Una “diafora” di nome De Roberto
di Pinella Musmeci

Che cos’é una diafora? Il termine invero poco usato rappresenta, in campo grammaticale, una figura retorica per cui adoperando un solo sostantivo possiamo denominare lo stesso oggetto di discussione attribuendogli significati diversi. Nella mia opera “Diafore dimenticate” colgo l’occasione per descrivere alcuni personaggi ed un edificio settecentesco molto particolare, Palazzo Càrcaci di Aci Sant’Antonio, che posseggono naturalmente la “dimensione “della diafora.

Federico De Roberto è uno di questi personaggi e (come gli altri da me trattati: Mario Gori, Margherita Branciforti, la “donna” europea) appartiene all’insieme di figure complesse, pregnanti di ricche sfaccettature umane, ma che sono state ridotte dal tempo, dalla negligenza degli studiosi o dal disinteresse per la verità ad apparire piatte, quasi prive di profondità, relegate in un cliché che è stato loro semplicisticamente attribuito.

Per quanto concerne la personalità del De Roberto egli viene ricordato soltanto come l’autore della trilogia “L’illusione”, “I Viceré”, “L’imperio”, mentre studi più approfonditi cominciano soltanto oggi a rivalutare la sua importanza di giornalista, animatore culturale del suo tempo (un Vittorini ante litteram, fatte le dovute riserve), profondo scrutatore dei meandri dell’animo umano (quasi un Fogazzaro del Sud ), ricercatore ed assiduo conoscitore delle emergenze archeologiche della città di Catania.

La città etnea occupa un posto di primo piano nelle scelte letterarie e di vita del giovane Federico. Egli giunse ancora adolescente a Catania, per via marittima, non essendovi ancora né la ferrovia né i ferry boat e la prima immagine che ricevette della città fu quella che Adolfo Holm descrive nell’opera “Catania antica” (ed. Tirelli CT- 1925 ): «...Non si può immaginare panorama più superbo di quello che si offre a chi, navigando, si avvicina a Catania, sia che egli venga dall’alto mare, sia che vi giunga rasentando la costa... circondata da tutte le parti da colline piene di lussureggiante vegetazione che si arrampica su per le pendici dell’Etna, imponente dietro la città, mentre dalla vetta bianca una piccola nuvola di fumo si innalza perenne verso il cielo quasi sempre sereno...».

Il fanciullo rimase ammaliato dalla bellezza dei luoghi e della città; sicuramente a rafforzare l’amore immediato, provato per la nuova patria, contribuì il bagaglio di racconti e di memorie che la madre dello scrittore, donna Marianna Asmundo, nativa di Catania, aveva trasferito nell’animo del fanciullo, fin da quando la famigliola De Roberto abitava nella città di Napoli. In seguito alla morte del marito, ufficiale napoletano dell’Esercito Regio, la signora Asmundo decise di trasferirsi con i due figli avuti dal matrimonio nella propria città di origine. Federico non sembra accusare tristezza o rimpianto per la terra natale, tuttavia notiamo che fin da allora nacque nel suo animo una potente dicotomia, una sorta di vocazione comparativa spontanea ed immediata tra “vicino e lontano”, “presente e passato”, “fenomeno e noumeno” che caratterizzerà ogni singolo suo scritto ed ogni sua azione; egli diverrà “mediatore” continuo di ogni estremo, del piccolo e del grande, di ogni realtà apparente od invece sommersa nell’incoscio dell’animo umano.

Riconosciamo in queste coordinate che inquadrano l’opera tutta di De Roberto i “cardini” essenziali della professionalità dello scrittore e che possono essere agevolmente ricondotti alla figura del “padre”, rivissuta in un ripensamento nascosto ma sempre presente, e a quella della “madre”, prepotentemente presente e viva nella vita di ogni giorno.

Il processo di mediazione di cui parliamo non fu indolore; il desiderio del piccolo Federico di svincolarsi dal dominio della figura materna per riconoscersi in una identità mascolina paterna, il cui ricordo si affievoliva sempre più e che riusciva a concretizzarsi soltanto nella “dicotomia comparativa” di tipo scientifico letterario, non fu mai completamente realizzato.

