Sito dell'Anfim, Associazione nazionale famiglie italiane martiri caduti per la libertà della patria

A.N.F.I.M. via Montecatini 8, 00186 Roma
tel: 0039 6 6783114

 

Associazione: Storia dell'Anfim; Le attività; Le sedi.
Le fosse ardeatine: Roma città aperta; Via Rasella; L'eccidio; il Mausoleo.
I processi: Definizioni; Kappler; Priebke.
Geografia del dolore: Database; Approfondimenti.
Archivio multimediale.

E-mail
Credits

L’ATTENTATO DI VIA RASELLA

Le organizzazioni liberaliste

Subito dopo l'8 settembre 1943, nell'Italia occupata, sorgevano, in seno a gruppi e partiti politici o per iniziativa di civili e di militari, delle organizzazioni clandestine a carattere militare, che in proseguo di tempo dovevano svolgere un'azione di particolare importanza, specialmente nella liberazione dell'Italia settentrionale. Le più importanti di esse avevano un comune e superiore organo di coordinamento, la Giunta Militare, che era formata dai capi di sei di quelle organizzazioni (quelle che erano emanazioni dei sei partiti che avevano una più estesa organizzazione ed un più accentuato grado di penetrazione nella popolazione) e costituiva un organo del Comitato di Liberazione Nazionale; altre davano vita a diversi organi di coordinamento, sempre allo scopo di attuare in maniera unitaria e secondo alcune direttive generali una fattiva azione contro i nazi-fascisti. L'azione di queste organizzazioni, che si manifestava con atti di sabotaggio ed attacchi di colonne militari tedesche, era continua fuori dei centri abitati onde rendere difficile ai tedeschi l'opera di assestamento. Anche nella città di Roma si effettuavano, talvolta, azioni di sabotaggio ed attentati contro autocolonne o comandi militari, allo scopo, chiaramente manife­sto a mezzo di volantini, di richiamare il nemico all'osservanza della posizione di città aperta della capitale d'Italia. Difatti, malgrado questa posizione interna­zionalmente riconosciuta, i principali comandi militari tedeschi si trovavano nell'interno della città aperta ed in questa erano frequenti i passaggi di truppe e materiale bellico. Solo dopo vari atti di sabotaggio ed attentati (uno di questi contro l'albergo Flora dove si trovavano dei comandi militari) gli ufficiali militari venivano trasferiti fuori della città aperta. Continuava però il passaggio di truppe e di materiale destinato alle truppe operanti.

L’attentato

Il 23 marzo 1944 alle ore 15 circa, nell'interno della città aperta, in Via Rasella all'altezza del palazzo Tittoni, mentre passava una compagnia di polizia tedesca del Battaglione «Bolzen», che da quindici giorni era solita percorrere quella strada, scoppiava una bomba che uccideva ventisei militari di quella compagnia ed altri feriva più o meno gravemente. Subito dopo lo scoppio della bomba alcuni giovani, che sostavano all'angolo di Via Boccaccio, lanciavano delle bombe a mano contro il resto della compagnia e, quindi, si ritiravano verso Via dei Giardini, allontanandosi immediatamente dalla zona. Elementi della compagnia tedesca sparavano in direzione delle finestre sovrastanti e dai tetti, un po' all'impazzata, poiché in un primo momento credevano che l'attentato fosse stato effettuato con lancio di bombe a mano da una delle case. Sul luogo rimanevano uccisi, oltre ai militari tedeschi, due civili, dei quali per uno (un bambino) si è accertato, dato il particolare laceramento del corpo, che la morte avvenne a seguito dello scoppio della bomba, per l'altro, in mancanza di un accertamento medico legale del tempo e di precise dichiarazio­ni testimoniali sulla natura delle lesioni, è rimasto incerto se la morte abbia avuto luogo a seguito della bomba o della sparatoria successiva. Immediatamente giungevano sul posto il gen. Maeltzer, comandante della città di Roma, il col. Dolmann ed alcuni funzionari di polizia italiani. Successiva­mente arrivava il Console tedesco a Roma signor Moellhausen con alcuni gerarchi del partito fascista repubblicano, i quali avevano sentito la detonazione dal vicino Ministero delle Corporazioni, dove avevano partecipato ad una cerimonia celebrativa della fondazione dei fasci di combattimento.

