la Scrittura.
23°
cap.: il vescovo di Roma, se è stato ordinato canonicamente, diventa
sicuramente santo per i meriti di San Pietro (7).
Con
Gregorio VII la fede non è più testimoniale ma magisteriale: si è passati
dalla testimonianza alla dogmatica.
Il
teologo cattolico Christian Duquoc descrive, nel suo libro “Credo
la Chiesa”, la svolta gregoriana come il passaggio da un cristianesimo che
utilizzava un linguaggio ebraico ad un linguaggio greco/ellenistico che
riguardava più l’essere che il fare. Per il primo millennio cristiano, ogni
azione operante nel senso della salvezza è vista come un segno dell’amore di
Dio che si rivela. Conseguentemente si usano i termini rivelare, ispirare,
illuminare in senso lato e omnicomprensivo, non solo per la Sacra Scrittura, ma
anche per i padri, i concili, i canoni, persino per certi atti delle autorità
secolari.
La
riforma gregoriana segna una svolta autoritaria e decisiva: il passaggio dal
punto di vista dell’attualità di Dio, che interviene e che ama, a quello del
potere giuridico data in libero uso alla gerarchia ecclesiastica. Si impone
quindi una precisa delimitazione di due differenti periodi: il primo millennio,
caratterizzato dallo stile della narratività, e il secondo millennio dove
prevale la dogmatica. Duquoc afferma inoltre che questo modo d’intendere la
verità si scontra con la produzione di dogmi, la cui accentuazione è posta
come criterio di appartenenza alla chiesa cattolica.
La
dogmatizzazione che si è verificata nel corso della storia diviene responsabile
della deriva autoritaria del governo ecclesiale, essa la giustifica come
necessaria per mantenere l’unità della confessione. Gli eccessi del Santo
Ufficio hanno la loro origine in questa volontà di difendere istituzionalmente
l’unità per mezzo di una dottrina continuamente esplicitata negli enunciati
dogmatici.
Drewermann
dice: “Gesù è stato un poeta, e gli altri ne hanno fatto un matematico”.
Gesù ha cantato l’amore, ha narrato, ha esemplificato, è stato un inventore,
tra i tanti altri, di parabole; in Gesù c’era soprattutto il fascino della
poesia, di un amore tradotto in termini poetici, e gli altri ne hanno fatto non
una prosa ma un prosastico. Cos’è la dogmatica se non l’intento di
imprigionare Dio nei nostri immaginari? Sempre citando Drewermann: “Ecco perché
è fondamentale la liberazione dell’immaginario”
Con
Gregorio VII la fede non è più testimoniale ma magisteriale, cioè si è
passati dalla testimonianza alla dogmatica.
Con
questa strutturazione della fede si arriva nel XVI secolo, al tempo
dell’invenzione della stampa, a proibire la lettura della Bibbia. In un documento papale si
legge: “sento dire che delle donniciuole al mercato parlano della Bibbia con
interesse; proibite queste cose!”.
Nel
1518, nasce la Riforma protestante. I protestanti accusano i cattolici di
affidarsi solo al magistero che è diventato il padrone della chiesa. Per opera
di Lutero si traduce in tedesco la Bibbia e la si mette “in mano al popolo”.
La Bibbia diventa un’autorità essa stessa, un “papa di carta”.
Il
Concilio di Trento risponde con una controriforma dove si sottolinea
la proibizione di leggere la Bibbia e si affida la lettura a chi ne è in
grado e la interpreta come insegnano i vescovi. Si creano due
fondamentalismi in lotta tra loro.
Cerchiamo
ora di capire quali erano le questioni che si sono posti di fronte al testo gli
studiosi: se la Parola è ispirata, sono stati ispirati gli autori? Lo Spirito
soffiava in loro? Era Dio che diceva loro che cosa scrivere parola dopo parola,
oppure solo il concetto lasciando all’autore di usare i verbi, i sostantivi e
gli aggettivi che meglio riteneva? Quindi, nulla può essere cambiato?
