Sammichele di Bari — Centro Studi di Storia Cultura e Territorio

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Castello Caracciolo

E’ una costruzione, le cui origini possono essere fatte risalire al periodo normanno con funzioni di controllo e difesa, che ha subito molti rimaneggiamenti nel corso dei secoli. Di pianta quadrangolare con quattro bastioni d’angolo, nove cellule a piano terra ed altrettante al primo piano. Il secondo piano è stato ricavato in epoca successiva da un sottotetto. Tutte le cellule sono con volta a crociera, salvo la cellula centrale, a piano terra, che in origine era, evidentemente, una corte. Il primo restauro, di cui si ha notizia, è del 1675, durante il dominio di Antonio de Ponte, perché quasi cadente, come risulta da una lapide posta sul portone d’ingresso.

Passato, alla fine del XVIII secolo, alla famiglia Caracciolo di Vietri viene sottoposto, intorno al 1860, ad ulteriori lavori, su progetto dell’arch. Ascanio Amenduni di Casamassima, che ne stravolgono l’aspetto. A questo intervento, sono da attribuire la costruzione delle torri merlate, il rifacimento della facciata di prospetto, così come la vediamo oggi, con i tre portoni di accesso, le finestre bifore a primo piano, il bugnato di rivestimento e lo scalone interno. Tra la prima e la seconda guerra mondiale, subisce ulteriori interventi, con il rifacimento del solaio al secondo piano e con la costruzione di altre due torrette merlate.

Sede della municipalità ne secondo dopoguerra, nel 1971 viene acquistato dall’Amministrazione Comunale di Sammichele per essere adibito a Museo della Civiltà Contadina. Negli ultimi anni del secondo millennio, è stato sottoposto ad ulteriori lavori per riportarlo, per quanto possibile, almeno nella sistemazione interna, al suo aspetto originario.

Chiesa della Maddalena

Costruita tra il 1615 e il 1632, sul sito di una cappella medioevale posta sotto lo stesso titolo.

La pianta è a tre navate divise in tre campate da archi a pieno centro; quella principale è con volta a botte, le laterali sono con volte a vela. Al primo pilastro di destra è addossata l’acquasantiera e nella piletta è scolpita in rilievo una rosetta a cinque petali. Davanti al primo pilastro di sinistra è collocato l’antico battistero in pietra, nel bordo è incisa la data “1620 SM” (Santa Maddalena).

Nella navata destra, è presente un altare in pietra con mensa sorretta da elaborate volute e sormontato dalla statua di San Vito.

Nella navata sinistra sono presenti due altari, entrambi con mensa sorretta da volute reggimensola e con larghi pilastrini laterali rivestiti da volute. Sul primo altare è  presente una nicchia contenente una splendida statua in legno di S. Michele Arcangelo, risalente al XVII secolo. Nella nicchia del secondo altare è contenuta la statua dell’Addolorata e ai lati sono collocate due statue in pietra dipinta rappresentanti la Madonna e S. Giuseppe, provenienti, evidentemente, da un presepio e che potrebbero risalire, addirittura, alla fine del ‘500. Il Gesù Bambino è posto in alto, poggiato sulla nicchia e poco visibile.

L’altare maggiore è in pietra con un ricco paliotto ed il tabernacolo in pietra è incastonato nei gradini. Dietro l’altare maggiore si eleva, su tutta la parete di fondo, un vasto postergale di legno dipinto. Nello spazio centrale, tra colonne, è la tela raffigurante la Madonna con Bambino fra le braccia. Negli intercolumni, sono raffigurati, a sinistra S. Tommaso d’Aquino e a destra un Santo non identificato. Sulla parete sinistra si ammira un grande affresco in cui è rappresentata la nascita di Gesù, in alto medaglioni con le immagini di S. Francesco d’Assisi e S. Francesco da Paola. Sulla parete destra del presbiterio vi è un altro grande affresco raffigurante la nascita del Battista o, probabilmente, una natività apocrifa, con in alto ovali raffiguranti S. Filippo Neri e S. Ignazio. Tutte queste opere del seicento o primo settecento, sono di autore ignoto.

Non vi è più traccia di una tela esistente, per certo, sino ai primi anni del XIX secolo e raffigurante S. Maria Maddalena, a cui è appunto intitolata la chiesa.

La facciata realizzata, quasi sicuramente, in epoca successiva alla edificazione della chiesa, ha la parete liscia e intonacata, con zoccolatura a bugnato rustico, e interrotta da due lesene. Ha tre portali, di cui il centrale sormontato da una cornice aggettante.

