Arvin
di Margherita Siddi (fuori concorso)

 

C’era una volta in una terra lontana molto fredda, dove l’acqua faceva presto a trasformarsi in ghiaccio, un giovane principe di nome Arvin che viveva in un grande castello.
 
Un giorno questi, stanco di sentirsi tanto solo e spinto dalla voglia di conoscere il mondo, decise di mettersi in viaggio e raggiungere una regione molto lontana di cui aveva sentito parlare. Riunì la servitù e le comunicò la decisione di partire, sellò il suo bellissimo destriero e partì.
 
Cavalcò per molti giorni e molte notti finché raggiunse il mare. Colpito dalla immensità di quella distesa di acqua, che non aveva mai visto prima, si sedette sulla riva del mare e cominciò a pensare.
 
Era così assorto che non udì i passi di una giovane donna che, passando per caso accanto a lui, rimase stupita per la sua bellezza, si fermò a guardarlo incantata per qualche istante e poi gli sfiorò le spalle per richiamare la sua attenzione e chiedergli se avesse bisogno di qualcosa. Nell’udire quella voce improvvisa, il principe sobbalzò, ma si tranquillizzò non appena vide che si trattava di una ragazza dallo sguardo dolce. Mettendosi in piedi le chiese: «Come si chiama questo paese? Come mai sei qui sulla spiaggia in una giornata così fredda?».
 
Dopo avergli dato delle informazioni sul paese nel quale si trovavano, la donna aggiunse: «Io vivo in una casupola con la mia figlioletta e un cane e, da quando è morto mio marito, sono costretta a percorrere ogni giorno alcune miglia per raggiungere questa spiaggia dove raccolgo le conchiglie più belle. Con queste costruisco oggetti che poi rivendo al mercato per guadagnare da vivere alla mia famiglia». Poi asciugandosi gli occhi umidi per la commozione, aggiunse: «Quando sono qui, è il mio cane, Briciola, a badare alla bambina. Adesso devo andare, si è fatto tardi!».
 
Il principe, allora, si offrì di accompagnarla a casa e la fece salire in groppa al suo cavallo. Quando giunsero presso la povera abitazione della giovane donna, che si chiamava Luna, questa lo invitò ad entrarvi e corse a riabbracciare la figlioletta. Anche il principe si avvicinò alla bambina che gli sorrise, ma quando cercò di accarezzarla il cane Briciola ringhiò. Arvin e Luna scoppiarono a ridere e la giovane mamma si affrettò a dire: «Sta tranquillo, Briciola, la nostra Betty è in buone mani!».
 
Poi la ragazza, preparò da mangiare e mentre consumavano un frugale pasto parlarono di tante cose e Luna ebbe modo di raccontare come suo marito, che era un abile cavaliere, fosse rimasto ucciso in un duello con un re malvagio che angariava il loro popolo.
 
Dopo essersi riposato, il principe si accomiatò: «Adesso devo ripartire, bisogna proprio che io riprenda il viaggio. Grazie per la tua calorosa ospitalità. Ti ricorderò sempre!».
 
Il principe cavalcò instancabilmente percorrendo la costa finché giunse in uno strano paese che suscitò tutta la sua curiosità. Era un villaggio dove regnava un silenzio totale. Scorse un pescatore che armeggiava sulla riva, gli si avvicinò e lo chiamò. Questi, impaurito, tentò di scappare, ma il principe scese dal cavallo e lo trattenne chiedendogli: «Perché fuggi via, come mai sei così impaurito?». Il pescatore rispose con grande affanno che se le guardie del re si fossero accorte che parlava con un forestiero l’avrebbero sicuramente incatenato e trascinato in prigione e aggiunse terrorizzato: «Devo scappare, non devono vedermi!» - e corse a nascondersi dietro alcuni scogli.
 
Il giovane principe, esterrefatto, guardò il castello che sovrastava il villaggio e pensò di raggiungerlo per conoscere questo terribile sovrano. Il suo pensiero andò alla dolce Luna e a ciò che gli aveva riferito circa il re crudele che abitava in quella fortezza.
 
