Il Convivio

Michele Fabbri

Ricorso alla memoria in Arcadia di Michele Fabbri


Diciamolo subito e senza alcuna esitazione. “Arcadia” di Michele Fabbri bello e notevole. Già nel 1999 l’Autore, che vive a Forlì dove è nato nel 1967, aveva dato alle stampe per i tipi di Fermenti la sua prima raccolta di liriche dandogli per titolo “Trobar clus”. E ciò non stupisce il lettore: trobar clus, che è il poetare in un linguaggio intenso ed elaborato fino all’oscurità, è la forma espressiva propria dei poeti provenzali, di lirici immensi come Marcabruno e Arnaut Daniel, che Michele fabbri che ha approfondito specializzandosi nello studio della letteratura medievale dopo una laurea in Storia. Adesso questo nuovo libro dal titolo ammaliante e sommessamente provocatorio che si compone, quasi nella sua interezza, di haiku. Per ragioni di gusto non abbiamo mai apprezzato i poeti che compongono versi imitando le strutture verbali che non gli appartengono, così riducendo un genere illustre soltanto a meccanica versificazione. Ma Michele fabbri rappresenta una piacevolissima eccezione, si appropria di un metro giapponese, l’haiku, che ha trovato in Basho il suo più rigoroso e drammatico cantore, e vi riserva suggestioni personalissime, modella una complessa quanto apparentemente semplice tramatura fonetica, mantenedosi in perfetto equilibrio, fino a risemantizzare nel verso l’icasticità di una sofferta macerazione interiore. La bellezza di queste liriche risiede nel loro spirito: esse sono volutamente attardate, così distanti dalle correnti decostruzioni linguistiche che infine appaino scontrosamente moderne. Luciano Folgietta, prefacendo il libro, ci suggerisce il tema della “cancellattura” e del ricorso alla memoria, fino all’attrazione per un tempo remoto e primitivo. Ma questa poesia, e vorremmo qui dissentire con Foglietta, non ci pare vagheggiamento del passato in quanto il canto della tradizione alla fine appare con un motivo incidentale, e anzi l’antichità che erroneamente la nostra tradizione scolastica ci ha mostrato come barbara è speculare ad un giudizio intellettuale compiacente e tollerante. Da qui il recupero: la poesia mantiene un timbro umbratile e bucolico in funzione non adornativa ma progressiva, dunque culturalmente evolutiva. Il tema della cancellatura, di notevole interesse, ci riporta alla memoria una bella frase di Beckett, nel suo saggio su Proust, e che vorremmo estendere all’opera di Fabbri: «La tendenza arti-stica non è espansione ma contrazione, e l’arte è l’apoteosi della solitudine». In questa composita Arcadia l’haiku si manifesta appunto come contrazione, decantamento stornato, serrata locuzione (si legga per tutti l’haiku per il cinghiale. «Scruta grifagno il muso di cinghiale: occhio sospetto») dove anche il silenzio, il rimanente biancore del foglio, è forma di comunicazione. Insomma una poesia matura e compiuta, degna di plauso e meritevole di accurate letture.

   Beniamino Biondi  
 

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