Il campanile, costruito nel 1765, si erge isolato dall’altezza della chiesa. Un cornicione fortemente aggettante divide i due ordini, l’inferiore a base quadrata, il superiore, con struttura più snella, con gli angoli smussati e concavi e ornati da occhi di volute in basso e da capitelli in alto.

Chiesa Maria SS. del Carmelo

Costruita in stile neo-classico, tra il 1844 e il 1870 dal mastro muratore Pietrantonio Schettini, nato a Noci ma residente a Sammichele, su progetto dell’architetto Angelo Pesce di Casamassima.

La facciata è costituita da un paramento di conci di pietra calcarea, è divisa orizzontalmente in due ordini da una trabeazione. L’ordine inferiore è diviso da sei lesene ornate da capitelli ionici, in tre scomparti rispondenti alle tre navate interne. Lo scomparto centrale è alquanto prominente rispetto ai laterali. Il portale, tra due pilastrini con capitelli, è sormontato da un timpano curvilineo contenente, nella lunetta, un affresco della Madonna del Carmine, eseguito dal pittore napoletano Vincenzo Crispo nel 1954.

Tra le lesene sono incavate due nicchie vuote. I portali degli scomparti laterali sono sormontati da cornice ed in asse si aprono, più in alto, due finestre emisferiche.

Su entrambi i lati posteriori, incorporati per metà nella fabbrica della chiesa, si ergono due campanili: quello di destra, che doveva contenere il pubblico orologio, è rimasto interrotto poco sopra la cornice terminale della chiesa; l’altro, di sinistra, è stato completato nel 1888 da un mastro muratore della famiglia Rossi. Questo campanile si eleva isolato dall’altezza della chiesa, la guglia è a piramide ottagonale con alla sommità una croce.

L’interno, a croce romana, ha tre navate ed un transetto. Le navate sono divise da colonne binate con capitelli ionici. Le colonne sorreggono la larga trabeazione in legno di quercia.

Le volte sia della navata centrale che di quelle laterali sono a botte, con lunette, in cui sono aperte finestre emisferiche. Le volte sono abbellite da riquadri e pannelli con decorazioni di stucco dorato. Le pareti delle navate laterali sono scandite da lesene e ornate da capitelli ionici.

All’incrocio della navata col transetto è impostata, su quattro enormi piloni, la volta a vela, decorata da lacunari romboidali con rosette dorate.

Gli altari hanno identico dossale: due lesene con scanalature, sui cui capitelli poggia un timpano triangolare; tra le due lesene è incavata la nicchia. I gradini degli altari hanno tutti sui due lati volute reggimensole. Nel braccio di sinistra del transetto, l’altare è sormontato dalla statua in legno dipinto di S. Rocco; nel braccio di destra vi è l’ex altare maggiore, qui collocato dopo il rinnovamento del presbiterio, sormontato da una statua della Madonna del Carmine. Nel cappellone di sinistra, di fronte alla navata, è l’altare in marmo policromo con statua di S. Michele Arcangelo; nel cappellone di destra, è l’altare con la statua del SS. Sacramento. Tutte queste opere, realizzate nella seconda metà dell’800, sono di scuola leccese, a parte la statua di San Michele Arcangelo che è di un artista anonimo di Monte S. Angelo. L’abside è decorato con un grande affresco del pittore Umberto Colonna, raffigurante la Madonna del Carmine con ai lati S. Michele e S. Simone Stock; in alto sono rappresentati i quattro evangelisti. Sempre di Umberto Colonna è la Via Crucis posizionata nelle navate laterali.

Nella navata destra è un altare in pietra dedicato alla Madonna di Pompei, scolpito nel 1909 dal mastro scalpellino Angeloronzo Rossi. Nei pressi dell’ingresso destro è la fonte battesimale in marmo policromo.

Alla fine degli anni ottanta del secolo XX, la chiesa è stata arricchita con un nuovo organo a canne posto, sul portone principale, dove sino agli anni sessanta si trovava il vecchio organo. L’organo è sormontato da una enorme tela, rappresentante l’Ultima Cena, della pittrice sammichelina Margherita Deramo. Sempre della Deramo, nel cappellone di destra è un altra tela rappresentante l’Eucarestia; una terza, posta nel cappellone di sinistra, raffigura l’Apocalisse ed è del pittore Mario Colonna, figlio di Umberto.