In lontananza scorse due guardie, ma non ebbe paura e proseguì verso il castello. Queste però impugnarono le loro armi e, raggiuntolo, riuscirono a farlo cadere da cavallo. Con grande destrezza per un po’ il principe riuscì a sottrarsi alle spade, poi si ricordò della fionda che suo padre, il re, anni addietro gli aveva regalato raccomandandogli di portarla sempre con sé. Così raccolse una pietra e colpì una guardia. Questa lanciò un urlo di dolore, i cavalli si imbizzarrirono e scapparono via con i loro cavalieri.
 
Il principe rimontò a cavallo, oltrepassò le mura di cinta del castello e bussò al portale. Due soldati dal volto cattivo aprendo sbraitarono: « Che vuoi? Chi sei? Non puoi entrare, non facciamo entrare sconosciuti nel castello». «Fatemi entrare sono un principe! Desidero conoscere il vostro re» - rispose Arvin con tono risoluto. I due guerrieri si consultarono e poi decisero di farlo entrare.
 
Quando fu al cospetto del re, il principe cominciò a presentarsi, ma d’un tratto si interruppe poiché si udirono urla e lamenti. Il re prese la parola e disse: «Cosa ha fatto? Perché grida tanto?» - indicando l’uomo che nel frattempo gli era stato condotto dinanzi. Arvin notò che si trattava del pescatore che aveva incontrato poc’anzi.
 
«Sire, quest’uomo è un traditore!» - affermarono le guardie. Il sovrano allora, prima ancora che il pover’uomo potesse parlare per difendersi, comandò: «Imprigionatelo nei sotterranei!». Il principe, a quel punto, indignato indirizzò aspre parole di rimprovero al terribile re: «Cosa vi ha fatto di male il vostro popolo da meritare un trattamento tanto crudele? Comportandovi in questo modo dimostrate di essere molto più simile a una bestia feroce che ad un uomo!». Come osava? Come osava uno stupido giovane principe rispondere al re e offenderlo in quel modo? Come poteva sfidarlo con tanta fermezza? Erano ormai tanti anni che nessuno si permetteva di contrariarlo e tutti al suo cospetto tremavano. Questi e tanti altri furono i pensieri che affollarono la mente del sovrano, il quale se ne stette parecchio tempo seduto sul trono a rimuginare estranian-dosi da tutto il resto.
 
Tutti lo guardarono sbigottiti e in assoluto silenzio.
 
Improvvisamente la chiara luce lunare illuminò il volto del re che pian piano abbandonò la durezza che aveva assunto negli ultimi anni, divenne sempre più dolce e lasciò trasparire una grande tristezza. «Ero ancora bambino quando dei predoni giunsero in questo paese e, con l’aiuto di alcuni del popolo, devastarono e incendiarono tutto uccidendo mia madre sotto i miei occhi; da quel momento la mia rabbia e il mio dolore si sono trasformati in crudeltà, non posso fare a meno di essere così violento» - soggiunse a voce bassa il sovrano.
 
In quel momento entrarono nella sala la moglie e la giovane figlia del re che rimasero stupite nel vederlo insolitamente calmo e sereno. Il re allora comandò alle guardie di rimettere in libertà il povero pescatore e si impegnò dinanzi ai presenti a guidare, da allora in avanti, il popolo con giustizia e lealtà: poi chiamò un servo e gli ordinò di preparare un banchetto in onore del principe ospite.
 
Tutti si rallegrarono e gioirono per quell’improv-viso e inaspettato cambiamento.
 
Il principe Arvin rimase molto volentieri anche a dormire al castello e trascorse finalmente una notte su un comodo materasso di piume. Nonostante la soddisfazione per tutto quello che gli era accaduto nelle ultime ore, il giovane Arvin non riuscì a chiudere occhio perché c’era un pensiero che non gli dava tregua, quello della bella e coraggiosa Luna e della sua figlioletta.
 
Accanto a quella donna si era sentito insolitamente sereno e felice. Così sul far dell’alba, dopo una notte insonne, prese una decisione: doveva ritornare da Luna e chiederle di sposarlo perché era questo ciò che il suo cuore desiderava più di tutto.
 
Quando si alzò e raggiunse il re, rifiutò cordialmente l’invito insistente a rimanere ancora presso la sua corte, poi senza perdere tempo si mise in viaggio verso quella donna che aveva illuminato la sua vita come la luna rischiara una notte particolarmente buia.