L’autore cercò un appoggio nella figura dell’amico Giovanni Verga che egli venerava, ma non riuscì a ricevere, in cambio dell’ammirazione e della devozione professata, sentimenti di vera e solidale amicizia. Anche in questo rimase deluso eppure non si rivoltò contro l’illustre amico rimanendo volontariamente nell’ombra e non ricusando alcuna occasione per celebrarne la grandezza. Non gli serbò rancore per il giudizio “non positivo” dato ai suoi scritti, anzi si fece un cruccio della incapacità che riteneva di avere nella stesura di un “grande romanzo”.

Il nostro giudizio “a posteriori” inquadra la figura di De Roberto in modo diverso da come i contemporanei non seppero vedere e non possiamo intanto ignorare la inesauribile opera di divulgatore culturale come giornalista; questa iniziata all’età di quindici anni proseguì ininterrottamente fino alla morte ed ebbe come palestra numerosi giornali e riviste italiani.

Ne indichiamo alcuni: Intermezzo (Alessandria 1890), Gazzetta del popolo (Torino 1893), Vita Nuova (Firenze 1890), Nuova Antologia (Firenze 1890-1911), Gazzetta d’arte (Palermo 1890), La Tavola Rotonda (Napoli 1892), Gazzetta letteraria (Torino 1889), Lettere ed Arti (Bologna 1889), Folchetto (Roma 1894), Roma letteraria (Roma 1894), Roma (Rivista politico parlamentare 1897-1898), Domenica letteraria (Milano 1897), Natura ed arte (Milano 1906), Rassegna contemporanea (Roma 1908-1913), Il Secolo XX (Milano 1920) ed ancora con collaborazione continua, da noi sempre segnata tra parentesi: Il Corriere della Sera (Milano 1898- 1908), La Lettura (Milano 1903-1923), L’Illustrazione Italiana (Milano 1909-1920), Il Giornale d’Italia (Milano 1914-1920), Il Giornale di Sicilia (Palermo 1920-1927).

Sulla attività giornalistica di De Roberto diamo chiarimenti più ampi nel nostro saggio “De Roberto uomo e giornalista” che è possibile consultare presso le maggiori biblioteche italiane. Puntualizzeremo soltanto un altro degli aspetti della personalità derobertiana, a nostro avviso molto importante: la consulenza editoriale della Casa Editrice Giannotta di Catania ed il programma di unità culturale della nazione varato dalla stessa casa editrice nel 1874 ed ideato dal nostro autore. Negli stessi anni anche l’Editore Treves di Milano pubblicò il periodico di cronaca e cultura “Nuova Illustrazione Universale” che diverrà, nel 1875, “Illustrazione Italiana” ed ospiterà autori di ogni parte della penisola. Catania, nel frattempo era divenuta tramite le Edizioni Giannotta e la consulenza di De Roberto punto di incontro ideale delle voci letterarie più autorevoli del tempo; parliamo di Mantegazza, Stecchetti, Serao, Martini, De Amicis, Capuana, Verga, Vertua Gentile, Pirandello, Lioy, Rapisardi, Brocchi, Cavallotti, Foianesi, Fogazzaro, Neera, Pitré.

Le opere degli autori citati vennero stampate sotto forma di un elegante volumetto di 250 pagine, con copertina bicolore a fondo nero con titolo, autore ed editore in rosso ed il loro costo era di una lira. Attraverso la pubblicazione di tali testi la piccola Casa Editrice Giannotta, nata come divulgatrice a piccolo raggio di sillabari e di raccolte poetiche dialettali, assume un compito molto più ampio: «far conoscere nella penisola la produzione letteraria siciliana, così come di fare amare in Sicilia la letteratura del Continente». Questo era il progetto ideato dal nostro De Roberto, Direttore editoriale a venti anni appena delle Edizioni Giannotta. La “diafora” derobertiana non finisce qui; il nostro compito è stato solo di stimolare la curiosità dei lettori e degli studiosi perché uno scrittore e divulgatore così degno di attenzione non venga ingiustamente dimenticato.