Sito dell'Anfim, Associazione nazionale famiglie italiane martiri caduti per la libertà della patria
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I
segreti di Bariloche
Priebke
a Bariloche
Le
prime ricerche
L'approccio
Le
prime dichiarazioni
San Carlos de Bariloche,
la pittoresca località turistica situata alle pendici delle Ande argentine
che ha ispirato l'ambientazione del Bambi disneyano, era una cittadina che nascondeva
uno sporco, piccolo segreto. Lungo le sue strade si allineano case in stile
tirolese dipinte a colori vivaci con motivi raffiguranti fiori e animali, e
allegri negozietti che vendono cioccolata di produzione propria. Le pietre di
pavimentazione hanno retto il peso dei passi di alcuni fra i più famigerati
latitanti nazisti. Il diabolico dottor Joseph Mengele, "l'Angelo della
Morte" di Auschwitz, ha vissuto qui prima di morire in Brasile, nel 1979.
Adolf Eichmann, il principale responsabile dello sterminio di milioni di ebrei
europei, vi trascorreva rigeneranti periodi di vacanza. Era una piccola Germania,
puntigliosamente ricostruita; un paradiso per uomini e donne fuggiti dalle ceneri
del Reich Millenario, e dove, si dice, il compleanno di Hitler continua a venire
festeggiato dietro porte ben chiuse, e uniformi della Gestapo pendono come nuove
accanto agli scheletri in molti armadi.
Priebke a Bariloche
È a Bariloche che
Erich Priebke si trasferì nel 1954, e dove divenne presto affettuosamente
noto come "don Erico", l'affabile proprietario del Vienna Delicatessen,
per alcuni un nome legato a molti dolci ricordi. "Una nostra amica diceva
che teneva un ritratto di Hitler nel retro, ma aggiungeva che aveva i migliori
affettati della città", racconta una donna tedesca che per anni
ha abitato a Bariloche. Che i concittadini di Priebke fossero a conoscenza del
suo passato è certo. Dozzine di abitanti di Bariloche hanno ammesso di
aver letto un libro di memorie pubblicato molti anni addietro in cui le imprese
di nazista dell'uomo del Vienna Delicatessen venivano menzionate di sfuggita.
L'ex viceconsole onorario italiano a Bariloche, Carlo Bottazzi, era fra i molti
appartenenti alla locale comunità italoargentina che pur conoscendo da
anni i nefandi particolari del soggiorno romano di Priebke, non ne aveva mai
informato le autorità italiane. Bottazzi, rispondendo alle critiche sollevate
in seguito all'arresto di Priebke, sostenne di essere sempre stato persuaso
del profondo pentimento del tedesco, suo amico da quarant'anni - aveva addirittura
pianto sulla sua spalla - e di non essersi per questo mai risolto a denunciarlo.
In ogni caso, sembra improbabile che informazioni raccolte dal rappresentante
di Roma a Bariloche avrebbero portato molto lontano. Nel 1989, i cacciatori
di nazisti Serge e Arno Klarsfield (padre e figlio) riferirono della presenza
di Priebke in Argentina al ministero degli Esteri italiano, ma non ricevettero
mai alcuna risposta.
Lamentarsi nel dopo sentenza di queste pretese colpe morali non tiene tuttavia
conto che ignorare quelli che Simon Wiesenthal ha definito "gli assassini
che sono fra noi" è più una regola che un'eccezione. Una
soffiata ricevuta dal Mossad quattro anni prima del drammatico rapimento di
Eichmann, e che ne segnalava la presenza in un sobborgo di Buenos Aires, venne
ignorata. Perfino quando l'informatore - un cieco profugo del nazismo - fornì
l'indirizzo e con esso altri particolari credibili, gli israeliani si ostinarono
in un atteggiamento singolarmente distaccato fino a quando esigenze politiche
diedero il via a quella che in seguito sarebbe stata definita "una caccia
senza quartiere". Lo stesso Centro Simon Wiesenthal, che aveva rivestito
un ruolo importante in quanto fonte di informazioni per la troupe televisiva
che mostrò al mondo intero le immagini della nuova residenza di Priebke,
partecipò alle ricerche in misura minore di quanto generalmente si dica.
