Il Convivio

Bruna Tamburrini

Gaspara Stampa e le sue pene d’amore


Arsi, piansi, cantai; piango, ardo e canto;
piangerò, arderò, canterò sempre
(fin che Morte o Fortuna o Tempo stempre
a l’ingegno, occhi e cor, stil, foco e pianto)
                la bellezza, il valor e ‘l senno a canto
che  ‘n vaghe, sagge ed onorate tempre
Amor, natura e studio par che tempre
nel volto, petto e cor del lume santo;
che quando viene, e quando parte il sole,
la notte e ‘l giorno ognor, la state e ‘l verno,
tenebre e luce darmi e torme suole,
tanto con l’occhio fuor, con l’occhio interno,
agli atti suoi, ai modi, alle parole,
splendor, dolcezza e grazia ivi discerno.
 
In questo sonetto appare subito significativa e chiara la figura di Gaspara Stampa, una delle figure più emblematiche della fine del Cinquecento. Il suo ardore e la carica sentimentale hanno messo al centro dell’attenzione la sua immagine di donna innamorata in un’epoca in cui la donna doveva rientrare in determinati schemi definiti ed accettati dalla società.  A distanza di anni, in particolare nel Novecento, la figura poetica, e soprattutto femminile, di Gaspara Stampa è stata rivalutata, tanto da diventare un significativo esempio di immagine femminista.
Nasce a Padova nel 1523 da una famiglia nobile e colta, si trasferisce poi, nel 1531 (alla morte del padre) a Venezia con la madre ed il fratello Baldassarre e la sorella Cassandra. Nonostante la prematura morte del fratello, la casa di Gaspara diviene centro di vita mondana e lei partecipa all’Accademia dei Dubbiosi con il nome di Anassilla. Le sue opere, in particolare le “Rime” rispecchia-no, o meglio evidenziano in modo prorompente, il suo amore per Collaltino di Collalto, un amore da parte sua sincero e passionale, ma non propriamente ricambiato. La sua profonda passione dura tre anni, ma poi, sopraffatta dalla sorte avversa ed anche dalla lontananza dell’amato, Gaspara si lega a Bartolomeo Zen, pur essendo ancora innamorata di Collaltino.
Il “Canzoniere” raccoglie 311 composizioni con sonetti, madrigali, canzoni, sestine ed è dedicato a Giovanni della Casa. Si nota un’autentica spontaneità e vi si intrecciano i temi della gelosia, della gioia e dell’amore. I turba-menti dell’animo sono evidenziati come in un diario d’amo-re e con una struttura formale petrarchesca. L’ispirazione è sincera, anche se a volte questo suo sentimento è talmente prorompente che sembra ostacolare l’equilibrio formale. In un certo senso sono anticipati i temi del Romanticismo e sono messe a nudo le ansie e i turbamenti dell’amore.
Le “Rime”, dopo una prima pubblicazione, vengo-no quasi dimenticate per essere poi riscoperte nel Settecen-to, ma soprattutto nell’età romantica e, ancor di più, nei primi del Novecento quando verrà compresa anche la figura di Gaspara come quella di una donna innamorata. Negli ultimi anni sono stati fatti diversi studi su di lei, non solo per rivalutare la poetessa, ma anche per comprendere il motivo del non completo successo  letterario riscontrato ai suoi tempi. Marina Zancan spiega questo insuccesso con il fatto che in quel periodo Gaspara non rientra nelle due categorie di donna: “la donna onesta” e “la donna meretrice”.
Negli anni 40-60, infatti, a Venezia, si evidenzia un altro profilo di donna: la cortesana: «una donna sola come la meretrice, colta come la veneziana, onesta, una figura interna allo spazio della città, ma esterna alle definizioni formali della Repubblica che, mentre la onora e ne gode, ne rinserra i tratti  entro il tempo breve del vivere quotidiano». Gaspara Stampa, donna sola e colta, non veneziana, né ari-stocratica, è una cortesana che riesce, nonostante tutto, a far sentire la sua voce come letterata in un ambiente non sempre disponibile, determinando così il proprio destino, rifiutando in un certo senso l’esperienza retorica dei contemporanei e proponendo un’espressione sentimentale autobiografica con l’uso di un linguaggio a volte parlato. Per questi motivi vincerà col tempo la sua scommessa con la storia.
Muore a Venezia nel 1554, ma rimarrà sempre un esempio femminile molto significativo e di lei, noi del Duemila, ricorderemo sempre la forza d’amore che ha saputo trasmettere attraverso le sue rime:
 
Voi , ch’ascoltate in queste meste rime,
in questi  mesti, in questi oscuri accenti
il suon degli amorosi miei lamenti
e delle pene mie tra l’altre prime,
ove fia chi valor apprezzi e stime,
gloria, non che perdon, de’ miei lamenti
spero trovar fra le ben nate genti,
poi che la loro cagione è sì sublime.
E spero ancor che debba dir alcuna:
- Felicissima lei, da che sostenne
per si chiara cagion danno sì chiaro!
Deh, perché tant’amor, tanta fortuna
per sì nobil signor a me non venne,
ch’anch’io n’andrei con tanta donna a paro?
 

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