Sito dell'Anfim, Associazione nazionale famiglie italiane martiri caduti per la libertà della patria

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REPRESSIONE COLLETTIVA

La qualificazione data all'attentato di Via Rasella e la definizione formulata circa il rapporto sussistente fra il movimento partigiano, cui appartenevano gli attentatori, e lo Stato italiano escluderebbe l'esame dell'altra tesi difensiva, secondo la quale, se non si considera l'esecuzione delle Cave Ardeatine come legittima rappresaglia, la si deve valutare come legittima repressione collettiva. Ma, dovendosi il giudice riportare alla situazione creatasi subito dopo l'attentato, in cui gli elementi idonei per accertare la posizione degli attentatori potevano essere dubbi, e considerandosi d'altra parte il fatto che, a giudicare dall'assunto difensivo del Kappler, la rappresaglia sarebbe stata adottata con alcuni criteri propri della repressione collettiva, il Collegio esamina l'esecuzione del 23 marzo anche in relazione a quest'istituto giuridico. Né ad escludere questo esame basta il fatto che gli imputati abbiano sempre designata la fucilazione delle Cave Ardeatine come una rappresaglia, in quanto è noto che nella pratica è invalsa l'abitudine di qualificare rappresaglie le repressioni collettive sebbene fra i due istituti sussista una netta differenza. Dell'istituto della repressione collettiva si occupa l'art. 50 della Convenzio­ne dell'Aia del 1907, contenuto nella sezione III intitolata «De l'autorité militaire sur le territoir de l'Etat enemi». In detto articolo è detto: «Aucune peine collective, pècuniaire ou autre, ne purra etre èdictèe contre les popolations a raison de faits individuels dont elles ne purraient ètre considérèes comme solidairement responsables». L'istituto ha una portata molto estesa in quanto con l'espressione «solidai­rement responsables» si pone un concetto di complicità che non presenta alcuna relazione con l'analogo principio penalistico. Quella forma di responsabi­lità, difatti, opera quando non sia dato applicare la complicità penalistica in quanto non è stato possibile scoprire gli autori del fatto delittuoso. Trattasi di una norma eccezionale, la quale opera nel territorio di occupazione quando non si sia giunti a risultati positivi con i normali procedimenti. In sostanza, la responsabilità collettiva può sorgere quando si sia dimostrata impossibile l'individuazione del colpevole o dei colpevoli. Questo concetto si ricava facilmente quando si tenga presente che la facoltà prevista dal citato art.50 è eccezionale nei confronti dei poteri normali riconosciuti all'occupante con gli articoli 43 e seguenti. L'articolo 50 non opera di per se stesso, ma in quanto l'occupante lo abbia tradotto in una norma di diritto interno, valevole nel territorio di occupazione, con la quale sono posti i criteri per la determinazione della solidarietà collettiva.

