Incontri (Primo premio ragazzi scuole superiori)
di Sara Oliverio

 

Uh! Stasera la pioggia, l’aria, tutta l’atmosfera intorno batte forte sull’ombrello, creando una potente spinta verso il basso. Mi piace questa nuova forza che impone resistenza al mio braccio, a tutta la mia persona. L’acqua, furiosa, pulisce la strada principale, con i vari bar e sale giochi, dal cazzeggio generale.

Porca...! Mi si è rotto anche l’ombrello! Di corsa trovo riparo, incespicando in tutte le pozzanghere che mi è possibile incontrare durante il mio brevissimo tragitto, sugli scalini del palazzone grigio che si staglia nel vuoto, graffiando irrispettoso lo spazio circostante. Le due bandiere sbiadite, che durante il giorno beffeggiano le automobili sottostanti, ora sono tormentate dall’acqua che scende inesorabile e rende i colori più sinceri, le appesantisce mortificandole verso il basso. Uso la cabina a fianco per chiedere aiuto ad un amico patentato, ovviamente non disponibile. Penso a chi altri potrei rivolgermi mentre riaggancio la cornetta e premo irrequieta il pulsante che dovrebbe far scendere le ultime misere duecento lire che il telefono non ha alcuna intenzione di restituirmi. ‘Fanculo!

Non ho voglia di pensare, mi siedo sui gradini umidi davanti all’ingresso, così da essere - per quanto possibile - riparata dal temporale. Per quanto tempo starò qui ad aspettare? Aspettare cosa, poi? La solitudine dilata il tempo che, stasera, è orribilmente straziato dalla monotonia del muro d’acqua a poco più di un metro da me; un impedimento materiale per la vista che ha ormai rinunciato a tentare di scorgere qualcosa al di là del grande parcheggio. Se almeno non fosse così tardi...

Ma ogni situazione può riservare delle sorprese, e questa volta si materializza proprio dal nulla liquido che mi circonda, un incontro che, in simili circostanze, non potrei considerare che avvolto da un qualcosa di miracoloso, come un incontro faccia a faccia con il mio destino, come se quella figura fatidica mi fosse stata inviata direttamente dalla Divina Provvidenza......

Non saprei dire con sicurezza da quale direzione provenga, sembra mi sia stata regalata da quella stessa muraglia d’acqua che cinge i miei movimenti. Mi accorgo della sua presenza solo quando è già a fianco a me, quando il suo sguardo mi trapana la schiena costringendomi a voltarmi. Inutile dire che la primissima reazione è quasi di terrore, ma lei, senza dire una parola, mi si siede a fianco, troncando di netto ogni proposito d’invettiva che già si stava raggrumando nella mia mente perché m’aveva spaventato a quel modo, per il suo atteggiamento quasi strafottente, semplicemente perché si potrebbe ben dire che in questo momento il mio umore non sia proprio a livelli ideali. Il foulard che una volta doveva essere bianco lascia sfuggire lunghi trucioli scuri che scendono morbidi lungo il suo viso e dispensano gocce d’acqua sull’impermeabile logoro.

Non posso fare a meno di studiare minuziosamente i suoi movimenti; ora dalla tasca sdrucita tira fuori una sigaretta ingobbita dalla mancanza del relativo pacchetto e si ostina a volerla accendere con i fiammiferi fradici che ha a disposizione. Forse credendo di poter in tal modo rompere il silenzio che mi irrita terribilmente, le porgo il mio accendino proteggendo la fiamma con la mano libera. Finalmente tira una lunga boccata che le distende i tratti del viso, fino a poco prima contratti in un’espressione di nervosismo. È curioso osservare come goda fino in fondo del piacere che le offre quella ridicola sigarettina gobbuta; sembra non voler dare assolutamente ai suoi polmoni il dispiacere di perdere una sola briciola di tabacco. La brace rossa che le lampeggia vicino alle labbra rischiara i nostri visi più della luce fioca e giallognola dispensata da questi lampioni stitici.

La donna è di età indefinibile ma, a guardare bene, si può notare una fitta rete di rughe sottili che le solca il viso, specie agli angoli della bocca, e si addensa quale elaborata cornice attorno agli occhi leggermente gonfi.

Bramo un tiro da quella sporca paglietta, ma lei non sembra intenzionata ad offrirmelo, piuttosto esordisce con uno stonatissimo e fuori luogo:

“Como te ciama?”, dopo aver disegnato in aria una lunga serie di cerchietti di fumo. Nella semioscurità i denti bianchi spiccano sulla sua pelle scura.

Rispondo, ma non ho voglia di rivolgerle la stessa domanda, comincio a sentirmi leggermente a disagio.

“Cosa fa’ tu qua?” ribatte.

Merda, ha colpito nel segno!

