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Trasalire il pensiero di Angela Barbagallo (Edizioni Helicon, Arezzo 2001)

 

Ogni volta che leggo un testo poetico di Angela Barbagallo, mi stupisce, mi sorprende, mi entusiasma la sua capacità di proiettare il lettore dentro il suo mondo culturale e naturale con motivazioni liriche che soddisfano il desiderio di poesie. Già altre volte avevo avuto modo di approdondire, analizzare, quindi amare, quale conseguen-ziale conoscenza, la poesia di Angela in quanto, come critico, avevo stilato per lei alcune note, sia per l’Antologia che per la Storia della Letteratura Italiana del XX secolo, ambedue Edizioni Helicon, ma il testo “Trasalire il pensiero” dei quaderni dell’Airone, con prefazione di Neuro Bonifazi, mi ha restituito un’immagine matura e completa di questa nobile Autrice. Comincerò col dire che la poetessa raggiunge risultati nell’intelligenza del profondo, che sono davvero straordinari, sfiorando verità intransmittibili e insuperabili sulla vita e sulla morte, con una misteriosa semplicità di linguaggio che vale assai di più delle correnti metastasi linguistiche di questo inizio secolo e fine Novecento, dove in Letteratura l’infrazione sembra essere davvero superiore alla norma, e cosa ancor più grave, talora è metro di giudizio positivo nei moderni concorsi letterari! Questo non vuol dire che la Barbagallo abbia un linguaggio comune, poiché il suo lessico si snoda e si realizza con neologismi che ci appaiono sì e a buon diritto, coniati da termini antichi e dal dialetto siciliano corrente, ma la ricerca delle metafore e la stessa struttura dei versi, in funzione dell’intensità ritmica vocale, fanno sì che la sua poesia sia forte, incisiva, solare, talora espressionista, rendendo sempre e comunque l’idea del contesto geografico in cui nasce: la Sicilia per l’appunto, dove i sapori, i profumi, i colori, la luminosità hanno l’intensità e la potente valenza dell’insularità del Sud, del mito proveniente dalla classicità greca che è dominante, tra un fluttuar di onde e di venti caldi, tra silenzi e armonie universe in un insaziato anelito di vita cosmica che fa dire alla poetessa: «Forse, quando il sole vaniva nel bronzo del silenzio e le cicale bruciavano nel fuoco dell’amore, le ardenti figlie dell’Etna, tenere sotto il virgineo manto sacerdotale, offrivano voti sacrificali al Dio cintato di ginestre a simbolo di profonde, tenaci radici di vita, fiorivano parole segrete e le regalavano al vento perché asciugasse al loro profumo l’ansia dell’ignoto». Ma se stiamo attenti a commisurare il significato profondo, sintetico, vitale del testo “Trasalire il pensiero”, si presenta in primo piano con potenza d’immagine significativa, una figura di Poeta tutta al femminile, che non è simulacro astratto dove avvengono perfetti corti circuiti, ma persona sensibile che ha la cura morale di meditare i propri sentimenti, di comprendere la propria anima, di collegarsi al sociale, anche quando esso scorra su rotaie taglienti come l’omertà, cercando di sanare le eventuali ferite con la piuma del pensiero poetico, toccando la profondità della psiche con una cultura che non è univoca ma polivoca, dove la logica dell’immaginario poetico ha bisogno della sua espansione, passando dal centro dell’io, arrivando al centro del cerchio quindi al volume del globo, nel segno dell’archetipo femminile che vive organicamente nello spazio la sua vita biologica in un ghirigoro surreale che fa dire alla poetessa: «Nel sogno antico, / come una vestale, / mi vedo china con le mani a coppa! / Abbevero il mio prato / per la puledra folle / del passato», immaginando se stessa come vestale dell’infinito, frantumandosi nella varietà delle cose, nei segmenti dello spazio e del tempo, verso un’ascesi pensata e sognata.  Ma dove sinceramente sento trasmessa la chiave di tanta poesia, di sublime lirismo è in “Io non t’ho detto mai”, lirica presente nell’antologia della Letteratura Italiana del XX secolo, non riprodotta in questo testo, che nasce dall’angoscia di aver vissuto la pienezza di un amore sublimato nel silenzio, in una dialettica luce-ombra, conscio ed inconscio, aperto e nascosto che lascia spazio all’assenza di linfa, ma anche ad una presenza di fuoco, in uno svolgersi delicato e sommesso come solo l’anima femminile sa recepire. C’è nella brevità della poesia, un’attenzione, una premura ed una velocità tipica dell’ansia, che è tensione all’espressione poetica, al suo restituirsi al concetto di bellezza, non come immobile categoria ma come trasmutazione di forma: «Io non t’ho detto mai / quant’è lunga una notte / su cuscini deserti / di ricordi d’amore. / Io non t’ho detto mai / quant’ho cercato un volto / che fugasse l’angoscia / di scheletri vaganti / intorno al corpo inerte. / Io non t’ho detto mai / rimani un po’ con me / nelle mie sere buie / spugnate dalla nebbia / di un’eterna incertezza. / Io non t’ho detto mai / del pianto soffocato / di mute confessioni / e t’ho lasciato andare». Ho ritenuto opportuno inserire in questa presentazione questa poesia che non è presente nel testo “Trasalire il pensiero”, poiché a me sembra una delle più belle di Angela Barbagallo. Il testo che siamo andati a presentare si chiude con la poesia “Ite” dove l’ite equivale alla rinascita, alla rigenerazione iniziatica, ad una speranza che non trova spazio nella realtà, ma si serve della regressione tipica del sogno che vola: «...sull’ala verde ...come chimera» con una forza orfica che vuole realizzare la felicità, felicità che anch’io voglio augurare a questa poetessa cara al mio cuore, spirituale e recettiva nella sensibilità, fragile e forte al contempo, caratterizzata da un’infinita scansione solare che sa anche trasmettere al lettore e che reca metaforicamente mattoni per la costruzione del tempio della poesia femminile del Duemila, con universalità d’intenti ed amore totale verso il prossimo.

Lia Bronzi