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Adriana Scarpa: Radici d’uomo (edizioni Images Art & Life, Modena 2000)

 

L’ultima silloge di Adriana Scarpa, poetessa che ha in attivo 30 volumetti di liriche, è “Radici d’uomo”, già insignita del Premio Internazionale di poesia “Michele Pavel” e pubblicata a cura dello stesso. L’opera dimostra un’alta sensibilità, ripercorrendo gli antri più remoti dell’anima in cui l’autrice, come nota con arguto senso critico Giovanni Capucci nella prefazione, «tiene nelle mani il filo della parola che le serve per segnare una possibile traccia sulla strada della vita e per provare a raggiungere il luogo dove affondano le “radici d’uomo” che non per niente danno il titolo alla silloge». L’uomo compare nella sua duplice valenza. L’eterno contrasto tra il bene e il male, tra il corpo-creta e l’anima–diamante. Egli fonda le sue radici sul sentimento, sul ricordo, sulla libertà, sulla parola e proprio «la parola fa l’uomo libero. Chi non si può esprimere è uno schiavo… Parlare è un atto di libertà; la parola è per se stessa libertà» (Feuerbach). In realtà la vita è polvere senza questo meraviglioso frutto «ma è libero davvero l’albatro? / è libero il gabbiano? e l’onda? / e il vento? / o non c’è forse / una mano invisibile / che traccia ogni percorso / e scrive regole e dispone / delle vite?».

Se il ricordo e la memoria sono l’unico paradiso dell’uomo, i sogni diventano indispensabili per alleviare i turbamenti e alimentare le emozioni, anche se non sono altro che «ampolle preziose / dentro cui conserviamo / gli scampoli dei sentimenti / ma guai lasciarle cadere / perché andrebbe in frantumi / anche il rubino del cuore». L’esi-stenzialismo è la natura dell’opera che culmina nella più meticolosa ricerca dell’Io. Attribuire un senso alla vita è l’eterno aut-aut dell’uomo, ma una risposta ci viene solo dopo aver attraversato quella porta che ci conduce alla luce, per ora godiamo delle piccole cose per poi «perderci / tra spiumii di galassie / sgravati dal corpo. / Ma dal suo cantuccio / di cosmo / la terra è dolce richiamo / alle nostre radici d’uomo». Allora non ci resta che lanciare uno sguardo e mirare lontano «come in un gioco di specchi / ripetuto all’infinito / sino a toccare / la curvatura morbida del cielo». La poesia di Adriana Scarpa è di elevato senso stilistico ed espressivo, ma soprattutto, cosa che succede raramente per la poesia, è avvincente. Le parole chiave legano le liriche l’una all’altra, dando vita ad un breve poema, la novità compositiva è il caposaldo dell’opera. In Adriana Scarpa la poesia è il fulcro dell’anima e come in una buona poesia «ogni parola e ogni pensiero aumentano il valore delle parole e dei pensieri che li precedono e seguono; e ogni sillaba ha una bellezza che dipende non tanto dal suono astratto quanto dalla sua posizione» (Ruskin).

Giuseppe Manitta