Le prime ricerche
L'improbabile cacciatore
di nazisti che rintracciò Priebke nella sua abitazione di Bariloche -
un appartamento su due piani a poca distanza dal Deutsche Klub, il centro della
comunità tedesca - era un produttore di Hollywood dotato di un certo
fiuto giornalistico. Il suo nome è Harry Phillips, e lavora su contratto
come produttore-scrittore per il "magazine" televisivo della Abc Prime
Time Live. La storia del suo scoop, che ancora aspetta di essere raccontata,
gli garantisce con ogni probabilità una citazione nel Guinness dei primati
come l'uomo che in un sol giorno smascherò due importanti nazisti.
Nel 1993, saputo che il governo argentino si apprestava ad aprire gli archivi
a lungo segreti concernenti l'ondata di immigrazione di nazisti nel periodo
postbellico, Phillips e la sua collaboratrice (che in seguito ha ricevuto minacce
di morte e preferisce non essere citata) partirono per Buenos Aires. Lì,
si trovarono immersi nel solito mare di registrazioni di false identità
quali "Gregor Helmut" e "Ricardo Klement", corrispondenti
rispettivamente a Mengele ed Eichmann. Molto meno facilmente identificabile
risultò un certo "Juan Maler" che, nondimeno - come Phillips
scoprì al suo ritorno a Hollywood - era considerato un soggetto di un
certo interesse dall'ufficio di Los Angeles del Centro Wiesenthal.
Di recente, Maler era divenuto noto al Centro come il fornitore della fiumana
di pubblicazioni filo e neonaziste che da Bariloche cominciavano a diffondersi
in tutta Europa. Uno dei funzionari del Centro, Rick Eaton, era stato mandato
sul luogo a indagare. A Bariloche, spacciandosi per un neonazista, Eaton riuscì
a risalire al settantanovenne Maler. Fra le altre cose, scoprì che poco
dopo la guerra l'uomo aveva lavorato a Roma con le medesime funzioni di un ex
ufficiale nazista di nome Reinhard Kopps. Kopps aveva avuto un ruolo importante
in quella che era nota - era infatti il nome in codice utilizzato dai servizi
americani - come la Rat Line, da più parti ritenuto storicamente il canale
di fuga utilizzato da migliaia di criminali per lasciare l'Italia con l'aiuto
del Vaticano, dei servizi segreti inglesi e successivamente di quelli americani.
Kopps aveva collaborato con il vescovo Alois Hudal nel fornire documenti falsi
a innumerevoli fuggiaschi; a Eaton, Maler aveva raccontato di avere avuto un
incarico in Vaticano, e più tardi il funzionano americano ebbe a dire:
"Procurare documenti alla gente era il suo lavoro". Kopps, che seguì
lui stesso la Rat Line nel 1947, era effettivamente Maler, ma la prova certa
non c'era ancora, e Phillips si procurò dell'altro materiale sui nazisti
ancora in vita che erano vissuti a Roma e che avrebbero potuto risiedere a Bariloche.
"Una fonte dei servizi segreti della Marina [americana] di Tampa",
mi raccontò in seguito, "passò al setaccio i documenti in
archivio e scovò la pratica relativa a un "tedesco di una certa
importanza", un certo Erich Priebke." La pratica conteneva più
che altro materiale biografico, ma ciò che apparentemente gli conferiva
"importanza" era il riferimento al soggetto come al "2-i-C"
del "Centro interrogatori" della Gestapo di via Tasso, a Roma. Nel
gergo dei servizi segreti, la sigla sta a significare "comandante in seconda".
A dispetto di questa nuova scoperta, l'abbondanza del materiale raccolto su
Kopps-Maler indusse Phillips a dare a questo caso la priorità.
L'approccio
Lui e la sua collaboratrice
tornarono in Argentina con la speranza di ottenere un'intervista e, sotto gli
occhi della telecamera, affrontare il ricercato con le informazioni relative
alla sua vera identità. Priebke fu lasciato sullo sfondo, ma soltanto
per poco. "Verso la metà del marzo 1994 eravamo a Bariloche",
raccontò Phillips, "e stavamo preparando l'intervista a Kopps, quando
d'impulso presi l'elenco telefonico cittadino ed eccolo lì: Erico Priebke."
