Santino Spartà, poeta del mistero e dell’eterno
di Angelo Manitta

«Anzi ebbi di più, / di incontrarti laddove / non avrei mai pensato. / E fu un colpo di fulmine, / mi sono innamorato di te / perdutamente». Questi bellissimi versi, certo rapportabili ai più bei versi d’amore della poesia italiana ed europea, sono tratti dal volume di Santino Spartà “Continuo a cercarti”: una poesia che a ragione ha meritato l’attenzione dei maggiori critici e poeti italiani da Mario Luzi a Mario Sansone, da Ferruccio Ulivi a Sergio Campailla, da Luigi Reina a Maria Grazia Lenisa, a Giuliano Manacorda. La poesia di Spartà, infatti, è stata oggetto di un Convegno tenutosi nell’ottobre del 1997 a Roma, i cui atti sono stati pubblicati di recente a cura della casa editrice Rogate. Il volume è certo un punto saldo della critica su Spartà, la cui poesia può essere definita ‘poesia d’amore’, ma non si tratta di un amore profano o laico, bensì di un amore spirituale e mistico, tutto volto alla Divina Presenza, cioè a Dio, punto forte e focale dell’intera silloge, che va dalla raccolta di liriche Immutato è il sorriso tra i solchi del 1969, Nelle mani mistero del 1975, Vorrei intervistare il mistero del 1980, Quando aprirai la lettera del 1984, Rincorro l’Eterno del 1988, Mi sono innamorato del 1992, per giungere alle ultime poesie inedite. Come si può evincere già dai titoli, due sono gli elementi di ricerca e di riflessione: l’amore e il misticismo. Cerchiamo di vederne gli aspetti essenziali. “Mi sono innamorato di te” è da rapportare (anche se con toni e modalità diversi) non solo alla lirica d’amore petrarchesca e dei petrarchisti, ma a tutta la tradizione lirica italiana, senza escludere Dante, nel quale l’amore trasumanato verso Beatrice risponde ad una  divinizzazione o beatificazione. In Dante la donna diventa non più simbolo d’amore terreno (benché a volte espresso con moduli e stilemi propri dell’amore umano), ma espressione di una amore spirituale. Anche in Spartà l’amore verso Dio è espresso con stilemi ed espressioni puramente umani, giungendo al dialogo e alla completa comunione con Lui, quasi in una fusione complessa tra materialità e spiritualità, tra eterno e effimero, tra contingente ed immanente. E mi sembra superfluo ricordare quanta poesia d’amore è scaturita dalla tradizione cristiana, cattolica ed ortodossa! Basti pensare al famoso “Inno alla Vergine” del poeta bizantino Giovanni Geometra o a Simeone il Teologo. Quest’ultimo scrive: «Ascolta ora, se vuoi, / il potere dell’amore; / e apprenderai che l’amore / è più grande di tutte le cose». E continua: l’Amore «è fuoco, è anche splendore, / è nube di fiamma, / è sole perfetto». L’amore di Spartà verso Dio è anch’esso, oltre che ricerca, fuoco e amore perfetto, amore che sfiora il misticismo, benché egli non sia un mistico, quasi in una fusione tra afflato religioso e liricità laica. L’espressione “mi sono innamorato” scaturisce dalla sincerità comunicativa di un vero amante, in un rapporto a due, eterno ed effimero, dove l’innamorato è l’uomo e l’oggetto dell’amore è Dio. Questo genere di trasposizione non è assolutamente nuovo nell’ambito della tradizione religiosa, e cristiana in particolare. Il “Cantico dei cantici”, infatti, è uno dei primi canti d’amore che grande influsso ha avuto sulla simbologia cristiana. Le espressioni profondamente umane sono caricate di numerosi significati metaforici e simbolici. Lo sposo è il Cristo, la sposa è la sua Chiesa. Lo sposo è l’uomo, la sposa è la divinità. Sotto un semplice canto d’amore in cui si declama: «Io dormo, ma il mio cuore veglia. Un rumore! È il mio diletto che bussa (Cantico, 5, 2), oppure: «Ho cercato l’amato del mio cuore; l’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città; per le strade e per le piazze; voglio cercare l’amato del mio cuore» (Cantico, 3, 1-2), si nasconde tutta una concezione mistica e allegorica. La Chiesa diventa l’essere umano che attende lo sposo, cioè cerca la salvezza, per utilizzare il linguaggio della parabola delle Vergini. L’amore appare ancora una volta ricerca. E Spartà ricerca il senso della propria esistenza, o meglio ancora il significato della vita umana oltre l’apparenza ingannevole della materialità. In questo rapporto tra amore sacro e amore