La sua domanda genera subito un mio sfogo improvviso e sincero, generosamente farcito d’imprecazioni contro questa stramaledetta pioggia, contro questa fottutissima città, contro una serata in cui avrei fatto meglio a rimanere a casa piuttosto che trovarmici così lontano ad aspettare che si esaurisca il temporale vicino ad un’inaffidabile, loschissima zingara! Il mio monologo disperato si allarga e va disperdendosi nei temi più ampli del mio disagio giovanile, mettendo a nudo davanti a quell’estranea gli aspetti più intimi della mia vita. Sono esasperata! Lei mi ascolta senza pronunciare una sola parola, annuisce di tanto in tanto e sembra molto toccata dal mio momentaneo delirio. Solo al termine di quest’ultimo decide di enunciare la propria sentenza:

“Dai me la tua mano”.

“Ci mancava la lettura della mano adesso!” penso, mentre delicatamente afferra il palmo della mia destra.

Non sono sicura di ciò che ci sia nelle sue parole. Sembrerebbe strano ma non sarei in grado di riassumere concretamente ciò che mi confida durante il suo lunghissimo discorso in un italiano smorzato a volte da espressioni  dialettali, da frasi a me incomprensibili. Solo mi sembra che centri perfettamente lo stato di cose in cui vivo, e così, dopo poco tempo, cominciano a comporsi intorno a noi le sceno-grafie meravigliose delle sue predizioni per il futuro. I miei sogni, anche quelli che da sempre erano nascosti fra le pie-ghe dell’anima, sono da lei carpiti ed abitano ora le pozzanghere livide, il lurido asfalto che ci circonda. Il cielo cupo si popola del futuro raggiante che - secondo le parole di lei - sarebbe in serbo per me. Credo che la mia espressione non tradisca affatto le emozioni che tutto ciò ha suscitato in me.

Ovviamente non avevo creduto ai suoi discorsi, ma il mondo immenso e meraviglioso che era stato generato dalle sue labbra strette aveva illuminato quella spoglia realtà di una luce nuova, sento che quello che la zingara mi ha regalato è molto di più di una sciocca predizione, è qualcosa di grande e prezioso. Aveva cancellato la pioggia invernale, era penetrata negli angoli più reconditi del mio intelletto per portarvi il proprio calore.

Da un’invisibile tasca dell’impermeabile estrae ora una catenina annerita dal tempo che dice essere reduce di una lunga storia, tramandata da generazioni nella sua famiglia. L’accetto onorata, ma voglio che anche lei abbia un ricordo di questo nostro incontro così inconsueto, un simbolo tangibile del mio affetto verso di lei. Mi tolgo di dosso il mio amatissimo giaccone per porgerglielo, a sostituire la sua miserevole copertura, addirittura strappata in più parti; ormai non m’importa più di rimanere all’asciutto, sono quasi indifferente al freddo, al rischio di buscarmi un raffreddore, piuttosto credo sia giunta l’ora di abbandonare quel luogo, in ogni modo possibile, anche se mi toccherà camminare parecchio. Mi accingo a salutarla rivolgendole uno sguardo accorato, le sfioro la mano sperando fortemente di rincontrarla, prima o poi.

Avevo percorso pochi metri quando venni sorpresa da un secondo incontro provvidenziale. Una delle pochis-sime automobili parcheggiate si era messa in moto ed ora si fermava accanto a me. Attendo che il finestrino coperto di goccioline si abbassi per scoprire chi si cela dietro di esso, e sono al settimo cielo quando riconosco il suo volto.

È Carlo, il mio grande amico di sempre! Non so come avevo fatto a non pensarci prima. Da qualche mese Carlo lavora proprio qui, al tribunale, e gli capita spesso di dover trascorrere intere nottate in quei tristi uffici dai muri color verde petrolio.

È ovviamente incredulo nel vedermi lì da sola, a quell’ora tarda, e la goffa spiegazione a riguardo lo induce a riderci sopra e a prendermi in giro, ma non accenno neanche alla mia nuova amica, sapendo che in ogni caso non avrebbe potuto capire. Costeggiando il marciapiede scorgo la sua figura sinuosa; è in piedi e si poggia stancamente ad un lampione, come se indugiasse ad andare avanti. Il suo sguardo fisso tradisce un pensiero che vaga verso strade che non riuscirei mai a comprendere. Vorrei raggiungerla di nuovo, parlarle, beneficiare di quella presenza enigmatica, quando un’esclamazione del mio amico Carlo mi scuote violentemente ed interrompe di colpo le fantasticherie in cui ero immersa.

“Zingari di merda!”

“Cosa?”

“Mi ha fatto lavorare fino ad ora quella troia, con tutti i casini che ha combinato! Guardala, quando è arrivata nel mio ufficio era già così: strafatta d’allucinogeni fino a dimenticare persino il suo nome!”

Non rispondo, ma è prevedibile che i suoi discorsi mi abbiano turbata considerevolmente. Carlo si offre di darmi un passaggio che io naturalmente accetto; a dire il vero accenna persino alla possibilità di fare un giro in auto fino al pub più vicino, ma non ne ho voglia, voglio andare subito a casa ed affondare nel mio letto, fra le coperte soffici.

Intanto accarezzo con lo sguardo la buia desolazione in cui sono gettati, in un simile orario, i marciapiedi che tra qualche ora saranno già brulicanti di vita ma, ancora adesso, sono flagellati da questa pioggia isterica.