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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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     "NASCITA DELLA VITA PSICHICA"

 

 

 

 Resoconto di Giuseppe Leo della relazione tenuta da Anne Alvarez il 19 febbraio 2011 al seminario tenuto a Firenze presso l'Accademia La Colombaria.

 


Anne Alvarez, Ph.D,M.A.C.P., ha studiato come Psicologa clinica in Canada e negli Stati Uniti e ha poi esercitato come psicoterapeuta dei bambini e degli adolescenti in Inghilterra.

E’ stata coordinatore  del Servizio per l’Autismo e adesso è consulente onoraria psicoterapeuta dei bambini e degli adolescenti  del Dipartimento dei bambini e famiglia della Tavistock Clinic di Londra.

E’ autrice di “Live Company: Psicoterapia per bambini autistici, borderline, deprivati e sottoposti a abuso” e ha curato con Susan Ried “”Autismo e Personalità: risultati del Tavistock autism workshop”. Un libro in suo onore edito da Judith Edwards dal titolo “Essere vivi”, basato sul suo lavoro è stato pubblicato nel 2002.

E’ stata Visiting Professor nella Associazione Psicoanalitica di San Francisco nel novembre 2005.

 

            

 

 

  

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

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EDIZIONI FRENIS ZERO

 "Psicologia dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-903710-3-5

Anno/Year: 2011

Pages: 158

Prezzo/Price: € 18,00

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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-2-8

Anno/Year: 2010

Pages: 520

Prezzo/Price: € 30,00

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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-0-4

Anno/Year: 2008

Prezzo/Price: € 18,00

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OTHER BOOKS

"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini

ISBN: 978-88-340155-7-5

Anno/Year: 2009

Pages: 224

Prezzo/Price: € 20,00

 

"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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Anne Alvarez ha introdotto la sua relazione con tre descrizioni cliniche: quella di Robbie, quella di Samuel e quella di Jesse. Robbie, un suo paziente autistico, aveva detto un giorno ad Anne di essere uscito, molti anni prima, da "un profondo blocco di ghiaccio" (in cui era stato messo e "lasciato  a morire per sempre senza occhi, senza orecchi, senza bocca e senza pene") grazie a suo zio. Quando Robbie aveva circa venti anni, era meno impegnato nei suoi discorsi rituali, e questi sembravano avere un senso, anche se erano estremamente lenti. Tuttavia Anne aveva cominciato a notare, all'epoca, che lo salutava all'inizio della seduta in modo del tutto diverso da come salutava un altro paziente autistico, Samuel. Quando Anne salutava quest'ultimo sentiva di avere uno sguardo più luminoso, <<con una sorta di anticipazione che infondeva energia>>. Quando invece salutava  Robbie, Anne sentiva che, sebbene si sentisse più sollevata dai suoi progressi, il proprio sguardo lo avvertiva come spento. Un giorno Robbie è entrato, ha guardato il pomello di ottone della porta davanti alla quale passava per entrare nella stanza di consultazione, e ha detto con grande desiderio:  <<Voglio essere quel pomello>>. Anne si è sentita mancare, dato che questa affermazione di Robbie era tanto simile a quella che circa dieci anni prima era solito dire: "Voglio essere una banderuola". Anne Alvarez dice che allora non aveva compreso che Robbie volesse essere qualcuno o qualcosa che la gente guardasse, seguisse ed ammirasse. All'epoca Anne aveva interpretato questo suo desiderio sia come un modo di identificarsi con un oggetto parziale (un pene o il seno) sia come qualcosa a cui un bambino in fase edipica doveva rinunciare. Dopo, però, ha compreso che nel suo sé pre-edipico Robbie aveva un giusto bisogno di essere ammirato, come accade a tutti i bambini. Subito dopo che Robbie ebbe pronunciato quella frase, Anne però si rese conto che essa era stata pronunciata in modo emotivo, per nulla autistico: quando sono entrati nella stanza, Anne gli ha chiesto perché volesse essere quel pomello di ottone della porta. Robbie ha risposto perché era così lucente. Alvarez  si è ricordata di quanto aveva scritto Allan Schore a proposito del modo in cui le pupille si dilatano quando esse guardano un bambino in modo amorevole. Così, quando gli studenti impegnati nell'"Infant Observation" affermano che gli occhi di una persona si illuminano, essi descrivono un fatto fisiologico. Anna dice che si è allora ritrovata a pensare al bisogno e al diritto di ogni bambino di accendere una luce nello sguardo della madre o del padre, e quindi ha detto a Robbie: <<So quello che avrei dovuto dire alla porta, Robbie, avrei dovuto dire: "Che bello vederti, è da un mese intero che non ci vediamo!" Pronunciando queste parole, Anne si rende conto che i propri sentimenti nei confronti di Robbie sono cambiati: si sentiva quasi commossa, e anche lui si è ravvivato mentre lei parlava. Il suo sguardo si è illuminato e le sue guance si sono colorite. Anne ha così imparato ad essere estremamente vigile al suo controtransfert e alla qualità del contatto visivo che manteneva con Robbie.

