Il Convivio

Luigi Pumpo

Gianni Rescigno, poeta del nostro tempo


Scrivevano da qualche parte: «Amiamo i poeti che, parchi e appartati, distillano con cautela i propri versi (non esiste del resto una poesia alla spina): osservatene le pause fra un comporre e l’altro. Può essere già un indizio: quantomeno di serietà. A loro sentiamo di dovere più grata attenzione». Gianni Rescigno appartiene a quest’amabile specie.  Lo incontrammo per la prima volta, in una estate lontana, a Santa Maria di Castellabate. Qui viveva la sua condizione di poeta, di uomo, di insegnante. In quest’angolo del Cilento era approdato per la sua missione di insegnante e di questa terra avvertì le ansie, i problemi sociali, il fascino del mare: e della riviera cilentana mostrò un’appartenenza filiale quasi a sigillare un rapporto che, nel nostro tempo sempre più forte, si sarebbe cementato con tremori amorevoli.
Ci mostrò i suoi primi versi che celava con pudore infantile. Li leggemmo, senza alcuna distrazione. Fummo attratti dalla evidente tendenza a cogliere il tempo, delle sue problematiche, una sequenza ch'era percorso di vita. E infatti, poi, la caratteristica della poesia di Gianni Rescigno è stata quella di una continuità di un discorso dalla tendenza narrativa o più spesso meditativa: e la discorsività è stata sempre scavata nella interiorità della pagina: e l’oggetto narrabile non è stato mai diverso dal narratore e, quindi, ne sono scaturiti, negli anni, perciò versi in sorprendente equilibrio lirico/narrativo.
Tale aspetto apparve nella silloge “Credere” (1969) che segna il vero esordio di un poeta sconosciuto. Un’opera pubblicata da un editore di provincia: Gugnali di Modica. E Gianni Rescigno subito scavò un solco tutto personale nel quale riversava il suo entusiasmo: con una volitività alienata da incrinature, che testimoniava di una poesia come rifugio e consolazione, in un dialogo sospeso fra epoca re cronaca. In questa volontà di riscatto c’è tutto Rescigno. Poesia scarna, tiratissima. Poesia che rivela un suo segreto nel dipanarsi del tempo, con stagioni che si susseguono, attese di tempi nuovi, speranze di un futuro che non può mancare: «Mi ritroverai / nell’azzurro riflesso / delle concave foglie / e di capelli scenderanno / acquemarine di freschi abeti».
Scriveva Giuseppe De Mauro che «Credere è il primo slancio dell’esistenza per questo poeta. L’uomo ascolta voci che s’odono in alto, ed interroga se stesso, alla ricerca di una verità eterna, dello stesso significato e ruolo; E' un continuo tendere verso l’infinito che l’umano viene messo come un contrapposto al divino, il finito all’infinito». Spoglia di ogni termine sonoro, di ogni indulgenza alle vibrazioni esasperate, la poesia di Gianni Rescigno conquistò subito i «graffiti del vivere» con un profondo retroterra umano e sociale. Ed il suo ‘volo’ apparve ricco di un’ampia seduzione con un sogno a cui il poeta anelava: fare del suo messaggio la coscienza efficace di un'infinita ombra del vero.
Da quel lontano 1969 Gianni Rescigno ha offerto una sua continua e viva testimonianza poetica. I volumi si sono succeduti nell’arco dell’esistenza con una continuità di vita e d’amore; non sono mancate le attenzioni critiche da parte di illustri uomini di cultura. I libri: Con le dita di un vecchio (1970), Quest’elemosina (1972), Torri di silenzio (1976), I saliciI vitigni (1983), Le ore dell’uomo (1985), Tutto e niente (1987), Un passo lontano (1988), Il segno dell’uomo (1991), Angeli di luna (1994), Un altro viaggio (1995), Le strade di settembre (1997), Farfalla (2000), Io e la Signora del Tempo (in corso di stampa). I critici: Fabio Tombari, Giorgio Caproni, Maria Luisa Spaziani, Elio Filippo Accrocca, Francesco Bruno, Giorgio Barberi Squarotti, Stefano Jacomuzzi, Walter Mauro, Alberto Frattini, Giuseppe Giacalone, Francesco D’Episcopo, Ferruccio Ulivi, Alberto Mario Moriconi, Renata Giambene, Vittorio Vettori, Luciano Luisi, Maria Grazia Lenisa, Domenico Cara, Dante Maffia e tanti altri ancora.
Tutti hanno posto in risalto che la sua poesia nasce dalla riflessione, dall’equilibrio, dalla pazienza. Che è rigorosa e severa, così come il suo verso, e come è il linguaggio di cui si sostanzia, denso di pensiero e forte di intellettuale lucidità. Che la parola di Rescigno non cerca l'avventura linguistica, ma si offre, anzi, nuda, senza orpelli di sorta, subito affabile e comunicativa, alla ricerca, semmai, di una perentoria verità. Che la sua poesia è suadente e piana, scende in profondo e convince, per intensità di linguaggio e lindore di Parola; che si trasmette e coinvolge.
