Sito dell'Anfim, Associazione nazionale famiglie italiane martiri caduti per la libertà della patria
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IL PROCESSO KAPPLER
Inquadrata la fucilazione
delle Cave Ardeatine nella figura del reato previsto dall'articolo n°185
codice penale militare di guerra, rimane da esaminare quale sia stata soggettivamente
la posizione degli attuali imputati in quella esecuzione.
La difesa del Kappler ha sostenuto che, quand'anche si ritenesse l'illegittimità
della rappresaglia o della repressione collettiva, dovrebbe assolversi quell'imputato
per avere egli agito in adempimento di un dovere imposto da una norma giurìdica
o, quanto meno da un ordine non sindacabile del superiore. In sostanza, l'assunto
difensivo è il seguente: posto che l'ordine della fucilazione è
stato emanato dal Fuehrer, quest'ordine, per la competenza legislativa, oltre
che esecutiva, di cui quell'organo era investito nell'ordinamento costituzionale
tedesco e per la preminenza, di esso sugli altri organi costituzionali, costituiva
una vera e propria norma giuridica o, comunque, un ordine insindacabile.
In merito va precisato che il Kappler non fu chiamato ad eseguire un ordine
di Hitler, ma un ordine di Maeltzer, che aveva a sua base un ordine di quel
Capo di Stato e di cui egli era a conoscenza. In sostanza, come si è
osservato, dal momento che il generale Maeltzer ordinò al Kappler di
fucilare le trecentoventi persone delle quali si era discusso e ciò sulla
base di un ordine di Hitler che disponeva una rappresaglia effettuata nei confronti
di dieci cittadini dei territori occupati, a fronte di ogni soldato tedesco
ucciso o comunque colpito, non può affermarsi che l'ordine di quel generale
relativo alla fucilazione di un determinato numero di persone avesse lo stesso
contenuto dell'ordine del Fuehrer.
Tuttavia, stante che l'ordine del Maeltzer prendeva le mosse da un ordine di
Hitler e di ciò era a conoscenza l'imputato, la tesi difensiva merita
di essere esaminata.
Per le considerazioni già svolte, il Collegio ritiene che il problema
prospettato dalla difesa vada posto relativamente alla fucilazone di trecentoventi
persone, non alla fucilazone delle altre persone, la cui causale è scissa
dall'ordine in esame.
In merito alla tesi difensiva, il Collegio osserva come non sia esatto qualificare
come norma giuridica un ordine proveniente da un determinato organo solo perché
questo abbia anche competenza legislativa. Non è la competenza di un
organo difatti, che determina la natura di un imperativo, ma il contenuto di
questo. Pertanto quando l'imperativo si rivolge ad un caso particolare, come
nel fatto in esame, qualunque sia la competenza dell'organo che l'ha posto,
va escluso possa trattarsi di precetto legislativo, la cui caratteristica principale
è l'astrattezza.
La tesi sull'ordine del Fuehrer
Infondata è pure
l'altra tesi relativa alla insindacabilità dell'ordine del Fuehrer. Invero,
pur non potendosi disconoscere la grande forza morale che l'ordine del Fuehrer
aveva nell'organizzazione militare ed in modo speciale in quelle organizzazioni,
come per esempio quella delle S.S., che erano maggiormente legate a quell'organo,
va esclusa sotto il profilo una insindacabilità di quell'ordine. Anche
la legislazione penale militare tedesca, difatti, alla stessa stregua dei moderni
ordinamenti giurìdici, pone il principio per il quale l'inferiore che
abbia commesso un fatto delittuoso per ordine del superiore risponde di quel
fatto, tranne che abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo. Principio
questo sostanzialmente uguale a quello dell'articolo n°40 del codice penale
militare di pace, in base al quale va esaminato l'aspetto della colpevolezza.
Quest'esame va fatto riportandosi ai princìpi che disciplinavano l'organizzazione
delle S.S., della quale il Kappler faceva parte. A quest'uopo bisogna tenere
presente che in quell'organizzazione vigeva una disciplina rigidissima e veniva
osservata una prassi che aggravava maggiormente i princìpi di quella
disciplina. Dal dibattimento è risultato che le denunzie ai Tribunali
Militari delle S.S., per reati commessi dagli appartenenti a quest'organizzazione,
non venivano trasmesse direttamente, ma tramite il capo di quell'organizzazione,
Heinrich Himmler, il quale spesso in calce alle denunzie, spesso in quelle più
gravi, esprimeva delle direttive, cui i giudici rigorosamente si attenevano.
Questi elementi, i quali dimostrano il livello di degradazione cui avesse portato
un sistema politico di accentuato statalismo, devono essere tenuti presenti
in un'indagine sul dolo, qualunque sia stata l'attività delle S.S. in
tempo di pace ed in tempo di guerra, dato che la relativa organizzazione faceva
parte dell'ordinamento amministrativo tedesco.
