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Gianni Rescigno e il suo percorso poetico in un saggio di Marina Caracciolo (Gianni Rescigno: dall’essere all’infinito, Genesi Editrice)

La poesia di Gianni Rescigno è «suasiva, appassionata, profonda, alternata com’è tra memoria, vita, religiosità, contemplazione di paesaggi e di stagioni». Non poteva in maniera più sinteticamente di così presentare l’opera poetica del vate salernitano Giorgio Barberi Squarotti nella presentazione al volume “Gianni Rescigno: dall’essere all’infinito”, un saggio critico di 120 pagine curato da Marina Caracciolo, saggio che esamina in particolare i tredici volumi di poesia pubblicati da Rescigno. Marina Caracciolo è un critico affermato. Oltre a collaborare con la casa editrice Utet di Torino su argomenti musicali, scrive su note riviste letterarie, recensendo opere di musica, di poesia e di narrativa. Il saggio critico della Caracciolo presenta «il genuino cantore  della terra e del paesaggio, dei sogni e dell’amore, del presente e della memoria, della vita e della morte» si legge nella presentazione. Dopo aver posto l’accento sulle tematiche di Rescigno, quali quelle sociali, umane e religiose, ed evidenziato gli interventi dei più noti critici, come Barberi Squarotti, Demarchi e Tombari, la Caracciolo passa all’esame delle varie sillogi. “Credere”, del 1969, lascia «presagire un comune denominatore di natura prettamente religiosa: e quanto invero sia qui manifesta e viva la fede nell’Essere supremo». “Quest’elemosina”, pubblicato nel 1972, è invece «fiorito di immagini, di traslati e di voli» (Tombari). La terza silloge, “Torri di silenzio”, presenta «nuove soluzioni stilistiche nella resa di una meditazione che da sociale è divenuta metafisica». In “I Salici-I Vitigni” del 1983 si sviluppa «il potere creativo e perpetuante della memoria», mentre in “Le ore dell’uomo” del 1985 il poeta sembra prendere coscienza che la vita umana è fatta di «felicità e sofferenza, amore e odio, trionfi e sconfitte». Con “Tutto e niente” del 1987 si ritorna invece alla tematica religiosa, ma centro della riflessioni è non tanto Dio quanto l’uomo nella sua fragilità. Se “Un passo lontano” del 1988 è una silloge che raccoglie poesie già in precedenza pubblicate, del tutto nuova è invece “Il segno dell’uomo” del 1991, dove «Rescigno resta fondamental-mente un uomo di profonda fede con l’animo sempre aperto alla speranza, anche dove non è possibile la pienezza della gioia». Le ultime sillogi, “Angeli di Luna”(1994), “Un altro viaggio” (1995), “Le strade di settembre” (1997), “Farfalla” (2000) e “Io e la signora del tempo”(2001)  evidenziano, attraverso uno stile elevato e consono ai moduli della grande poesia, il sentimento d’amore, il dubbio che si insinua nella fede, l’irruenza della natura e la vitalità del paesaggio in cui l’uomo si muove. In conclusione il saggio di Marina Caracciolo offre una visione completa di uno degli poeti italiani che, al di fuori di ogni corrente letteraria, presenta una poliedricità di pensiero e di intuizione.

Angelo Manitta