In una sorta di intervista-questionario Gianni Rescigno, come autoritratto schietto, aveva affermato: «Fin da ragazzo sentivo in me qualcosa che si muoveva: avevo bisogno di fuoriuscire attraverso la parola; e dedicavo ardenti lettere d’amore alle mie innamorate. La poesia nacque più tardi: quando mi allontanai da casa per motivi di lavoro (1959). Ero nato a Roccapiemonte, terra dell’agro nocerino in provincia di Salerno. Nel Cilento trovai terreno fertile e vi piantai parole. La condizione umana e sociale di quella gente mi colpì particolarmente. Troppo lavoro sulle barche e nei campi e troppa miseria. Ma la natura stupenda, intatta, diventava sempre più possessiva. Mi prese l'anima e vi restai».
Tale affermazione o tali sortilegi emergono nella produzione lirica del poeta. Fanno da sfondo a un discorso che si innerva in una terra assolata e verdeggiante, con un mare azzurro e cieli stupendi; e l’impronta della parole appare attraverso persone, paesaggi di costa o di collina, stagioni di magra o di crescita, tra le rughe del tempo e il rinnovarsi perenne delle acque e dei venti, dei passi che hanno i connotati del presente. Ecco che Rescigno si chiede: Cosa sono il sorriso e il dolore, se non il simbolo irrelato di due distinti momenti della vita, quasi gli emblemi di alterne stagioni che scandiscono il ritmo dell’esistere?
Con una poesia, poi, che si caratterizza per il garbo della pronuncia e per la gentilezza schiva e discreta, il poeta registra la realtà autobiografica in un clima di gradevole coordinazione semantica, significativa, dove l’allusione poggia su metafore. Le trame stagionali della vita, gli eventi biografici e domestici sono così legati tra loro in una sorta di palpitante trascrizione che ha la delicata favolosità di un paesaggio dell’anima, come in una segreta confessione in quell’alternarsi di impazienze, di attimi sfuggenti di gioie e di segrete altalene di cui è costellato il percorso della vita: «I pini della costa / incensano venti / diretti alle montagne».
La realtà fenomenica con la serie dei suoi diversi aspetti e con la varietà delle sue percezioni è sempre alle soglie della sua capacità intuitiva, la quale sempre effettua una fedele registrazione dei movimenti della realtà stessa che non si esaurisce in una piatta ed infeconda elegia, perché con una resa serenamente e quietamente mitica, la originaria verità esistenziale si fa carica di un clima di fantasmi e realtà, linee e figure emblematiche della soggettiva vita segreta, vengono riplasmati e trasfigurati. Allora si coglie il bel preciso rapporto tra quella che è la vicenda umana del poeta con le sue sommesse e solitarie avventure dello spirito e della verità delle cose nel loro inesausto riproporsi al di là dell'ordito dei sensi. Tale rapporto lo aveva anche colto Renzo Barsacchi allorquando scriveva che Gianni Rescigno gli era piaciuto veramente «per l’intensa serietà e spesso per l’intensa drammaticità del vissuto e reso con immagini forti e sempre adeguate al fermento che le agita». Ed in più Tommaso Pisanti rilevò pure «una evocatività di memoria e di natura che passa fino a un’accentuazione più drasticamente coinvolgente, più situazionale».
Di tutta la precisa esperienza poetica di Gianni Rescigno si è interessata Marina Caracciolo col suo ampio saggio “Gianni Rescigno: dall’Essere all’Infinito” pubblicato dalla Genesi Editrice di Torino con una bella nota introduttiva di Giorgio Barberi Squarotti. Una profonda analisi del mito, della storia e dei simboli della poesia di Gianni Rescigno. Un’analisi che colloca Gianni Rescigno nel solco di quella poesia mediterranea che tra il mare e le colline, le pianure e le valli, si permea di sapori e di colori agresti e marini, che non ignorano, però, «la pianta della sofferenza».
