INTERVENTI.

S.E. mons. Andrea CASSONE - Arcivescovo di Rossano-Cariati

 

1. Eccellenza Reverendissima Mons. Ercole Lupinacci, Rev.mo Padre Emiliano Fabbricatore, Autorità, Signore e Signori, è con vivo piacere che porgo o voi il saluto a nome della Comunità diocesana e mio personale. Vi ringrazio vostra partecipazione a questo incontro che da’ l’avvio alle manifestazioni in preparazione alla celebrazione del millennio della morte di 5. Nilo di Rossano (2004) e del 950° anniversario della morte di S. Bartolomeo (2005).

Sulla ribalta della storia si affacciano uomini singolari che, nonostante il volgere dei decenni e dei secoli, sopravvivono nelle loro opere e nel loro insegnamento. Tra questi occupa un posto di rilievo S. Nilo, così ricordato dal S. Padre nell’omelia tenuta nello stadio di Cosenza nell’ottobre 1984 in occasione sua visita pastorale: “La storia religiosa della Calabria, - ha detto – ci (...) ricorda figure di uomini santi, che hanno arricchito con la loro spiritualità solo la Chiesa di Calabria, ma tutta la Chiesa di Cristo: ricordiamo S. Nilo Bartolomeo di Rossano, che sono le figure rappresentative del monache cenobitico italo-greco”.

Preghiera, studio, trascrizione di codici, grandi penitenze hanno caratterizzato la vita di S. Nilo. È stato uno stile di vita che è diventato scuola per tanti altri. Nei secoli i monaci di Grottaferrata testimonieranno con fedeltà l’osservanza della regola monastica, l’amore allo studio e all’Oriente cristiano, cosicchè Grottaferrata diventerà patria dello spirito contemplativo.

 

2. Il Concilio Vaticano II ammonisce che il vero culto dei santi non consiste tanto nella molteplicità degli atti esteriori, quanto piuttosto nella intensità del no amore attivo, che spinge a imitare il loro esempio di grandi testimoni innamorati di Dio e dell’uomo.

Se, dunque, noi questa sera siamo qui, è perché la Chiesa di Rossano-Cariati riconoscendo in S. Nilo il suo figlio più illustre, attraverso questo primo incontro e le successive celebrazioni che saranno programmate, intende esprimere solo la sua particolare gratitudine e la sua devozione a lui, ma anche l’impegno di vivere il suo messaggio.

Dall’accenno fatto poco fa, ci accorgiamo che S. Nilo è figura poliedrica; ma il mio intervento è limitato a evidenziare l’attualità della sua santità e particolare: Nilo uomo di contemplazione, di preghiera e di studio.

Desidero raccontarvi lo piccola storia dei tre monaci, due di essi erano, come suol dirsi, un po’ giù di corda: il primo perché vedeva fallire il suo impegno per la pace nel mondo; il secondo perché il suo servizio a favore dei poveri dava scarsi risultati (i due grandi temi del nostro tempo: la pace e i poveri). Essi decisero di interpellare il terzo monaco che si era ritirato nella sua cella per vivere il primato della preghiera e della contemplazione. Quest’ultimo, saggio e tranquillo, prese un catino, vi versò dell’acqua e poi prese a muoverla con la mano; così facendo, certamente, non poteva riflettere nulla, tanto meno la propria immagine. Solo l’acqua calma poteva restituire l’immagine dell’uomo, farne emergere il volto. Così era per loro e così è certamente per noi.

Il rischio molto concreto dei nostri giorni è un orizzontalismo che appiattisce tutto, che porta a ignorare la dimensione verticale dell’uomo. C’è un preoccupante sbilanciamento, nel senso che c’è una forte spinta psicologica e culturale che porta a un attivismo esasperato. Ci sono alcuni che riconducono tutto il compito del credente all’impegno sociale, alla sola promozione umana. Si dice: il vero amore di Cristo sta nell’azione, nel servizio ai fratelli. La tentazione è insidiosa: la contemplazione, la preghiera, sarebbero una perdita di tempo, una contraffazione del vero amore di Dio. Non è la preghiera che può trasformare il mondo; tutt’al più eleviamo prima l’uomo, liberiamo l’oppresso e poi parleremo di Dio.

Anche Gesù fu coinvolto dalla questione; infatti un dottore della legge gli pose questa domanda: “Maestro qual’è il precetto più grande della legge?”. Egli rispose: ‘ il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo di tutti i precetti. Ma il secondo è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,36- 39). Dunque non c’è contrapposizione né separazione tra vita spirituale, tra preghiera, tra primato di Dio nella propria vita e promozione sociale, impegno politico e progresso umano, ma complementarietà.