Cimitero di S. Francesco (Strada Prov. per Acquaviva)

La legge borbonica che vietava la sepoltura nelle chiese era del 1817, ma bisognerà aspettare altri vent’anni, ed in particolare la tragica evenienza del cholera morbus del 1837, per convincere la municipalità sulla necessità di costruire un nuovo cimitero. La progettazione è affidata all’architetto Giovanni Memola di Acquaviva, mentre l’esecuzione è fatta in economia dall’Amministrazione. I lavori iniziano nel 1840 e terminano otto anni dopo; partecipano alla realizzazione i migliori capimastro e scalpellini: gli Schettini, i Rossi, i Camposeo e i Pasciolla. Nonostante la legge, che imponeva già la realizzazione di cimiteri per sola inumazione, si riesce a derogare scegliendo, ancora, la tecnica della tumulazione. La chiesa, sotto il titolo di S. Francesco da Paola è con volta a vela e con un solo altare in pietra calcarea finemente lavorato; ai lati sono posti la sagrestia e l’obitorio. Alle spalle della chiesa ci sono le botole di 15 sepolcri con intorno tombe private, monumenti funebri e cenotafi. Due sepolcri sono stati utilizzati per l’epidemia di colera del 1865-66. Il cimitero è rimasto in uso sino al 1910, quando è stato costruito il nuovo camposanto, questa volta, finalmente, per inumazione.

Abbazia di S. Angelo in Frassineto

(Via del Canale)

Le prime notizie dell’Abbazia benedettina di S. Angelo risalgono al 1158 e si rilevano dal Codice Normanno di Aversa dove si racconta di una controversia tra Guidalmone, Superiore del Monastero di S. Angelo di Frassineto, e il catapano Biagio di Modugno; è accertato, infine, che nel secolo XVII l’Abbazia è ancora viva e vitale.

I resti dell’antica Abbazia sono ancora in piedi, a poca distanza dal paese, lungo la strada che dall’abitato porta a quella contrada che è conosciuta con il nome di Canale Frassineto. Sono ancora identificabili vari ambienti: una cappella, in cui sono visibili alcune tracce di affreschi, una sala con un grande camino che doveva servire come refettorio e dormitorio per i pochi monaci, un grande ambiente, lungo e stretto, utilizzato in parte come stalla ed in parte come ricovero per i viandanti. Isolato sorge un ultimo ambiente che doveva essere la stanza del priore. I corpi di fabbrica ed un muro di cinta racchiudono un atrio centrale.

Non deve, inoltre, trarre in inganno il fatto che i ruderi non presentano i requisiti classici di una struttura cenobiale, perché essi erano una prerogativa di insediamenti benedettini ben più importanti. L’Abbazia di S. Angelo in Frassineto, era solo una piccola grancia dell’Abbazia di San Lorenzo di Aversa, il più grande insediamento benedettino nel sud Italia.

Torre dell’orologio

La torre con la macchina del tempo è costruita nel 1878 dal mastro muratore Nicola Morea, su progetto dell’architetto Vincenzo Ventrella di Putignano, sulla porta del vecchio borgo, demolendo un’abitazione privata. Guardando la facciata, sono visibili tre ordini divisi da trabeazione. In basso è la grande porta di accesso al borgo con arco a tutto sesto. L’ordine centrale, è sormontato da una cornice fortemente aggettante con quattro lesene; al centro è presente una finestra con in asse, in basso, una lapide ed in alto l’orologio. L’ordine superiore è costituito dal campanile a vela con bifora sormontata da arco a sesto ribassato e volute laterali.

Menhir

Sono misteriosi testimoni di antiche civiltà e sulle loro origini e funzioni si possono azzardare solo ipotesi. Alcuni storici fanno risalire l’origine dei menhir all’età neolitica, altri ad epoche più recenti. Il termine menhir deriva dalle parole di origine bretone men “pietra” e hir “lunga” e indica, infatti, un blocco di pietra, di forma allungata, infisso nel terreno e che può raggiungere un’altezza di svariati metri. In Europa i menhir sono diffusi, soprattutto, in Gran Bretagna, in Bretagna, in Sardegna ed in Puglia. Nella nostra regione sono conosciuti anche come “pietrefitte”. Sui menhir sono nate numerose leggende: la più conosciuta vuole che al di sotto di questi monoliti siano nascosti immensi tesori e per questo, ancora oggi, sono oggetto di atti vandalici. L’ipotesi più plausibile è che indicassero, almeno in Puglia, confini di proprietà o importanti percorsi viari.

A Sammichele sono presenti due menhir, il primo all’incrocio tra la provinciale Sammichele - Putignano con la vetus via Tarenti (Rutigliano - Monte Sannace - Taranto) ed ha un’altezza di circa due metri, il secondo è posto a qualche centinaio di metri, sempre lungo la vecchia strada per Taranto, in direzione Monte Sannace ed ha un’altezza di poco superiore ad un metro.