Ciò è giovevole come chiave di lettura del sintomo umorale dal quale Rescigno proviene. Il linguaggio cui egli è pervenuto in tutte le sue raccolte di liriche, è frutto di una ricerca studiatamente personalizzata per aguzze geometriche della parola; per fulminee alternanze dell'incanto e del disincanto della verità; per folgorazioni mitico-storiche. Immagini smaterializzate in essenze (l’amore, la verità o la vita.), migranti da forma a forma, da misura a misura, da passione a passione. E la storia come mito e il mito come storia: crepuscoli del cercare, del perdere, del trovare, del visibile dentro l'invisibile, di uno svariare di forme dentro una microforma, del suono perso nell'ultrasuono per memorie furtive, e per audaci recuperi. Tutto nel simbolo-segno dell’occhio-poesia rivelazione, appunto, fantasioso e sapiente. Marina Caracciolo nella sua disamina analitica, minuziosa e appassionata, non sposta mai le sue intuizioni verso sfere surreali, ma reperisce la bellezza del canto in ogni forma per cui la parola assume sempre valore di simbolo, nucleo essenziale e dinamico (e favoloso) delle determinatezze dove si contrappongono le ipotesi del circuito esistenziale: e la storia di una terra diventa mito e il mito si fa storia. (*****)Crepuscoli del cercare, del perdere, del trovare, del visibile dentro l'invisibile, e uno svariare di forme per una microforma, per memorie furtive, e per audaci recuperi. (*****) In questa caleidoscopica geografia della pagina Gianni Rescigno riassume in spazio essenziale infinite latitudini: e l’occhio-poesia-rivelazione diventa fantasioso e sapiente.
Ed è proprio in questa misura mitico-epifanica che gli isolati sentimenti del poeta vengono a fare parte di un contesto affettivo-umorale paradigmatico, memoria di un eden frammentato che si ricompone tessere per tessera in un quadro unitario.
Orbene, Maria Luisa Spaziani annotava ch’era stata «colpita dalla straordinaria nettezza del suo discorso poetico, la strenua economia della sua prosodia»; Angelo Mundula aggiungeva che per  Rescigno «la parola ha acquistato una limpidezza straordinaria, quasi toccata dalla grazia e dalla bellezza delle verità ultime!»; Salvatore Arcidiacono stigmatizzava di «una poesia in cui l’invenzione è fervida, il lessico equilibrato, non scevro di forza lirica». Ancora scriveva che si era in presenza di una «poesia originale, dignitosa, virile, che si distacca nettamente dai giochi combinatori, dalle futili sgombrature e che tuttavia si snoda evidenziando musica antica e nuova e ritmo mai slabbrato».
Se si ripercorre tutto il cammino artistico di Gianni Rescigno, attraverso i suoi tanti volumi di versi che hanno segnato, poi, il destino di un uomo, si nota che fatti, richiami, miti, personaggi, immagini vengono sempre rigenerati con una struttura stilizzata per approdare a un tema entro cui ritrovi il Cilento, il mare, le colline, il padre, la madre, la famiglia e tutto un mondo che il poeta lascia vivere nel profondo dell'anima sua. Così tutte le storie minime non hanno un ruolo esemplificativo, ma occupano in un piano di rappresentanza di altre storie ed emozioni la testimonianza fervida di un repertorio degli assoluti sentimenti di ogni storia, di ogni umanità, di ogni tempo. E l'individuale diventa universale col sentimento carico di tempo e di immagini poetiche convertibili in diario di vita. Le stagioni, il trascorrere degli anni, il paese natale, gli affetti più cari, il mare, i colli cilentani, i pescatori: qui si tuffa Rescigno e qui ritrova il senso lineare della vita: e la continuità tematica si congiunge con indagini a tutto campo ed il poeta, poi, definisce il ‘suo’ tempo come ritorno a stagioni lontane per magnificare, tra realtà e surreale, in una dimensione temporale, con ritmi estesi e lineari, le radici di una vita, con un canto dolente che bene esprime i segni ed i sogni di un percorso esistenziale: «Sento che l’andare è ritorno. / Alla terra che non vidi (e che avrò) si dirige il mio passo».
Nella magia che Gianni Rescigno sa creare con i suoi versi egli spicca un volo intuitivo e fantastico, per proiettarsi nei riverberi marini, nel volo di uno stormo di uccelli e svela il senso meraviglioso della vita, per quanto dolente essa possa essere stata per lui. Nella parvenza di fragilità, di lievità paragonabile a un battito di ciglia, anche noi avvertiamo il calore che egli interiormente avverte, grazie a quell’afflato umano che egli sa creare con la sua cartografia di polline, un polline che vivifica e dà speranza.
Ecco, allora, bagliori e scaglie di luce-parola che tentano di ricostruire con termini originali, nudi, anche l’essenza del linguaggio, come controcanto dell'essere.
Gianni Rescigno meritava uno studio monografico. Per la sua trentennale attività e per la sua costante presenza nel mondo della poesia contemporanea. Bene ha fatto Marina Caracciolo a studiarselo ed a esaminarlo quasi con pedanteria. Ne ha tracciato un profilo profondo, umano soprattutto. Ed anche se fior di critici ne avevano scritto in termini più che lusinghieri, nessuno ne aveva seguito il percorso lirico con razionalità, ed oggi, tutta la sua produzione, è stata oggetto di uno studio che ha evidenziato, tra le righe, la figura di Gianni Rescigno che davvero è un testimone del nostro tempo precario e turbinoso.
 

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