Fu la sua collaboratrice a telefonare. Era appena arrivata a Bariloche, raccontò,
e pensava di stabilirvisi; qualcuno le aveva fatto il suo nome. Priebke, allora
ottantunenne, cedette a due sue documentate debolezze: la sicurezza della propria
impunità, sviluppata in cinquant'anni di latitanza vissuti con il suo
vero nome, e il suono di una voce femminile. Invitò la donna ad andare
a trovarlo nella casa che divideva con la moglie Alice Stòll, sposata
quasi cinquantasei anni prima, e nella sua qualità di vecchio residente
ed ex proprietario del Vienna Delicatessen, procedette a ragguagliare la "nuova
arrivata" sulla piacevolezza della vita a San Carlos de Bariloche.
Intanto, Phillips metteva Priebke sotto la sorveglianza di una telecamera nascosta,
e a Washington lo staff del Prime Time Live cominciava a raccogliere tutte le
informazioni reperibili sui suoi trascorsi di nazista. Quando il ricercatore
di Washington apprese del suo coinvolgimento nell'eccidio delle Fosse Ardeatine,
mi contattò in quanto unico autore di un libro in lingua inglese sull'argomento.
Non avevo saputo più nulla dell'uomo Priebke - in contrapposizione al
misterioso Priebke che compariva nei documenti da me consultati per la stesura
del libro - da quando, decenni prima, avevo intervistato l'ex agente dell'Oss
Peter Tompkins. Tompkins aveva operato come spia nella Roma occupata sotto le
spoglie di un agiato fascista italiano. Priebke, capo del controspionaggio della
Gestapo, gli stava addosso nella speranza di stanarlo. Si trovarono casualmente
faccia a faccia la sera del sabato precedente il massacro, a una festa nell'elegante
quartiere dei Parioli. Ma la copertura dell'americano non saltò. (Secondo
Tompkins, Priebke era troppo occupato a palpeggiare il seno di una bella attrice
italiana per prestare attenzione agli altri ospiti.) Non avrei potuto offrire
alla troupe di Abc molto più di quel semplice aneddoto, insieme con la
suggestiva ma laconica documentazione allora nota sulla parte avuta da Priebke
nell'eccidio. In effetti, i loro ricercatori avevano scovato documenti inglesi,
francesi, americani e israeliani che, benché frammentari, dipingevano
Priebke come una figura ben più significativa di quanto fino ad allora
supposto. Il mio contributo in quanto tale, si concluse la vigilia del giorno
in cui la troupe di Phillips e il suo miglior giornalista, Sam Donaldson, si
appostarono nelle strade di Bariloche con la speranza di sorprendere sia Kopps
sia Priebke con la guardia abbassata.
La mattina del 6 aprile 1994, la squadra era sul campo. I guai cominciarono
subito. Nelle settimane precedenti, Phillips aveva notato che Priebke usciva
di casa tutti i giorni sul presto e percorreva a piedi i due isolati che lo
separavano dagli uffici dell'Associazione culturale tedesco-argentina, di cui
era presidente, per rientrare, sempre a piedi, a mezzogiorno. Quel giorno, tuttavia,
il tedesco arrivò in macchina e parcheggiò all'angolo dov'erano
appostati due operatori. Phillips temette che Priebke risalisse in auto e si
allontanasse prima che l'intervista potesse avere luogo.
Nel frattempo Donaldson, uno dei più popolari cronisti americani, accostava
Maler-Kopps. Questi abitava a due soli isolati di distanza da Priebke, e Donaldson
lo sorprese in strada. Le telecamere entrarono in funzione.
"Senor Maler", disse il giornalista avvicinandoglisi con un microfono
in mano, "sono Sam Donaldson della stazione televisiva americana Abc News."
"Si, ma che cosa vuole sapere?" replicò Maler diffidente, e
in un inglese dal marcato accento tedesco. "Che cosa vuole sapere?"
"Il suo nome è Reinhard Kopps?"
Per un istante l'altro si irrigidì, poi cercò di sgattaiolar via.
