- Quis fuit
horrendos primus qui protulit enses?
- Quam ferus
et vere ferreus ille fuit!
- Tum caedes
hominum generi, tum proelia nata,
- tum brevior
dirae mortis aperta viast.
- A nihil ille
miser meruit! Nos ad mala nostra
- vertimus, in
saevas quod dedit ille feras.
- Divitis hoc
vitium est auri; nec bella fuerunt,
- faginus
adstabat cum scyphus ante dapes.
- Non arces,
non vallus erat, somnumque petebat
- securus
varias dux gregis inter oves.
- Tunc mihi
vita foret dulcis, nec tristia nossem
- arma nec
audissem corde micante tubam.
- Nunc ad
bella trahor, et iam quis forsitan hostis
- haesura in
nostro tela gerit latere.
- Sed patrii
servate Lares: aluistis et idem,
- cursarem
vestros cum tener ante pedes…
- Quis furor
est atram bellis arcessere mortem?
- Imminet et
tacito clam venit illa pede.
- Non seges
est infra, non vinea culta, sed audax
- Cerberus et
Stygiae navita turpis aquae:
- illic
peresisque genis ustoque capillo
- errat ad
obscuros pallida turba lacus.
- Quam potius
laudandus hic est, quem prole parata
- occupat in
parva pigra senecta casa!
- Ipse suas
sectatur oves, at filius agnos,
- et calidam
fesso comparat uxor aquam.
- Sic ego sim,
liceatque caput candescere canis
- temporis et
prisci facta referre senem.
- Interea Pax
arva colat. Pax candida primum
- duxit
araturos sub iuga panda boves,
- Pax aluit
vites et sucos condidit uvae,
- funderet ut
nato testa paterna merum:
- pace bidens
vomerque nitent, at tristia duri
- militis in
tenebris occupat arma situs…
- Rusticus e
lucoque vehit, male sobrius ipse,
- uxorem
plaustro progeniemque domum.
- Sed Veneris
tunc bella calent, scissosque capillos
- femina
perfractas conqueriturque fores:
- flet teneras
subtusa genas, sed victor et ipse
- flet sibi
dementes tam valuisse manus.
- At lascivus
Amor rixae mala verba ministrat,
- inter et
iratum lentus utrumque sedet.
- A lapis est
ferrumque, suam quicumque puellam
- verberat: e
caelo deripit ille deos.
- Sit satis e
membris tenuem rescindere vestem,
- sit satis
ornatus dissoluisse comae,
- sit lacrimas
movisse satis: quater ille beatus
- quo tenera
irato flere puella potest.
- Sed manibus
qui saevus erit, scutumque sudemque
- is gerat et
miti sit procul a Venere.
- At nobis,
Pax alma, veni spicamque teneto,
- perfluat
et pomis candidus ante sinus.
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- Chi fu per
primo ad inventare le orrende spade?
- Quanto
feroce e davvero insensibile egli fu!
- Allora
nacquero le stragi per il genere umano, allora le guerre,
- allora venne
resa più breve la via all’inesorabile morte.
- Ah!
Quell’infelice non merita nulla! Noi stessi rivolgiamo
- a nostro
danno ciò che egli ha inventato contro le bestie
- selvagge.
Questa è corruzione del prezioso oro.
Non c’erano
- guerre,
quando una tazza di faggio era posta sulla mensa,
- non
c’erano fortezze né trincee e il pastore, sicuro,
- trovava
sonno tra il gregge di vario colore. Per me allora
- la vita
sarebbe stata gradevole e non avrei conosciuto
- le lugubri
armi né udito la tromba col cuore in tumulto.
- Ora sono
trascinato in guerra e forse già qualche nemico
- palleggia la
lancia da infiggere al mio fianco.
- Ma, o patrii
Lari, proteggetemi, voi che mi nutriste
- bambino,
quando correvo davanti ai vostri piedi…
- Che pazzia
è cercare in guerra la morte funesta?
- Essa ci
incalza e viene di nascosto col suo tacito piede.
- Laggiù non
ci sono campi coltivati né floride vigne,
- ma
un Cerbero audace e lo spregevole nocchiero delle acque
- Stigie. Là,
con le gote corrose e con i capelli bruciati,
- una pallida
schiera vaga presso le tenebrose paludi.
- Ah! Quanto
è preferibile qui colui che trascorre la sua
- vecchiaia
insieme alla prole in una piccola casa!
- Egli sta
dietro al suo gregge, mentre il figlio accudisce
- agli agnelli
e la moglie prepara, per lui stanco, acqua calda.
- Così possa
vivere io, col capo bianco come la neve, e possa, ormai vecchio,
correre con la memoria al tempo antico.
- Intanto
la Pace renda floridi i campi. La bianca Pace dapprima
- ha
spinto i buoi ad arare dopo averli domati col curvo giogo.
- La Pace ha
nutrito le viti ed ha conservato il succo dell’uva
- affinché la
coppa paterna versasse buon vino al figliolo.
- La Pace
rende fulgidi i vomeri e le zappe, mentre la ruggine
- copre nelle
tenebre le tristi armi del duro soldato.
- Il
contadino, con la mente annebbiata, conduce col carro
- fuori dal
sacro bosco, verso casa, la moglie e i figli.
- Allora si
accendono piacevoli contrasti d’amore: la donna
- lamenta i
capelli lacerati e le porte infrante:
- pestata,
piange le tenere guance, ma lo stesso vincitore
- si lagna che
tanto abbiano osato le sue folli mani.
- Il volubile
Cupido intanto accende con crude parole la rissa,
- mentre se ne
sta pacifico tra la rabbia degli amanti.
- Ah! È
davvero di pietra e di ferro colui che maltratta
- la propria
ragazza: egli strappa dal cielo gli dei!
- Gli basti
lacerare dal suo corpo il leggero vestito,
- gli basti
avere sconvolto le sue chiome acconciate,
- gli basti
aver fatto scorrere una tenera lacrima: mille volte
- felice colui
che spinge al pianto, nella foga, la sua dolce
- ragazza.
Chi invece incrudelisce con le mani, prenda lo scudo
- e la lancia,
e si allontani dalla delicata Venere.
- Ma tu, o
Pace divina, vieni a noi, tieni per mano una spiga
- e
sia colma di frutta la tua candida veste.
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