Le prime reazioni

Il gen. Maeltzer alla vista dei militari tedeschi morti e feriti era preso da una forte eccitazione. «Sul posto il comandante della Piazza - dichiarava il teste Moellhausen (vol. VII f. 4) - andava e veniva, grida, gesticolava ed anche piangeva, non si poteva trattenere. Secondo lui si sarebbero dovuti fucilare sul posto individui arrestati nelle vicinanze e far saltare, con i suoi abitanti, il blocco di immobili davanti al quale aveva avuto luogo l'attentato». Intanto ufficiali e sottufficiali del comando di polizia tedesca di Roma, subito accorsi sul luogo, eseguivano un'accurata perquisizione nelle case di Via Rasella e facevano scendere sulla strada tutti gli abitanti, che erano condotti in Via Quattro Fontane ed erano allineati lungo la cacellata del Palazzo Barberini. Alle ore 15.30 circa il ten. col. Kappler giungeva al comando di polizia tedesca in Via Tasso. Informato di quanto era accaduto si avviava subito verso Via Rasella. Lungo la strada, in Via Quattro Fontane, egli era fermato dal Console Moellhausen, che ritornava da Via Rasella dove aveva avuto un forte diverbio con il Generale Maeltzer nel tentativo di fare procrastinare le intenzioni di vendetta che questi manifestava sotto l'impulso di una forte eccitazione, ed era pregato da quel diplomatico di agire sull'animo del comandante della città quanto mai furibondo e capace di commettere una pazzia (dichiarazioni Moelhasen e Kappler). Il Kappler, giunto in via Rasella, s'incontrava con il gen. Maeltzer ancora r molto eccitato, al quale, dopo un fugace scambio di impressioni, rivolgeva preghiera di essere incaricato di quanto riguardava l'attentato. Avuta risposta affermativa, egli prendeva subito contatto con i suoi dipendenti diretti, fra i quali il cap. Schutz ed il cap. Domizilaff che già si trovava sul posto.

Le indagini

Nelle prime indagini venivano raccolte quattro bombe a mano del peso di quattro chilogrammi, colorate di rosso e grigio e munite di miccia. Dette bombe, che risultavano essere di fabbricazione italiana, venivano avvolte dal Kappler in un fazzoletto e fatte portare su una macchina della polizia tedesca, che, a dire del Kappler, poco dopo sarebbe stata sottratta da ignoti. intante il Kappler, seguendo le istruzioni del gen. Maeltzer, disponeva che i fermati nelle case di Via Rasella fossero condotti in una vicina caserma polizia italiana e di essi fosse fatto un elenco onde accertare quanti risultavano già segnalati negli uffici di polizia. Alle ore 17 circa, accompagnato dal cap. Schutz che aveva già interrogato i superstiti della compagnia, egli si recava al comando della città di Roma. Ivi, alla presenza del gen. Maeltzer e di altri ufficiali del detto comando, esprimeva l'opinione che l'attentato fosse stato effettuato da italiani appartenenti a partiti antifascisti. Circa le modalità di esecuzione dell'attentato egli affermava che «esso fosse stato compiuto mediante lancio di un ordigno principale da una certa altezza e di bombe probabilmente lanciate da diverse persone dai tetti di diverse case» (f. 5, vol. VII).