Ciò premesso, il Collegio ritiene che l'ordine di uccidere dieci italiani
per ogni tedesco morto nell'attentato di Via Rasella, concretatesi, attraverso
il generale Maeltzer, nell'ordine di uccidere trecentoventi persone in relazione
a trentadue morti, pur essendo illegittimo in quanto quelle fucilazioni costituivano
per le considerazioni esposte, degli omicidi, non può affermarsi con
sicura coscienza che tale sia apparso al Kappler.
Il modo dell'esecuzione, crudele verso le vittime, se queste stando ad attendere
sul piazzale all'imboccatura della cava sentivano, frammiste con le detonazioni,
le angosciose grida delle vittime che le avevano precedute e di esse quindi,
nell'interno della cava, scorgevano al chiarore delle fiaccole i cadaveri sparsi
o ammucchiati, costituisce un elemento obiettivo di prova circa la coscienza
dell'illegittimità dell'ordine. Ma non è da escludere che queste
modalità siano collegate, più che ad una volontà cosciente
circa l'illegittimità dell'ordine, ad uno stato d'animo di solidarietà
verso i tedeschi morti anch'essi a causa della polizia, sfociato, per odio contro
gli italiani concittadini degli attentatori, in una crudeltà nell'esecuzione.
Questa deduzione, l'abito mentale portato all'obbedienza pronta che l'imputato
si era formato prestando servizio in un'organizzazione dalla disciplina rigidissima,
il fatto che ordini aventi lo stesso contenuto in precedenza erano stati eseguiti
nelle varie zone d'operazioni, la circostanza che un ordine del Capo dello Stato
e Comandante Supremo delle forze armate, per la grande forza morale ad esso
attinente, non può non diminuire, specie in un militare, quella libertà
di giudizio necessaria per un esatto sindacato, sono elementi i quali fanno
ritenere al Collegio non possa affermarsi con sicurezza che il Kappler abbia
avuto coscienza e volontà di obbedire ad un ordine illegittimo.
La fucilazione dei dieci ebrei
Diversa, invece, è
la posizione dell'imputato per la fucilazione di dieci ebrei da lui disposta,
come si è visto, per avere appreso che era morto un altro soldato tedesco
e senza che in merito avesse avuto alcun ordine. Per questa azione la sua responsabilità
è piena sia dal lato oggettivo sia da quello soggettivo.
Sotto il profilo oggettivo va escluso che si tratti di rappresaglia, in quanto,
a prescindere da altre considerazioni, il soggetto che dispose la fucilazione
delle dieci persone non aveva competenza ad ordinare rappresaglie. Queste, difatti,
secondo l'ordinamento tedesco, alla stessa stregua di altri ordinamenti, possono
essere disposte da comandanti di grande unità.
In tanto si può parlare se per un'azione sussista o meno una causa giustificatrice
dell'antigiuridicità in quanto il soggetto che commise tale azione sia
lo stesso facultato dalla legge a comportarsi, in particolari situazioni ed
entro determinati limiti, nella maniera attinente a tale causa.
Per la stessa ragione va negato che la fucilazione delle dieci persone costituisca
una rappresaglia fuori dei casi consentiti, punita a norma dell'articolo n°176
codice penale militare di guerra. Perché questa norma entri in funzione,
difatti, fra l'altro, è necessario che il comandante, il quale abbia
ordinato la rappresaglia fuori dei casi consentiti, sia competente a disporre
un atto del genere.
Va pure escluso che l'esecuzione in questione rientri nella repressione collettiva,
in quanto, come si è detto parlando dell'esecuzione in generale a proposito
di questo istituto, non si è verificata alcuna delle condizioni del procedimento
della repressione collettiva.
Come si è detto nell'inquadrare giuridicamente la fucilazione in genere
delle Cave Ardeatine, questa esecuzione rientra nell'ipotesi delittuosa prevista
dall'articolo 185 codice penale militare di guerra la cui concreta applicazione
è stata oggetto di esame da parte del Collegio.
Trattasi, difatti, anche in questa ipotesi di omicidi commessi in relazione
all'attentato di Via Rasella, cioè per una causa non estranea alla guerra,
senza necessità, come si è dimostrato nel discutere della fucilazione
in genere, e senza giustificato motivo dal momento che va negata, come si è
detto, la sussistenza delle cause giustificatrici inerenti alla rappresaglia
ed alla repressione collettiva.