Solidarietà colletiva

Numerosi sono gli esempi di ordinanze, emanate nei territorio occupati da parte dell'autorità militare occupante, nelle quali vengono stabiliti i criteri di determinazione della solidarietà collettiva (esercizio di una funzione di preven­zione o di vigilanza dimora adiacente al luogo dell'attentato ecc.). L'emanazione di una norma di diritto interno, sulla base di quell'articolo, è il necessario, presupposto per il sorgere di una responsabilità collettiva della popolazione nel senso specificato. A prescindere dal fatto che non sembra che le repressioni collettive, in questione possano attuarsi su persone, va osservato come gli elementi emersi dal dibattimento abbiano messo in chiaro rilievo che lo stato occupante non si è attenuto ad alcuni degli accennati princìpi. Nessun tentativo, difatti, è stato effettuato onde scoprire gli autori dell'attentato. Il Kappler ha dichiarato che le bombe inesplose ed alcuni residui della bomba esplosa, dopo l'attentato, furono sottratti da ignoti insieme con la macchina sulla quale erano stati posti. Questa circostanza affermata dall'imputato non appare verosimile al Collegio. Invero, la sottrazione di una macchina, subito dopo l'attentato, effettuata in Via Quattro Fontane, dove erano affluiti numerosi militari tedeschi, sembra impresa quanto mai difficile, la cui utilità, inoltre, è di gran lunga inferiore al rischio. D'altra parte, va posto in rilievo che nessuno dei partigiani che prese parte all'attentato di Via Rasella accennò a tale sottrazione, che avrebbe costituito un'impresa di particolare coraggio. Comunque, anche se vera la circostanza suddetta, avrebbero potuto seguirsi ugualmente le tracce inerenti a tali bombe, che erano state osservate dal Kappler e che, circa un'ora dopo l'attentato, avevano permesso a questi di affermare alla presenza del gen. Maeltzer e di altri ufficiali tedeschi, che l'attentato era stato effettuato da partigiani italiani, i quali erano soliti servirsi di quelle bombe alquanto rudimentali. Solo la sera tardi, dopo che era stato stabilito di effettuare una rappresaglia, erano stati decisi i criteri per la formazione delle liste dei fucilandi e l'attività del comando di polizia della Città di Roma era a buon punto nella compilazione di tali liste, il Kappler dispose perché tutti gli informatori di Roma venissero incaricati di cercare elementi relativi agli attentatori. Prima di quel momento non vi era stata alcuna attività di polizia in merito se il cap. Schutz, che a dire del Kappler avrebbe dovuto interessarsi delle indagini poiché ciò rientrava nella specifica competenza della sezione da lui presieduta, l'aveva seguito al Comando del gen. Maeltzer prima ed alla Questura di Roma dopo. La ricerca degli attentatori non costituì l'attività prima del comando di polizia tedesca, ma fu effettuata in maniera blanda come azione marginale e successiva alla preparazione degli atti di rappresaglia. Nella specie, quindi, è mancata una delle condizioni che giustificano la repressione collettiva. Va poi messo in rilievo che le persone fucilate non potevano, nella maggioranza, considerarsi come solidamente responsabili con gli attentatori. Sebbene la solidarietà collettiva costituisca, come si è detto, un concetto molto più largo di quello della complicità del diritto penale, è certo che, onde essa possa entrare in funzione, è necessario che passi una stretta relazione di ubicazione, di servizio o di ufficio fra gli autori di un attentato e la popolazione civile. Il che non può dirsi per moltissimi dei fucilati alle Cave Ardeatine, detenuti per reati comuni o per ragioni razziali D'altra parte la solidarietà collettiva non può essere presunta, ma deve essere accertata caso per caso. Anche gli scrittori, i quali attribuiscono alla solidarietà collettiva l'estensione più larga, affermano la necessità di un sommario giudizio sia pure in via amministrativa. Per il Balladori Pallieri (La guerra, cit. p. 343), il quale è fra questi scrittori, «le collettività andranno esenti da sanzioni solo quando potranno provare di non avere nessuna responsabilità, nemmeno passiva». Procedimento questo che non fu seguito nella esecuzione delle Cave Ardeatine, in cui le vittime seppero la fine che le attendeva sul luogo dell'esecuzione e pochi minuti prima di essere uccise. Né può dirsi che tale procedimento sommario sia stato adottato nella compilazione delle liste, in cui si seguì, come affermò Kappler, il criterio della pena inflitta dall'autorità giudiziaria o il criterio della pena che importava il reato inerente al fatto per cui la persona era stata denunziata ovvero il criterio razziale. Infine, va osservato che dal dibattimento non è risultato che lo Stato occupante abbia emanato, sulla base dell'art. 50, una norma contenente i criteri circa la solidarietà collettiva, i quali sarebbero stati applicati nel territorio di occupazione; norma che, come si è detto costituisce il necessario presupposto per il sorgere di una responsabilità collettiva della popolazione civile, l'ordinanza relativa alla uccisione di dieci italiani per ogni militare tedesco morto a seguito di attentati, la quale sembra sia stata pubblicata dal comando tedesco, non può assumersi come una norma del genere, in quanto in essa si prescinde da un qualsiasi criterio di solidarietà e si pone a principio di responsabilità solo lo status della cittadinanza. Ciò non è rispondente alla norma di diritto internazio­nale la quale, comunque s'interpreti, è certo che pone un concetto di solidarietà che va desunto, come si è detto, da concreti elementi (ubicazione, ufficio, associazione, funzione ecc.) che stabiliscono una stretta relazione fra talune persone e gli autori del fatto illecito contrario allo Stato occupante.