La scelta della pena

Altro argomento di conversazione era dato dalle misure di rappresaglia da adottare in relazione all'attentato. Mentre si svolgeva la discussione il Gen. Maeltzer parlava spesso al telefono. In una di queste telefonate egli usava con frequenza le parole misure di rappresaglia. Ad un certo momento il generale tedesco faceva cenno al Kappler di avvicinarsi, e quindi, passategli il ricevitore ed informatelo che all'apparecchio c'era il Gen. Mackensen, lo invitava a parlare con quel generale. Il Gen. Mackensen, dopo aver chiesto alcuni particolari in merito all'attenta­to, entrava subito in argomento circa le misure di rappresaglia intorno alle quali, a giudicare dal suo modo di parlare, egli aveva già discusso con il Gen. Maeltzer (dich. Kappler, f. 6 retro vol. VII). Alla domanda di quel generale, intesa a conoscere su quali persone potevano essere eseguite le misure di rappresaglia, il Kappler rispondeva che, secondo accordi con il Gen. Harster, la scelta avrebbe dovuto cadere su persone condannate a morte o all'ergastolo e su persone arrestate per reati per i quali era prevista la pena di morte e la cui responsabilità fosse stata accertata in base alle indagini di polizia. Il Gen. Mackensen, quindi, rispondeva di essere disposto a dare l'ordine, ove fosse stata data a lui la facoltà, di fucilare dieci persone, scelte fra le categorie indicate, per ogni militare tedesco morto. Aggiungeva che si sarebbe acconten­tato che venisse fucilato solo il numero di persone disponibili fra le categorie suddette. Una conseguenza logica di questo accordo, secondo l'imputato (f. 7 vol. VII) era che non si sarebbe fatta parola né con il Gen. Maeltzer né con le autorità superiori e che si sarebbe cercato di far conoscere l'accaduto ai rispettivi superiori al più tardi possibile. Dopo questa conversazione il Kappler si congedava dal Gen. Maeltzer, sen­za comunicargli i precisi termini della conversazione ma con l'intesa di prepara­re un elenco di persone sulle quali doveva effettuare la rappresaglia, e si porta­va alla Questura di Roma onde controllare gli schedari in merito alle persone fer­mate in Via Rasella. Comunicato lo scopo della visita al Questore Caruso, la­sciava alcuni suoi dipendenti negli uffici della Questura per il controllo degli sche­dari e si allontanava. Giunto in ufficio il Kappler dava disposizioni perché fossero accelerate le indagini circa l'attentato con l'aiuto di tutti i collaboratori italiani. Poco dopo veniva chiamato al telefono dal Magg. Boblem, addetto al comando della città di Roma. Questo ufficiale lo informava che poco prima al suo comando era giunto un ordine in base al quale entro le ventiquattro ore doveva essere fucilato un numero di italiani decuplo di quello dei soldati tedeschi morti. A richiesta del Kappler, il Magg. Boblem precisava che l'ordine proveniva dal comando del Maresciallo Kesselring. Poiché il contenuto di quest'ordine si mostrava in contrasto con quanto convenuto nel suo colloquio con il Gen. Mackensen, il Ten. Col. Kappler chiedeva la comunicazione con il comando del Maresciallo Kesselring. Dopo circa dieci minuti egli parlava con l'ufficio I a T., che si occupava delle questioni territoriali. L'ufficiale addetto a questo ufficio, alla domanda intesa a conoscere se l'ordine ricevuto in precedenza proveniva dal comando superiore sud-ovest, rispondeva: «No, viene da molto più in alto». Alle ore 21 il Kappler aveva una conversazione telefonica con il Generale Harster, capo del BSS con sede in Verona, al quale riferiva in merito all'attentato ed al suo sviluppo. Gli comunicava pure che, in base ai dati poco prima fornitigli dalle sezioni dipendenti, egli disponeva di circa duecentonovanta persone, delle quali però un numero notevole non rientrava nella categoria dei todeswurdige. Circa cinquantasette, infatti, erano ebrei detenuti solo in base all'ordine generale di rastrellamento ed in attesa di essere avviati ad un campo di concentramento. Aggiungeva che delle persone arrestate in Via Rasella, secondo informazioni dategli poco prima dai suoi dipendenti, solo pochissime risultavano pregiudicate ovvero erano state trovate in possesso di cose (una bandiera rossa, manifestini di propaganda ecc.) che davano possibilità di una denunzia all'autorità giudiziaria militare tedesca. A conclusione della conversa­zione rimaneva d'accordo col suo superiore d'includere degli ebrei fino a raggiungere il numero necessario per la rappresaglia. Dopo tali telefonate egli dava disposizioni perché il mattino successivo, i fermati di Via Rasella fossero liberati ad eccezione di quei pochi che, per motivi vari, risultavano pregiudicati. Nella stessa serata egli chiedeva al Presidente del Feldgericht Rome di autorizzarlo ad includere nell'elenco le persone condannate dal Tribunale Militare alla pena di morte, le persone condannate a pene detentive anziché alla pena di morte per concessione di circostanze attenuanti inerenti alla persona ed, infine, le persone denunziate ma non ancora processate. Quel Presidente autorizzava l'inclusione delle persone della prima e della terza categoria, ma, in ordine alle persone della seconda categoria, non intendendo assumersi la responsabilità, rappresentava l'opportunità di chiedere l'autorizzazione del Chefrichter dell' O.B.S.W. - Questa autorizzazione richiesta giungeva poche ore dopo. Nella notte l'imputato, con l'aiuto dei suoi collaboratori, esaminava i fascicoli delle persone considerate todeswurdige sulla base dei precedenti accordi. Intanto si aveva notizia che altri soldati tedeschi, fra quelli gravemente feriti, erano deceduti. Alle otto del mattino successivo il numero complessivo dei morti ammontava a 32.