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La puntata di Antonino Ucchino, un grande romanzo d’amore sullo sfondo di complesse situazioni sociali, politiche, filosofiche, religiose e culturali (Intilla Editore, Messina 1999)

 

Antonino Ucchino, insegnante e direttore didattico del messinese ora a riposo, non è certo alla sua prima esperienza letteraria. È autore, infatti, di diverse pubblica-zioni: poesie per lo più risalenti all’età giovanile, e di recente un libro di ricordi scolastici. Ma sicuramente “La puntata”, un romanzo di grande respiro, è la sua opera maggiore sia per i temi trattati che per il complesso intreccio. Il narratore immagina di trovare un taccuino d’appunti da cui trae un’accattivante vicenda d’amore che lega il capo ufficio di una Società di assicurazioni, Lucio Moschetti, ad una sua impiegata, Agata. Si tratta di un amore passionale che pone a volte il protagonista in bilico tra l’amore per la moglie (la madre dei suoi figli) e l’amante, che ha ovviamente il sopravvento. La situazione triangolare, lui-lei-l’altra, che potremmo in altre parole dire marito-moglie-amante, è classica. Ma il romanzo cadrebbe nella banalità se si fermasse solo a questo rapporto trilaterale. La vicenda infatti, che si svolge a Catania e nei paesi limitrofi, è un intreccio di sentimenti e passioni, contrasti e battibecchi, tormenti e ripensamenti all’interno di una società che non è più dominata da una struttura mafiosa (come in Sciascia), ma che non è più contadina e neppure di sottoproletariato meridionale o di nobiltà decaduta (come in Pirandello, De Roberto o Verga). La situazione è prettamente borghese: la donna cerca di affermare la sua personalità. Agata reclama la sua libertà. Infatti alle parole di Lucio: «“Ma tu sei libera, ti ho sempre lasciata libera”, lei risponde: “Che libertà!… Che libertà è questa! Sono libera di stare solo con te, di amarti e basta. Posso stare con un altro? Posso amare un altro?”». In poche parole Agata mette il suo amante di fronte alla situazione conflittuale. Lei può soltanto amare, ma non può avere una famiglia fino a quando Lucio sta con la moglie. La situazione già compare in un’opera giovanile di Ucchino, scritta in dialetto siciliano, “L’Appuntamentu”, in cui,  come abbiamo visto nella recensione pubblicata nel numero precedente del “Convivio”, Mariuzza, la protagonista, vuole che Vincenzo (che l’ha disonorata) sia suo e abbandoni moglie e figli, perché lei, alla sua vita ci tiene. Il contrasto tra Lucio e Agata dura per l’intero sviluppo del romanzo. Si tratta di un amore totale dei sensi, di un amore fatto di incontri e di appuntamenti, di frenesia e passione, ma soprattutto di contrastri e momentanee separazioni, quasi in un’altalena di ondeggiamenti e ripensamenti, fino a quando Agata dice al suo capufficio che non l’ama più (sarà una decisione definitiva?). «Chiuso, finito, con Agata – si esprime il narratore ad un certo punto. - Chiuso, finito con tutto. Libero. Immensa gioia, immensa pena. Vuoto assoluto. Ora egli andava come fosse in un vuoto, tra cose vuote, inerti, inutili. Ogni cosa che vedeva, ogni cosa che faceva, la riteneva una cosa inutile» (p. 305). In questo eterno contrasto tra amore e odio si innesta l’incontro con altre donne. Ma nessuna per Lucio Moschetti può essere come Agata. Anita, Clara, Olga sono semplici figure senza senso, quasi “donne di schermo” per dirla con Dante. Ma Agata e Lucio, mille volte in conflitto, ritornano sempre insieme, tentando di sfuggire agli altri, cioè a quell’opinio-ne pubblica che li condannerebbe, fino a che decidono di non ricorrere più ad alcun sotterfugio. Si tratta di una storia a lieto fine? Be’ se dessi una risposta ad una tale domanda sarebbe come togliere al lettore il gusto della lettura e perciò diamo la possibilità di scoprilo da sé. A margine di questo eterno dilemma tra amore passionale e responsabilità familiare, si intreccia la politica. La morte di Tommasini, vittima di un attentato mafioso, sconvolge la vita di Lucio, perché anche lui era legato ad un gruppo politico. Teme per la sua morte e perciò si rifugia nella “sua” famiglia, e si propone con ‘farsesco coraggio’ di non fuggire, ma di affrontare la situtazione senza cedere ad alcun ricatto: «Di questo fatto, del non cedere e del non fuggire, a furia di pensare e parlarne, egli ne aveva fatto una sua filosofia, e s’era sempre imposto che vi avrebbe tenuto fede se gli fosse capitata l’occasione» (p. 283). Questo pensiero, in un mo-mento in cui Agata per l’ennesima volta gli aveva detto che non lo amava più, diventa più forte. La ricerca di lei però è frenetica. La morte diventa quasi per Lucio elemento di liberazione. Si poteva chiudere la disgraziata avventura della sua vita, spesa alla ricerca dell’amore. «Chiuso. Ed era un totale fallimento. L’amore: una misera invenzione dell’uomo, per lenire le sue sofferenze e la sua sventura dell’essere nato in questo mondo. Le donne: tutte puttane, in un modo o in un altro, scialbe marionette di un destino beffardo. Il sesso: l’arma principale di questo destino» (p. 465). Il romanzo giunge alla conclusione e l’autore (o meglio il narratore che ha dato vita alla storia) ritorna al taccuino da cui era partito e gli viene il ghiribizzo di sapere se in effetti questa Agata e questo Lucio siano davvero esistiti e se si siano davvero amati. Dopo varie ricerche finalmente sembra essere giunto alla chiave del tutto, ad una donna che sapeva molto su questo amore (è Agata stessa), tanto che il narratore chiede: «“Signora, mi perdoni, vorrei sapere se lo ha amato veramente”. Esita solo un istante, e dice: “È stato il mio amore…” e aggiunge: “il mio unico amore”».

Angelo Manitta