La vita di S. Nilo ne è una bellissima conferma. Infatti fu, diremmo oggi, un uomo impegnato: oltre che essere la figura più rappresentativa del monachesimo cenobitico italo-greco, nel sec. X è conoscitore del latino, fu calligrafo esperto ed autore di quel particolare sistema tachigrafico detto italo-greco, di cui i suoi manoscritti, che con quelli degli immediati suoi discepoli, costituiscono il primo nucleo della biblioteca criptense, forniscono un bell’esempio.

 

3. La contemplazione, la preghiera nella vita del cristiano.

Ad un direttore d’orchestra fu chiesto qual è il momento più importante durante una esecuzione musicale; rispose con meraviglia di tutti, che esso è la pausa; proprio la pausa perché è il tempo per ripensare, per assaporare la bellezza del brano musicale eseguito.

Non diciamo forse tutti e continuamente che non abbiamo tempo, che il tempo scorre velocemente e che siamo stanchi? Avvertiamo che abbiamo bisogno di fermarci per ritrovare noi stessi. Non siamo macchine in attività permanente. C’è bisogno di momenti di pausa perché non di solo pane vive l’uomo. Ghandi, conosciuto in tutto il mondo per il grande impegno politico della non-violenza, così parlava della preghiera: “Si può vivere qualche giorno senza mangiare, ma non senza pregare. La preghiera è la chiave del mattino e il catenaccio della sera. La preghiera: un patto tra Dio e gli uomini”.

Essere guardati da Dio, lasciarsi guardare da Lui: io così definirei la preghiera. È più silenzio che parola. Più attesa che azione. Come faremo a sfuggire all’intossicazione delle parole? Certo, S. Nilo ha parlato ed ha scritto tanti inni, ma le sue parole nascevano dal mistero del silenzio, della contemplazione. Sempre la parola deve poggiare su un silenzio, sempre deve nascere dal silenzio. Se manca il silenzio, l’ascolto, la preghiera, le parole che noi pronunciamo saranno voce ma senza farsi mai anima. Parole parlate, cioè recitate, che non provengono dal cuore e quindi non parole parlanti, cioè che inducono a riflettere, che scuotono, che convincono.

Pregare è afferrare il lato diritto e il lato rovescio della vita. Nella vita frenetica, nella corsa del tempo, nella quale molti di noi sono coinvolti, la preghiera costituisce quella pausa che è il riposo necessario per essere se stessi. Se oggi siamo ricchi di parole e purtroppo vuoti interiormente è perché ci manca questa zona di “tempo -perso” che è costituita dal silenzio, dalla preghiera e dalla contemplazione. La preghiera cambia il cuore e rende nuove le cose. Il Papa infatti ci dice: Aprendo il cuore all’amore di Dio, la preghiera lo apre anche all’amore dei fratelli e rende capaci di costruire la storia secondo il disegno di Dio” (NMI, 33). Ecco perché Giovanni Paolo 11 incessantemente ci chiede di pregare per la pace. La guerra è fatta da armi, la pace à fatta di preghiera. La guerra fa rumore. La pace fa silenzio. Questo inizio del nuovo millennio ci pone davanti a un bivio: una strada è quella delle armi e della guerra; l’altra è quella della preghiera. Non esiste una terza strada.

Archimede diceva: “Datemi un punto d’appoggio e io solleverà il mondo”. La preghiera è una leva potentissima per sollevare il mondo e trasfigurarlo. La preghiera è la forza della nostra debolezza; è l’onnipotenza delta nostra impotenza.

S. Nilo, aperto al dialogo ecumenico, ci invita a guardare avanti. Quello di guardare avanti è anche il forte invito del Papa. Dobbiamo ripartire da Cristo nell’impegno della santità perché ad un’Europa che sta ridisegnando in profondità il suo volto non venga a mancare la buona novella cantata dagli angeli sulla culla di Betlemme: “Gloria a Dio... pace in terra agli uomini che egli ama”. In Italia, nella nostra Europa, c’è bisogno di padri e di madri aperti al dono delta vita; occorrono sposi che siano testimoni dell’amore umano benedetto da Dio; c’è bisogno di persone capaci di dialogo e di ascolto; c’è bisogno di donne che riscoprano nella fede la possibilità di vivere il loro genio femminile; c’è bisogno di sacerdoti santi e di apostoli capaci di immergersi nel mondo e nella storia con cuore contemplativo; c’è bisogno di mistici talmente immersi in Dio da poterlo indicare presente nel vivo dell’azione.