"Mi scusi, ma non ho tempo per certe sciocchezze."
Donaldson non mollò la presa. I bravi giornalisti, così come i
bravi psichiatri e i bravi poliziotti, sanno che solo una sottile membrana separa
il più secco diniego dall'impulso di raccontare ogni cosa. Maler si ostinò
a negare la propria identità, ma non se la diede a gambe. Dopo che gli
fu mostrata una copia della sua tessera del Partito nazionalsocialista, e un'istantanea
che Rick Eaton aveva furtivamente scattato nel suo soggiorno e raffigurante
un giovane ufficiale nazista molto somigliante a lui da giovane, ebbe luogo
lo strabiliante scambio di battute qui riportato:
DONALDSON: Lei è Reinhard Kopps.
MALER: No.
DONALDSON: No?
MALER: Io ero... quando è stato... nel '52, l'ambasciata tedesca mi dette
questo nome, il nome di Maler.
DONALDSON: E come si chiamava, prima?
MALER: Kopps.
L'aveva detto, addirittura in televisione e, si potrebbe pensare, non si sarebbe
potuto sperare di più. Ma come accade nelle migliori performances catartiche
via etere, la catarsi vera e propria sarebbe arrivata solo alla fine. Rispondendo
con un inequivocabile "sì" a una domanda circa la sua collaborazione
con il vescovo Hudal nella gestione della Rat Line, utilizzata per la fuga dei
criminali nazisti in Argentina, Kopps introdusse Donaldson e la telecamera ai
suoi più riposti segreti.
"C'è un sacco di gente qui che è ancora nazista, un sacco,
glielo dico io."
"Chi sono?"
Kopps si volse trascinando Donaldson con sé; dava le spalle alle telecamere
ma parlava direttamente nel microfono del giornalista.
KOPPS: Si chiama Priebke.
DONALDSON: Priebke?
KOPPS: Erich Priebke.
Le prime dichiarazioni
"Dio era dalla nostra
parte", disse più tardi Phillips, riferendosi al timore che Priebke
sfuggisse ai suoi uomini allontanandosi in macchina. A mezzogiorno in punto,
vestito sportivamente con una camicia aperta sul collo e un berretto con visiera,
l'uomo uscì dall'edificio che ospitava il centro culturale. Aveva in
mano le chiavi della macchina e camminava con il passo deciso della persona
in buona forma fisica, molto simile al nonnetto che effettivamente era, e chiedendosi
forse che cosa avesse preparato Alice per pranzo.
Donaldson, che lo aspettava al varco, fu lesto ad avvicinarlo. "Senior
Priebke? Sam Donaldson della televisione americana."
"Sì?" Era un sì seguito da un punto di domanda, e dava
l'impressione che l'interpellato stesse soprattutto cercando di capire che cosa
diavolo succedesse. Si era fermato davanti alla portiera dell'auto.
"Potremmo parlarle un momento?"
Gli veniva offerta una scelta. E scelse. "Sì", rispose. Si
concludeva così il tempo di don Erico.
Mentì, sostenendo di non aver sparato a nessuno nelle cave, negando che
fra i morti figurassero anche bambini, sostenendo che le vittime non erano civili
ma "terroristi", e ribadendo più volte il proprio profondo
rammarico, nel tentativo di far apparire la sua partecipazione al massacro come
un peccato giovanile. Ma ammise di avere vissuto a Roma, di essere stato membro
della Gestapo, di essersi trovato sulla scena del crimine e, avendo avuto a
disposizione quasi cinquant'anni per rifletterci sopra, offrì l'abbozzo
di quella che sarebbe stata la sua linea di difesa al processo: attribuì
la colpa ai "comunisti". "Un ordine era un ordine, ragazzo";
e: "Non commettemmo alcun crimine. Facemmo quello che ci era stato ordinato,
e questo, sa, non è un crimine". In ultimo, rimproverò Donaldson
per il suo atteggiamento troppo disinvolto, accusandolo di essergli piombato
addosso senza preavviso. "Una persona educata non lo avrebbe fatto",
commentò. "Lei non è un gentiluomo." Poi salì
in macchina e partì. Gli restavano ancora quarantotto ore di libertà.