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Gian Franco Barcella |
La condizione giovanile nel romanzo di
Gian Franco Barcella, Un amore mancato (L’autore
libri, Firenze 2001)
Jacopo
e Micol, Micol e Jacopo: due nomi dal suono moderno eppure dal gusto
antico, dalle vibrazioni solari l’uno, dalle risonanze riservate e
raccolte su se stesso l’altro. Jacopo e Micol sono i due protagonisti
del romanzo “Un amore mancato” del poeta e scrittore savonese Gian
Franco Barcella, edito nel 2001, uscito con la postfazione della
scrittrice e giornalista Bruna Magi. In esso viene narrata l’odissea
della breve vita di un giovane di adesso; un giovane che ha tutto e
che vive in un mondo dove tutto è iper: ipermercati, iperdiscoteche,
ipervacanze, iperconcetti. Un senso di morte assolutamente
sconvolgente pervade i capitoli del romanzo dedicati al giovanissimo
suicida.
I tempi del romanzo vengono giocati, a partire dalla fine, sui flash-back, dalla morte di Jacopo si torna indietro per comprendere il perché di una rinuncia tanto grande. Eppure l’incontro con la solare Micol, che gli infiamma corpo e spirito, avrebbe dovuto attrarlo verso la luce della speranza. Al contrario nel rifiuto ad accettare l’amore, pur essendo anch’egli pazzamente preso dalla fanciulla come solo un adolescente può esserlo, egli colloca il baricentro della sua vita allo scopo di minarne inconsciamente o forse voluta-mente l’equilibrio. Meglio rifiutare una cosa bella senza neppure provarla e sciuparla fin dal primo momento, per non sentirne i tormenti che addolorano l’anima. Per la giovanissima Micol l’amore è ansia di compiacere l’amato, è meraviglia della nuova alba vissuta nella speranza d’incontrarlo, è stargli accanto fisicamente e spiritualmente, sforzandosi di comprendere delusioni ed interiorizzazioni del suo stato di ragazzo studente figlio incompreso e poco amato. Nulla però può salvare un’anima che già dalle prime battute sta scendendo per una china dolorosamente pericolosa per un giovanissimo poeta troppo sensibile agli accadimenti, alle parole, ai comportamenti di coloro che gli vivono accanto e che, da esseri puramente umani, non comprendono i suoi timori d’inadeguatezza. Un simile atto contro se stessi è un tema ricorrente della letteratura romantica, da “I dolori del giovane Werther” di Goethe a “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” del Foscolo e questa di “Un amore mancato” di Barcella è la narrazione in chiave moderna delle sofferenze psichiche ed intellettuali di un eroe antitetico. È la storia di un’anima bella e troppo complessa che si ripiega sulla propria realtà peculiare ed essenziale poiché si trova, già in partenza, perduta alla vita. L’inadeguatezza vera o presunta o semplicemente voluta fa piombare il giovane in un gorgo di nulla, in un abisso di morte che avrebbe attirato con la forza del suo vortice distruttivo anche Micol, se il comportamento di Jacopo non si fosse dimostrato così offensivo ed irrispettoso per la fanciulla. Per sua fortuna Micol viene salvata dall’amore di un altro uomo, il padre Pierre, che portandola in un viaggio sentimentale fra poesia e tripudi di pranzi e cene lungo le caratteristiche vie della Liguria del Levante, la Baia delle Favole, il Golfo dei Poeti, le Cinqueterre, La Spezia, la riconduce alla vita, facendole sentire vicinanza, affetto comprensione…
L’autore, Gian Franco
Barcella, ha profondamente compreso la sofferenza esistenziale dei
giovani. Riesce a patire con Jacopo per il retaggio poco affettuoso
lasciato da genitori indifferenti che risolvono i problemi dando cose
e non sentimenti, o perlomeno genitori poco permeabili alle
problematiche del figlio che preferiscono ferirlo piuttosto che
comprenderlo e pretendono che egli diventi un insensibile egoista o un
perverso manipolatore della realtà come loro. Da queste pretese il
giovane è costretto a distaccarsi e per non morire spiritualmente
muore fisicamente. Aiutato da un linguaggio poetico ed al contempo
moderno, l’autore compie un viaggio dentro l’anima di due
giovanissimi. Insieme a Jacopo fa un cammino proiettato non verso il
futuro, come sarebbe naturale, bensì a ritroso dalla vita al nulla
primigenio simboleggiato dal mare, come se morire gettandosi nella sua
immensità fosse tornare nel grembo della Creazione per poter sperare
in una rinascita più benigna o nell’annullamento più totale
cancellando il proprio sé più profondo. Con Micol la rinascita avviene
dal grembo, se così si può dire, dell’amore di papà Pierre, a
dimostrazione che anche i padri, volendo, sanno arrecare nuova vita ai
figli, sanno donare loro con l’amore anche la speranza.
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