Queste
discussioni ormai di secoli ci sono ancora oggi, perché il vero problema è
capire che cosa significa che l’azione di Dio si manifesta nel testo e, se
l’azione di Dio c’è, come si manifesta.
Dalla
testimonianza molteplice si passa alla rigidità dogmatica, stabilendo che Dio
ha rivelato le cose necessarie in modo preciso, immutabile e universale, quindi
nulla bisognava togliere e nulla bisognava aggiungere.
Quello
che era estraneo era il concetto di ermeneutica,
di interpretazione: bisognava quindi prendere tutto in blocco e prendere così
come si presentava e, se c’era qualche dubbio, bisognava chiedere cosa ne
pensasse il magistero che, nel XVI secolo dopo il Concilio di Trento, si afferma
come padrone della Chiesa. L’ispirazione
è venuta ad essere all’interno della Chiesa un fatto di obbedienza.
Sono
cominciati a fiorire i catechismi, dove si davano “pillole dogmatiche”. Solo
dopo il Concilio Vaticano II, finalmente, la gente riceve la possibilità di
fare corsi biblici.
1. La
Bibbia è un evento storico locale,
perché è collocata in un tempo, nel contesto in cui è stata scritta, con un
“pre-testo”, cioè una storia precedente, o una comunità, o una persona che
vive prima del testo, a cui fa seguito il testo, cioè la redazione. Per cui la
Bibbia è prima di tutto un evento che ha una storia e un luogo.
2. La
Bibbia è un evento diacronico molteplice,
non è nata di getto, è nata per aggiunte successive: quindi i tempi, i
contesti, i pretesti, i testi sono diversi e di questo bisogna tenere conto. La
Bibbia nasce plurale (= i libri), poi è
diventato un libro.
3. La
Bibbia è un evento linguistico. Dice
Claude Geffrè: ”la Parola di Dio è inaccessibile, e la parola assente di Dio
si rende presente in un testo”, ma è mediata da un linguaggio (in più ci
sono le traduzioni: dall’ebraico, al greco, al latino, …).
4. La
Bibbia è un evento ermeneutico di una
esperienza vissuta. Qualcuno ce l’ha presentata scrivendola e dandone una
sua interpretazione, e noi, a nostra volta, la interpretiamo.
Noi
usiamo quotidianamente un nostro linguaggio, ma per capire la Bibbia bisogna
calarsi in un altro linguaggio, tener presente un altro immaginario, spesso
molto distante dal nostro, altrimenti si commettono errori vistosi.
Dico questo non per inibire la libertà che noi abbiamo di fronte ad un
testo, ma per avere coscienza che noi possediamo delle “pre-comprensioni” e
degli immaginari profondamente influenzati dal positivismo illuminista della
verità. L’Occidente ha questo grande vizio di “definire” mentre
l’Oriente “immagina”. Noi pensiamo con un pensiero positivo che è la
fotografia della verità. E’ importante la fedeltà creativa al passato:
bisogna prendere tempo.
L’io/noi
interpretante deve essere consapevole che c’è un’ermeneutica
oggettiva (conoscere le regole dell’interpretazione) e un’ermeneutica soggettiva (avere gli strumenti personali per
l’accesso al testo).
Seguire
i lavori di gruppo in una comunità è fondamentale per avere gli strumenti
necessari, questo richiede un cammino lungo ma
importante; infatti, la Scrittura è plurale, perchè plurali sono le
esperienze e le testimonianze; un’ermeneutica deve rispettare anche il cuore,
le culture delle persone e sapere che Dio, ad un tratto epifanico, si rivela
nella vita delle persone al di là di un testo. Dio è libero e ha le sue vie.
Di Gesù non abbiamo biografie ma ritratti, gli evangelisti non hanno
scritto la vita di Gesù ma ne hanno fatto un ritratto per la propria comunità.
