Giulio
Cesare nel suo De Bello Gallico ci narra che i Celti contavano il tempo segnando
le notti passate da un dato evento e non i giorni come facciamo noi. Essi,
inoltre, dividevano l'anno in due sole stagioni: la stagione dei mesi neri
(l'inverno) e quella dei mesi luminosi (l'estate).
I
Celti, figli della notte, facevano iniziare l'anno nei mesi neri, l'inverno, con
la festa sacra di Samhain.
Samhain
(la
notte che precede l'alba del 1° Novembre), indicata anche come Trinox Samoni era
la festa più importante dell'anno celtico, la festa sacra per eccellenza che si
protraeva per tre notti. Tra l'altro era considerata la notte in cui le porte
dell'Altromondo si schiudono permettendo il transito tra i due piani della
realtà. A Samhain, il tempo umano viene sospeso dall'intervento del Sacro, e
questo rende possibile l'intrusione del fantastico nel reale.
Imbolc (la
notte che precede l'alba del 1° Febbraio) era la festa delle greggi. Alle pecore
monta il latte e il peggio dell'inverno sta passando. Corrisponde ai Luprecales
romani festa della fertilità e di purificazione dalle "impurità" dell'inverno.
La Festa di Imbolc non scompare, ma viene poi assorbita dalla festa cristiana
della Candelora.
Beltane (la
notte che precede l'alba del il 1° Maggio) è la festa dedicata al "Fuoco di Bel"
come dice il nome, che richiama il Belenus Gallico, dio della Luce, segna la
fine dell'Inverno e l'inizio dell'estate. Con l'annuncio della buona stagione,
Beltane, per un popolo guerriero come i Celti, segnava anche l'inizio delle
scorrerie e delle glorie d'armi.
Lughnasadh (la
notte che precede l'alba del 1° Agosto) è la festa dell'Estate detta anche
"assemblea per Lug". Durante i giochi e i banchetti in onore del Dio Lug
avvenivano scambi commerciali e promesse di matrimonio; Lughnasadh era
soprattutto il periodo delle assemblee plenarie del popolo, momento in cui
venivano dibattute le cause ed emessi i verdetti.
Anche
a un'osservazione superficiale, appare subito evidente come tutte le feste
principali dei Celti cadessero una quarantina di giorni prima delle date di
inizio astronomico delle stagioni, a conferma di un'evoluzione culturale dei
Celti che da tempo si era ormai disgiunta dalle più antiche tradizioni dei primi
agricoltori-cacciatori strettamente legati al ciclo stagionale. Il concetto di
"tempo" non aveva infatti per i Celti lo stesso significato che ha per noi oggi
o per le civiltà Greca e Romana a loro contemporanee.
Per i
Celti, il tempo non era un assoluto, ma una variabile, una continua commistione
tra tempo umano e tempo mitico, una variabile soggettiva dotata di una valenza
filosofico-religiosa. Tra i molteplici compiti del Druido, saggio della Tribù,
vi era dunque anche quello importantissimo di studiare gli astri, calcolare il
calendario, stabilire i tempi migliori per la semina e per il raccolto, per
mantenere la vita della tuatha in armonia con i ritmi divini.