L'imputato ordinò la fucilazione dei dieci ebrei in questione, come si
è detto nella esposizione del fatto, sapendo di fare cosa che non rientrava
nell'ordine ricevuto. Egli agì in maniera arbitraria sperando che le
più alte gerarchle, attraverso quest'azione, avrebbero visto in lui l'uomo
di pronta iniziativa, capace di colpire e di reprimere col massimo rigore. Non
era questa la prima volta che Kappler agiva arbitrariamente ed illegalmente
nell'intento di porre in rilievo la sua personalità come quella di chi,
superiore ad ogni pregiudizio di carattere giuridico o morale, adotta pronte,
energiche e spregiudicate misure. Anche per l'oro degli ebrei, come si è
visto, egli agì con la stessa spregiudicatezza ed illegalità.
Una questione di ambizione umana
La causale dell'uno e
dell'altro delitto è nella sfrenata ed aberrante ambizione dell'uomo.
Egli è nazista tipico: il suo interrogatorio ed il suo comportamento
mettono in rilievo un uomo permeato di quei princìpi nazisti, che nella
guerra, dovevano necessariamente sfociare nella non considerazione della personalità
dei nemici e nella spietata subordinazione di tutti gli interessi a quelli della
Germania e delle forze armate tedesche. Su questo piano non c'è norma
giuridica che possa frenare: il diritto esiste nei rapporti interni tedeschi;
per le popolazioni nemiche c'è la legge della forza. È questo
piano sul quale si muovono i nazisti in guerra. Il Kappler poi, che è
intransigente, ambizioso e permeato fino all'esasperazione di nazismo, opera
con grande libertà d'azione perché vuole essere un operatore di
primo piano, non un semplice esecutore di ordini, e rompe gli inciampi che vecchi
uomini della Wermacht, educati in base a princìpi meno spregiudicati,
potrebbero eventualmente frapporre.
Nella ricostruzione di un fatto delittuoso la personalità dell'imputato
quale scaturisce dalle risultanze processuali costituisce l'elemento propulsore
nella ricerca della verità. Ed è sulla base di questa personalità
e di tutti quegli altri elementi obiettivi, scaturiti dal giudizio e messi in
rilievo, che il Collegio trae la sicura convinzione che il prevenuto nella fucilazione
delle dieci persone in questione agì avendo la coscienza e volontà
di operare in maniera arbitraria, non in base ad un ordine ricevuto. Le dieci
fucilazioni, pertanto, concretano dieci omicidi volontari i quali, essendo stati
commessi in conseguenza di uno stesso disegno criminoso, devono farsi rientrare
nella figura giuridica dell'omicidio continuato.
La fucilazione delle altre
cinque persone fu dovuta come si è detto nella esposizione dei fatti,
ad un errore che, per l'occasione in cui si manifestò, dimostra come
in Kappler e nei suoi collaboratori più vicini sia mancato il più
elementare senso di umanità. Queste cinque persone, prelevate in più
del numero stabilito fra i detenuti a disposizione dei tedeschi e portate alle
Cave Ardeatine, furono fucilate perché il capitano Schutz ed il capitano
Priebke, preposti alla direzione dell'esecuzione ed al controllo delle vittime,
nella frenetica foga di effettuare l'esecuzione con la massima rapidità,
non s'accorsero che esse erano estranee alle liste fatte in precedenza.
Chiunque sia stato l'ufficiale od il sottufficiale che effettuò erroneamente
il prelevamento delle persone in questione, è certo che la loro uccisione
si riporta alle insufficienti ed inopportune direttive date dal Kappler per
l'esecuzione ed alla straordinaria negligenza di quei due capitani, contro i
quali in questa sede non si procede per essere stato il relativo procedimento
stralciato in istruttoria. Il Kappler si preoccupò di raccomandare ai
suoi inferiori di agire con la massima celerità nell'esecuzione, ma non
si curò di controllare l'operato di quelli e di accertarsi che non si
verificassero delle omissioni fatali, la cui possibilità non era difficile
stante il ritmo acceleratissimo con cui i detenuti erano prelevati e fucilati.
Vi è stata da parte di questo imputato un'omissione relativamente alle
opportune misure per un'esecuzione in grande massa da eseguirsi in poche ore
ed è a tale omissione che si riporta l'errore che condusse alla morte
queste cinque persone.
Essendo avvenuto che oltre le persone contro le quali era diretta l'offesa,
siano state fucilate cinque persone per un errore nel controllo delle vittime,
il Collegio ritiene che il fatto rientri nell'ipotesi delittuosa dell'articolo
n°82, II° comma del codice penale. Invero, l'errore del controllo delle
vittime può ben farsi rientrare in quella "causa" generica,
che costituisce una delle condizioni di applicabilità della norma in
esame quando siasi cagionata offesa, oltre che alla persona alla quale essa
era diretta, anche a persona diversa.
Oltre che ai dieci omicidi dei quali si è ampiamente discusso, il Kappler
risponde, stante l'accennato rapporto di causalità, anche di questi cinque
omicidi a norma dell'articolo n°82, II° comma del codice penale.