Il Convivio

Andytias Soaresa de Moura

La poetica di Gaetano Perlongo: tra la malinconia e l’impegno sociale
(Traduzione di Angelo Manitta)

Il silenzio è l’unica attitudine degna del poeta nel mondo lacerato in cui viviamo. Non gli compete cantare l’innocenza, che ormai sfugge, e neppure la gloria, che è appena polvere e ombra. Ne scaturisce una questione alla maniera kantiana: come è possibile la letteratura? Come è possibile la poesia? La risposta è semplice: tocca al poeta trarre dall’infinito la parola primordiale, l’istante febbrile, il sacro delirio, la comprensione totale e istantanea. Ed è ciò che Gaetano Perlongo fa nella sua opera La licantropia del poeta. Poesia criticamente travagliata, di colori diversi e vari profumi, il testo di Perlongo non è mai ovvio. Le parole si accumulano in piccoli spazi, come cannelle che osservano il passaggio del tempo. Le derivazioni del poeta appaiono in ogni canto, in ogni pagina, la danza dell’intelletto preconiz-zata da Ezra Pound risorge trasfigurata nei versi che ogni momento obbligano la parola ad andare oltre, a incontrare la verità dietro l’unisignificanza che dà loro sostanza quotidiana. La poetica di Perlongo è multipla e mutante… Forse da ciò il titolo del libro e di quella magnifica poesia, La licantropia del poeta: continua trasformazione. Desiderio di vivere. Travaglio. Dolore e allegria nella notte fuligginosa. E il seme divino che brilla nel corpo dell’uomo-lupo, dimenticato dall’umanità, ma sempre pronto a reintrodurre l’elemento magico nell’esistenza.
Sono voci impari, quelle che dialogano nella poesia di Perlongo: il ricordo dell’infanzia trasfigurata, la sensazione dell’isolamento fantastico, la solitudine, la stranezza del destino dell’uomo, il mistero senza risposta della vita, etc. Gaetano Perlongo costruisce un discorso estremamente efficace, onde ridireziona tutte le forze della sua scrittura verso la celebrazione del ricordo, che è, secondo me, la materia primordiale di questa bella silloge… ma il tema non è mai trattato in maniera banale o prevedibile, vuoi perché il poeta si è armato dei migliori mezzi: la dizione chiara e limpida; la concatenazione naturale dei versi; l’assunto etereo; l’evanescenza dolce e solitaria.
Il turbamento della contemporaneità – scoperto da Baudelaire, riorganizzato da Eliot e imposto da Pound – si esprime in alcune poesie di Perlongo. Quando la malinconia si dissocia dall’irreale, dal mondo del Dio-Lupo, la massa-pesata della vita quotidiana si impone, crudele e vuota, ricordandoci l’inno di disperazione composto da Eliot nella sua The Wast Land. Intanto il poeta non si chiude nella sua rete, ma conosce e partecipa ai drammi universali. La poesia non è sterilità. È vita. E vivere significa lottare. La protesta non contenuta di Perlongo può essere udita in poesie come L’antisociale, Il chierico errante, Badessa burocrazia e La globalizzazione, ma è necessario trascrivere di seguito il testo perché si possa verificare quanto penetrante sia il percorso del poeta: «La nave Capitale / carica di globalizzazione / salpa dal porto dell’apatia / e l’equipaggio morsicato nell’identità / saluta i sarcofagi di palazzo… / L’oblò / velato da una guaina di nostalgia / scorge il delirante barlume / del proletariato sottomesso / e dalla prima classe / le signore incipriate d’ipocrisia / calcano le scene / delle troie di regime... / ...la globalizzazione va / ammainando la vela della vita / in un sottofondo crepuscolare». 
 

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