profano (e ci viene in mente il famosissimo quadro di Tiziano, che bene ha espresso questi due concetti sotto l’aspetto iconografico) si intersecano il mistero e il misticismo. La poesia di Spartà è contemplazione del mistero, ma anche raffronto con l’eterno e la sublimità. Il misticismo di Spartà non è però apparente e teorico, come si è espresso qualche critico. Certo non si tratta del misticismo classico, come quello, per fare un esempio, di Teresa D’Avila o Bernardo di Chiaravalle, San Francesco d’Assisi o Teresa di Lisieux, ma si tratta di un misticismo poetico, di una penetrazione del mistero attraverso il dubbio. L’autore, infatti, giunge alla conclusione che la ricerca deve essere continua e perenne, in quanto nel caso in cui non fosse così diverrebbe dogmatismo. E il misticismo sussiste fino a quando non diventa immobilismo contemplativo. Se quindi si vuole guardare al retroscena culturale e poetico della poesia di Spartà non bisogna soffermarsi sui poeti contemporanei (Rebora, Caproni, o altri) bensì sui modelli biblici o della tradizione cristiana. Determinanti sono gli influssi dell’in-nografia medievale (non dimentichiamo che i più begli inni cristiani vengono recitati ogni giorno durante le ore canoniche) o dei salmi davidici, in cui appaiono il tormento dell’uomo, la preghiera e soprattutto un intenso rapporto con gli elementi naturali. Ma la poesia di Spartà è anche una poesia che esprime il proprio tempo, è una poesia moderna, è una poesia che in maniera sincretistica, di un sincretismo letterario che unisce esperienze passate a visioni presenti, scaturisce da una salda visione religiosa e da una grande intuizione lirica. Originale è l’idea di intervistare il Mistero, quasi per penetrarlo e palesarlo a tutti. L’indagine corre sul filo dei più grandi poeti religiosi (e qui mi vengono in mente alcuni brani lirici dei quattro Profeti maggiori), attraverso una metamorfosi interiore. Il tormento di Davide diventa il tormento dell’uomo contemporaneo, il dolore di Giobbe passa attraverso l’inquietudine di S. Agostino e del Petrarca, autori che certo hanno avuto una grande influenza sulla poesia di Spartà, poesia che scaturisce proprio dalla fusione tra il misticismo laico (poesia pura) con quello religioso (contemplazione del mistero). La poesia diventa noumeno, espressione esteriore di un interiore impulso mistico, quasi in un panteismo cristiano: l’Essere Supremo che si specchia nell’universo rispecchia l’universalità.

Se questa è un po’ la mia modesta visione sulla silloge di poesie di Santino Spartà, “Continuo a cercarti”, più ampi e criticamente più validi sono stati gli interventi dei numerosi partecipanti al Convegno di Roma del 1997, così come si può evincere dalla pubblicazione degli atti. Ferruccio Ulivi parla di espressionismo mistico, di inquietudine e di ricerca interiore da parte di Spartà, anche se non manca «un’indefettibile coscienza e certezza». Invece una parabola dei nostri tempi vede nella sua poesia Sergio Campailla, evidenziando un dialogo tra creatura e Creatore attraverso un linguaggio moderno e diremmo telematico o giornalistico: Spartà vorrebbe fare uno scoop anche con la divinità. Sulla ricerca del mistero pone l’attenzione Alberto Fratini nel terzo intervento. Il linguaggio è fondamentalmente simbolico e si conclude con una metamorfosi che dissolve l’incantata delicatezza iniziale. Franco Lanza nella poesia di Spartà evidenzia il rapporto e il contrasto tra tempo ed eterno, che appaiono quali realtà determinanti della vita fisica come della vita spirituale, realtà che immergono l’uomo nel duplice mistero dell’origine e della fine. Tale concetto viene maggiormente approfondito da Ermanno Circeo, che evidenzia una certa ansia religiosa e un anelito d’infinito nella poesia di Spartà, nella quale invece Miranda Clementoni vede una “poesia pura”, cioè uno strumento per indagare e rivelare, attraverso le immagini, gli aspetti nascosti e misteriosi dell’esistenza, mutuati dall’originalità creativa e dalla personale sensibilità del poeta.  