NOTE:
(1)
C’è un midrash (racconto commentato) che narra che Dio, nelle sue giornate,
come se non ne avesse abbastanza di occuparsi di tutto il mondo, trascorre molto
tempo a studiare la Torah, perché anche Lui vuole capire. Noi cerchiamo di
capire la vita di Dio e Lui vuole capire la nostra vita per instaurare un buon
rapporto con noi
(2)
Il concetto del “complere scripturas” per secoli è stato inteso nel senso
che, mancando qualcosa al Primo Testamento, fosse stato necessario aggiungere il
Secondo, come se l’antico/primo Testamento fosse un po’ scarso, manchevole,
deficitario. Ma il Secondo Testamento non aggiunge assolutamente nulla di nuovo;
è “semplicemente”, come dice Piero Stefani e come ho spiegato nel mio libro
“Il dono dello smarrimento”, il midrash
(= racconto commentante) del primo.
(3)
La teologia dogmatica disse molto presto che Gesù è Dio che ha preso forma di carne, mentre nella teologia
biblica delle origini significava che nella carne dell’uomo Gesù di Nazareth,
che uomo è e uomo rimane, si è
manifestato Dio.
(4)
Come cito nel mio libro “Una
fede da reinventare”
(5)
Era la prima volta che compariva questa concezione, non c’era ancora
l’infallibilità del papa che sarà dogmaticamente definita solo nel 1870
(Concilio Vaticano I).
(6)
Siamo nel 1054: il vescovo di Costantinopoli si definisce il “principe di
tutta la chiesa”, avviene lo scisma e nasce la chiesa ortodossa.
(7)
I Concili di Basilea e di Costanza rispondono a Gregorio VII affermando:
“questo Sinodo legittimamente riunito nello Spirito Santo, essendo Concilio
Generale, espressione della chiesa cattolica militante, riceve il proprio potere
direttamente dal Cristo, e chiunque e di qualunque condizione e dignità,
compresa quella papale, è tenuto ad obbedirgli in ciò che riguarda la fede e
l’eliminazione dello scisma ricordato e la riforma generale del capo e delle
membra della stessa chiesa di Cristo”.
Alcune domande
poste nel corso dell’incontro
Cosa
sono i Talmud?
Interpretazioni
babilonese e palestinese scritte nei secoli successivi, sono precisamente delle
raccolte in cui si è commentato, dentro le sinagoghe, dentro i gruppi, sapendo
che l’ebraismo è la scienza del commento. Il Talmud era prezioso proprio
perché condensava la sapienza, l’esperienza e la fede di quel gruppo. Da
allora l’ebraismo non conosce l’esclusività testuale ma l’espansione
inclusiva, da allora bisogna includere, e poi cercare di espandere. Quando poi
l’ebraismo conoscerà l’esperienza della dispersione, la diaspora,
addirittura nasceranno dei nuovi libri biblici, come Giuditta, Ester, che sono
stati “scritti fuori”. Per cui Gesù in Palestina ha conosciuto il canone
ristretto; gli ebrei fuori hanno conosciuto altri libri e li hanno aggiunti. Non
dimentichiamo questa grande mobilità del testo che apparteneva anche alle
origini cristiane.
Il
Talmud e le raccolte dei Midrash. sono a disposizione nella nostra lingua, è
possibile leggerli?
Certo,
ci sono delle belle traduzioni, magari parziali, perché alcuni libri sono di
2000 pagine, sono delle opere immense perché risultato della raccolta di molte
comunità. Non c’era la preoccupazione del livellamento che esiste quando si
è nella paura, ma solo la preoccupazione di comprendere meglio attraverso
l’ascolto assiduo (per sapere un poco bisogna leggere molto, per conoscere
bisogna avere la pazienza di confrontarsi). Troviamo i midrash come delle
“storielle”, dei racconti dentro i commentari ebraici, perché il loro modo
di procedere è questo. Per esempio, nel raccontare la Liberazione dall’Egitto
gli ebrei cantano “e Dio piange”, perché ha sì liberato gli ebrei, ma ha
dovuto uccidere gli Egiziani... questo per far capire che Dio non
s’immedesima.
