- Quando il silenzio si fa
voce (IIIª classificata)
- di Lucia Lo Giudice
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- Trascolora la sera
- sopra un velo di terra,
- scarni le mani attendono,
- ora inerti, il risposo.
- Preghiere appese su
- colonne sacre,
- nell’attesa che salgono alte.
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- Pensieri arricchiti di sogno
- le donne attendono il pane,
- frastornate dal pianto
- tante bocche affamate
- non danno quiete,
- e cupa ora è la notte.
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- Ruote di carro marce
- inzuppate di fango,
- ormai ricordi offuscati
- come vascelli lontani,
- si perdono nella memoria
- del vecchio.
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- Si intristì la cennamella,
- o mio paese rifiorito,
- ma la sulla nei campi
- aspetta carezze di falce,
- giovani a piedi nudi
- mai più tornati.
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- Ora la tua bellezza
- racchiude il gelido grido
- nel petto delle madri,
- azzuffarsi con spine di more
- ancora aspre, non graziate
- da pioggia.
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- Non girano più i mulini
- a dare musica sul velo dell’acqua,
- mani stanche a raccogliere
- il vento, impigliato
- nelle trecce arruffate.
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- Guance rosse di belle fanciulle
- muoiono dentro, e intanto
- i misteri umani nascondono
- tamburelli falsati di gioia
- sotto ceste di uva, arrossite
- per serenate lontane, oramai
- tarantelle sul cuore.
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- Pensieri scuciti e rapiti del tempo
- colati in pozzi solitari e freddi,
- ma l’occhio attento ti riscopre
- nel fuoco vivo, maestria dell’arte,
- scorre il tempo, come fiume
- che ti bagna il fianco.
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- Silente, adamantino nelle pupille
- della fanciullezza,
- rozzo ora urta ogni cosa
- sulla via del pianto,
- e non aspetta l’ombra
- che ti segue accanto.
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- Immaginario di giganti,
- l’imponenza delle tue chiese
- ai piedi del brontolio
- dell’Etna, tremore antico
- ma bellezza rara, profumi
- ti lasciano svanire nell’aria.
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- Remota radice
- che germogli il fascino dei tempi,
- batti gli stessi rintocchi dell’emozione.
- Sorge il sole, cercando nel buio dolce
- una fessura di luce, che dia conforto
- ai tetti alti e tristi.
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- Ma tu accarezzi l’antico fascino
- della pietra scura, si stendono
- i campi in maggese, e ora
- mostri i tuoi fianchi lussureggianti,
- sorgive ti bagnano la bocca
- e già dimentichi le annate magre.
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- Nel viale dell’innocenza
- nascondi a me fanciulla
- il tortuoso viottolo della vita,
- acerba sapienza
- scivolata dentro solitudine.
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- Lo stridere dei denti
- mutò con dignità nascosta
- sotto i bianchi capelli
- delle tue rose nate
- solo
ieri.
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