 

4. S. Nilo e la cultura

Parlando di S. Nilo come uomo di cultura, si intende alludere alla sua produzione libraria come copista e la sua produzione innografica: essa si caratterizza dal punto di vista del contenuto nel senso che comprende quasi esclusivamente testi patristici, agiografico-ascetici, liturgici. E ovvio che la cultura e gli interessi di 5. Nilo devono essere visti nell’ottica religiosa del suo tempo. L’uomo colto era chi, penetrato il senso della Scrittura, sapeva tradurre in norma di, vita l’insegnamento trattone. Sapienza (sophia) era il Vangelo e perciò il monaco che metteva in pratica il Vangelo diventava filosofo, cioè specchio ideale di vita. Cultura, dunque, nel senso di impegno e perfezionamento di vita.

E come specchio di ideale di vita, S. Nilo attirerà a sé tanti che rivivranno il suo messaggio e perpetueranno la sua testimonianza. Ed allora come non ricordare la biblioteca di Grottaferrata? La conservazione e la memoria delle opere tradotte da S. Nilo e dai suoi discepoli confermano l’incessante sforzo dei credenti nel ricercare quei beni idonei a creare una cultura di ispirazione cristiana al fine di promuovere integralmente la persona umana quale presupposto per la sua evangelizzazione.

La Chiesa ha una missione fondamentale che non può essere disattesa; è quella di annunciare che Cristo è la sola novità assoluta, che ha cambiato e può rinnovare il mondo. Evangelizzare è anche fare opera di cultura, operare cioè in modo che la vita associata assuma i valori evangelici e li esprima in uno stile di vita. A tale riguardo così si esprime il S. Padre nella “Fides et Ratio” del 14 settembre 1998: “Il modo con cui i cristiani vivono la fede è anch’esso permeato dalla cultura dell’ambiente circostante e contribuisce, a sua volta, a modellarne progressivamente le caratteristiche. Ad ogni cultura i cristiani recano la verità immutabile di Dio, da Lui rivelata nella storia e nella cultura di un popolo” n. 71). Sul piano operativo è importante che nelle nostre parrocchie sia presente un piccolo gruppo capace di essere lievito per aiutare ogni membro della comunità a sentirsi parte integrante degli usi, dei costumi e della storia del proprio quartiere. Un piccolo gruppo che operi specialmente là dove non esiste una storia comune, come nei nuovi quartieri che sono sorti di recente o stanno sorgendo ad esempio allo Scalo di Rossano e di Corigliano. Infatti “cultura” è ciò che è “coltivato” dagli uomini, ciò che essi apprendono e costruiscono nei rapporti con il mondo, tra loro e Dio; la cultura è il modo di vivere e di crescere. Ma affinché l’evangelizzazione arrivi al cuore dell’uomo e quindi alle matrici culturali delle sue decisioni, è necessario confrontare le attuali culture sulla vita, la malattia, la salute, la morte, ecc, con il Vangelo. È una sfida che va fatta, altrimenti l’azione della Chiesa si limiterebbe alla carità, sempre necessaria, ma che non esaurisce il suo compito. La nostra diocesi in tal senso è scesa in campo attraverso le iniziative promosse da Centro Culturale Cattolico “Il lievito” operante dal 23 ottobre 1999.

 

Noi accogliamo con grande disponibilità l’ammonimento del S. Padre che afferma: “Non c’è rinnovamento, anche sociale e culturale, che non parta dalla contemplazione”. Dunque, perché l’annuncio sia efficace dobbiamo rinnovare la nostra vita. Il Progetto Culturale deve partire dalla prassi evangelica, come ha chiaramente testimoniato S. Nilo, che ha mirabilmente fuso in unità la dimensione contemplativa e quella attiva.

Se la presenza cristiana nei vari ambiti della società è stata ininfluente, nel senso che non ha cambiato un certo modo di pensare, è perché noi cristiani spesso abbiamo ceduto ai compromessi di una società fondata sul potere ad ogni costo, sul benessere materiale, su una religiosità spesso di facciata.

Nessuno di noi deve dimenticare che deve essere ‘lievito” e che la santità esprime la buona salute dell’umanità e canta la perenne giovinezza della Chiesa.

+ Andrea Cassone.