Nell’XI
secolo con il Dictatus Papae c’è stato il disperato
tentativo di tenere salda la
chiesa?
In
quel tempo siamo arrivati ad avere tre papi, tutti cattolici, uno che
scomunicava l’altro, e i cristiani hanno avuto preti e vescovi che aderivano
ad un papa piuttosto che all’altro, ma era una questione solo di potere. Il
problema fondamentale era l’appoggio dato ai principi di Francia, Portogallo e
Spagna, le grandi potenze del tempo. Nell'XI secolo, quindi prima di Avignone,
cioè prima dei tre papi, nascono i movimenti pauperistici: ecco Valdo a Lione,
ecco Francesco d'Assisi. Loro vedono la Chiesa giunta a un tale grado di
corruzione che ad un certo punto decidono di fondare delle comunità e delle
congregazioni che si ribellano. La Chiesa inizia a perseguitarli; e qui che
“nascono” le streghe (donne disobbedienti) e gli eretici.
Tribunali,
inquisizione, scomuniche: non portano all’unità della fede ma all’unità
del potere, perché è questa che volevano salvare, mentre l’unità della fede
la si salva nel dialogo, nel dibattito. Ma immaginate che questi fraticelli
dicevano: “voi siete ricchi!”, come Jan Hus chiede al papa: “Ma signor
papa, tu vescovo di Roma, io sono qui teologo in Praga, ma i poveri hanno fame e
sento dire che tu a Roma hai tante carrozze, sento che vivi in mezzo alle
ricchezze, ma Gesù non era così…” Il
papa lo scomunica. Lui fonderà un movimento pauperistico. Stavano dalla parte
dei poveri, e dicevano in modo semplice che non c’era nessun potere, non si
doveva stare con i forti, ma parlavano troppo chiaro.
Francesco
viene riconosciuto dalla Chiesa, ingabbiandolo con la regola, lui non aveva in
mente di fare un ordine, alla fine si sottopone, ma poi muore. Lui diceva che
era meglio non avere ricchezze che averle e usarle bene; passerà, con
l’appoggio del Vaticano, la linea: prendiamo pure le ricchezze, poi le useremo
bene.
Quanto
tu ci stai dicendo oggi mi dà l’impressione che la Bibbia diventi un fatto di
eletti, di poche persone che hanno i mezzi per calarsi totalmente nel testo.
Quando io leggo la Bibbia ho la percezione che ci sia dietro una sovrapposizione
di vari testi, ma non ho tutto il contesto storico. Dovrei non leggerla da sola?
Questa
è l’ermeneutica della simpatia, cioè tu cerchi lì una testimonianza di
fede; però, lo dico con sconcerto, nessun libro al mondo ha fatto tanti danni
come la Bibbia, ha fatto soffrire, ma ha anche liberato, tanti uomini e tante
donne. Nel Primo Testamento abbiamo “ vai e stermina” riportato per 86 volte
e nel Secondo Testamento troviamo “voi servi obbedite ai vostri padroni…voi
mogli obbedite ai mariti”. Se uno non ha gli strumenti…
Ecco
l’utilità di una comunità. Io
sono certo che Dio raggiunge le persone al di là della Bibbia... se pensiamo
che per 15 secoli nessuno l’ha letta… però dobbiamo riconoscere che la
Bibbia è un libro difficile, e che per renderlo semplice e accessibile bisogna
fare un’opera comunitaria. E’ necessario avere gli strumenti per
contestualizzarla e interpretarla.
Ci
sono diverse edizioni della Bibbia in italiano?
Abbiamo
venti traduzioni almeno, con due metodologie diverse: una letterale e l’altra
in lingua corrente con le cosiddette “equivalenze dinamiche”, che non
traducono parola per parola, ma esprimono il concetto (per es.: “non sappia la
tua destra cosa fa la tua sinistra” viene trasformato in: “non dire a
nessuno”, ma è molto più povero), cioè ripensano il concetto in greco e lo
esprimono in italiano, senza occuparsi della fedeltà della parola.