Dall’ “Urlo di Caino” alla “Divina Presenza” è invece l’itinerario poetico di Spartà, secondo Armando Friscon. La Divina Presenza è intesa come una folgorazione improvvisa, piuttosto che come una graduale conquista. Elio Gioanola nel suo intervento fa un serrato confronto tra Caproni e Spartà, la Divina Assenza dell’uno viene rapportata alla Divina Presenza dell’altro, mentre Marta Salvini evidenzia la ricerca, quasi mezzo di una missione salvifica. L’inquietudine è stimolo a indagare senza tregua il mistero. Sull’inquietudine, sul viaggio e sulla certezza pone l’attenzione pure Enrico Elli, il quale afferma che l’autore «sempre torna ad interrogarsi sui grandi temi della vita, del dolore, della morte, di Dio». In un confronto quasi tra Fede e Ateismo si snoda l’intervento di Gianni Grana, il quale dice che Spartà «appare costitutivamente estraneo all’esperienza mistica, e direi proprio refrattario per incapacità di abbandono». Al contrario invece nota un afflato mistico ed estatico Paolo Miccoli, il quale dice che Spartà «intuisce le promesse del mistero come rilevanza positiva e feconda di tutto ciò che esiste». Se Gualtiero De Santi vede nella sua poesia l’amore dell’eterno attraverso un linguaggio forte e immaginoso, uno stretto legame con la terra di Sicilia evidenzia Vincenzo Arnone, quasi in un connubio tra infanzia e mistero, nei suoi margini indefiniti e sfumati e nel suo significato religioso. Un’identità di esigenze umane e spirituali vede invece Giovanna Finoc-chiaro Chimirri tra la poesia di Rebora, Caproni, Turoldo e Hopkins e quella  di Spartà, in una instancabile e tormentata ricerca della verità, difficile e solitaria. Secondo Luigi Reina nella sua poesia si annulla ogni determinazione materialistica ed ideologica e si esalta la componente sacralizzante dell’atto d’amore, mentre per Gabriella Congiu l’uomo di queste liriche «rifiuta con sdegno ancestrale la contaminazione con il mondo moderno, lasciando fermentare le passioni in un tempo sciolto dai vincoli tiranni della tempicità». Se il discorso si fa generico con Roberto Pasanisi, il quale mette a confronto la civiltà di massa e la morte dei valori con il poeta che esprime un ideale irraggiungibile tra le rovine della civiltà moderna, sul mistero e sull’inquietudine di Spartà riporta l’attenzione Carmine De Biase, che vede nel poeta una condizione mistica che non esclude il male e il buio della storia. Maria Grazia Lenisa evidenzia invece le caratteristiche del lin-guaggio spartiano, di «un’apparente semplicità ed essen-zialità, ma capaci di predisporre, attraverso un contesto di sensi, segni e significati assai complessi, alla meditazione». Claudio Berilli si sofferma sull’inquietudine e la gioia, sulla creaturalità e sul mistero della Poesia di Spartà, Ninni Di Stefano Busà nota una ‘religio’ dello spirito cristiano quasi ad invocazione di una conciliazione con Dio, Carmelina Sicari evidenzia un misticismo realistico ed una ascensione lirica, mentre Michele Campanozzi attenziona il silenzio di Dio nei confronti dell’uomo. Il volume, certamente essenziale per conoscere Spartà quale poeta e uomo, quale sacerdote e religioso, si conclude con l’introduzione che Mario Sansone aveva scritto per la pubblicazione della raccolta di liriche “Mi sono Innamorato” nel 1992. «Quello che propriamente caratterizza la sua poesia è il modo con cui egli si pone in rapporto con la divinità. Come la presenza non è propria delle ore eroiche della vita, come essa è la consolazione di ogni ora, il compimento di ogni gesto, così essa è avvertita come presenza familiare in una semplicissima ed umanissima quotidianità dei rapporti».

 

Santino Spartà è nato a Randazzo, in provincia di Catania, ma risiede a Roma. Laureato in Lettere e Teologia, ha collaborato e collabora a numerose testate giornalistiche e radiofoniche, tra cui Radio Vaticana, Radiouno, Panorama, Oggi, Famiglia Cristiana, Gioia. Ha pubblicato numerose opere di saggistica, di poesia e di interviste a noti personaggi della cultura e dello spettacolo, tanto da essere definito il prete dei vip. Grande comunicatore, pacato, fantasioso e tollerante, negli ultimi tempi ha suscitato anche l’interesse della critica. Un grande contributo concreto è stato dato dal convegno nazionale tenuto nell’ottobre del 1997 a Roma, presso l’Università Urbaniana, cui è seguita la pubblicazione degli atti. Interessanti per la sua conoscenza sono due tesi di laurea condotte sulla sua opera poetica e un saggio di Maria Grazia Lenisa.