La ricerca in Poi mi dirai perché
di Rosalba Masone Beltrame (Gabrieli Editore, Roma 2002)
- L’ultima silloge di
Rosalba Masone Beltrame, “Poi mi dirai perché”, già dal titolo mette
in risalto un viaggio turbinoso dell’uomo alla ricerca del suo vero
Essere. «Nel cammino della sua rappresentazione spirituale» scrive
l’editore Gabrieli nella prefazione «l’autrice costruisce la sua
poesia sicura e fiduciosa: opera di purezza fatta, a volte, a ritroso,
senza voltarsi per non incontrare le brutture della vita, ora tra luci
ed ombre del passato, ora nella sola immaginazione degli ideali
futuri». Importante risalto ha nell’opera la condizione spirituale
dell’uomo e il compito principale che assume la poetessa è quello di
ideare un viaggio poetico per ritrovare se stessa e aiutare gli altri
a farlo. Spesso l’autrice con timore o con coraggio affronta il tema
della fine. Per lei tutto, persino la Bellezza, l’Essere stesso,
l’Amore, avrà una fine. L’itinerario poetico parte dalla rimembranza e
dall’analisi dell’uomo, la cui esistenza spesso si spinge all’assurdo,
dimensione che l’autrice vede e descrive. Un’immagine si apre davanti
ai suoi occhi: «Labirintico il silenzio di spazi tra gli spazi. /
Intricata l’immensa vita. / Sprangata la massiccia porta aperta /
(verso l’infinito?) / e folle –forse- / (anche senza forse) / la
rincorsa / Senza occhi / Cieca / l’anima». Ma soltanto la riflessione,
«un cercare e cercare» come scrive lei stessa, permette all’uomo di
superare l’oblio. La natura e la solitudine, sotto una magica scia
divina, permettono di raggiungere la felicità. La natura non ha
bisogno dell’uomo, ma questi ha bisogno di essa perché ricerca il
proprio Io nell’immensità della bellezza naturale. La solitudine aiuta
a pensare e, come scriveva Mann, «mette in mostra l’originale, il
bello rischioso e sorprendente, la poesia… mostra anche l’insensato,
lo sconveniente, l’assurdo». L’autrice teme il Viaggio, forse quello
della vita, e dice: «Vorrei il sorriso di un volto amico / una
prospettiva mano / per non inorridire / al rombo che fa l’abissale
vuoto / quando indietro mi volterò. / O non mi volterò?». Ma la
speranza, nella sua classica funzione divina, la rapisce e le permette
di vedere oltre la Morte. La speranza le apre un’im-magine surreale:
«La luce mortifica l’oscurità. / La decadenza si tramuta in
elevazione. / L’infinita miseria scompare nella luminosa reale
certezza / di uno spazio infinito / in cui ritrovarsi». In tutta
questa elevazione c’è spazio anche per l’amore, quel sentimento che
nella sua purezza deve essere rivolto a tutti gli esseri viventi. La
ricerca del perché della vita e della morte, elemento che traspare in
tutta l’opera, si conclude con la ricerca del Bene e della Pace, nella
ricerca di uno spazio temporale-esistenziale in cui «c’è sempre il
sentiero / che conduce alle radici… / C’è sempre un pezzetto di cielo
/ per un tuffo / nell’immenso mare dell’Assoluto».
-
Giuseppe Manitta
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