Jesse è un bambino autistico di otto anni che ha avuto con Anne un contatto migliore negli ultimi mesi, oltre che una maggiore capacità di comunicare attraverso storie più lunghe e di condividerle con l'analista. Aveva posto un cuscino su una poltrona di legno, fingendo che fosse un alieno, picchiandolo quindi con violenza. Allora aveva spiegato alla sua analista (Anne) di essere uno "zapper", ossia un dispositivo elettronico a distanza, ma non uno cattivo, bensì uno "zapper" buono.  Quando Jesse trasmetteva elettricità, faceva muovere il suo interlocutore. Ha detto all'analista di muoversi, poi di saltare, quindi di cadere. Anne ha fatto le prime due cose, poi ha fatto finta di cadere e lui sembrava divertirsi  ed essere ravvivato dalla sua idea.

Per l'Alvarez, questi tre esempi clinici illustrano una particolare forma di vitalità in cui l'aprirsi alla vita sembra coinvolgere un rapporto interpersonale, e la vita viene facilitata da qualcun altro: dallo zio nel caso di Robbie, dall'accoglienza ricca di emotività di Anne nel secondo caso. Nel caso di Jesse, sembrava l'opposto: lo zapper era lui che portava l'analista alla vita. In un normale sviluppo infantile, queste relazioni oggettuali vengono interiorizzate, e così il rapporto con l'oggetto fonte di vita psichica è intrapersonale, oltre che interpersonale. Dopo aver osservato numerosi bambini, l'Alvarez sostiene che i bambini appena nati variano tra loro enormemente in base alla "quantità di forza di vivere", persino per la "forza di vita psichica" con cui si affacciano al mondo. 

Peter Hobson, nel libro  "The Cradle of Thought"(2002), afferma che se un bambino non fosse coinvolto con altre persone, non arriverebbe a pensare, e che sono stati gli scambi emotivo-comunicativi nei nostri antenati pre-Sapiens a permettere alla nostra specie l'accesso al linguaggio. Bion ha detto: <<Non ho nessun dubbio circa l'esigenza di qualcosa nella personalità che consenta di entrare in contatto con la qualità psichica>>. Trevarthen si è chiesto: <<Come potrebbe la mente di un bambino identificare fisicamente le persone? Quali tratti del loro comportamento ne determinano i segni caratteristici?>>. E poi prosegue: <<Il comportamento intenzionale ha svariate caratteristiche che non sono condivise con le cose inanimate, e quindi un agente intenzionale può essere predisposto a rispondere agli altri come a se stesso... Il movimento inanimato scende verso il basso, oscilla in modi semplici, rimbalza, ma non fluttua in impulsi autogenerativi. Qualsiasi cosa tenda a causare scatti di ritmo non provocati, come un lampo di luce riflessa, sembra vivo.  Questa vitalità ritmica del movimento è la prima identificazione di una compagnia viva>>. Trevarthen enfatizza quella che con Malloch ha definito "musicalità comunicativa". Egli sottolinea che i bambini nascono già pronti per tirare fuori dal "caregiver" una particolare forma di comunicazione già modellata.

Per quanto riguarda il feto, Erna Osterweil (1) scrive: <<La percezione del feto come entità totalmente passiva, e quella dell'utero come luogo silenzioso e isolato, è stata modificata dalla ricerca medica. Questa ricerca, basata sull'utilizzo di tecniche a ultrasuoni in tempo reale, testimonia la raffinata complessità dell'apparato percettivo e motorio del feto. Oggi è chiaro che già molto prima della nascita il feto può sentire, ingoiare e gustare, rispondere alla pressione o al tatto, reagire allo stimolo dolorifico spostandosi dalla sua fonte, e può cambiare posizione all'interno dell'utero. Già a otto settimane dalla data dell'ultima mestruazione sono presenti non solo movimenti provocati, ma anche spontanei; a ventiquattro settimane il feto fa capriole all'indietro e movimenti simili a passi neonatali. Mauro Mancia>> afferma l'autrice <<ha sottolineato la differenza tra gli stati in cui il feto cammina e quelli di sonno attivo in cui egli ipotizza siano avvenute le integrazioni sensoriali>>.

Graham Music (Nurturing Nature, Hove, Psychology Press 2010) afferma che i bambini nascono "equipaggiati per relazionarsi"(p. 26). Trevarthen sostiene che la distinzione tra  sé e l'altro è già presente prima della nascita (in Conversations with the infant communicator, Winnicott Studies, vol. VII, Spring 1993). Anne Alvarez si sofferma sull'imitazione. Music sostiene che concetti come il "mirroring" e l'imitazione possono sembrare troppo bidimensionali per consentire di accedere alla profondità di questi processi che, invece, i bambini autistici non riescono a gestire.  Naturalmente, le ricerche sui neuroni specchio non possono che essere interessanti. La ricerca che alla Tavistock hanno condotto Hobson e Lee ha chiesto a dei ragazzi autistici di imitare le azioni dello sperimentatore. Essi imitavano abbastanza bene, tuttavia imitavano solo lo "scheletro" dell'azione, mancando il "modo", lo stile, la fantasia con cui lo sperimentatore fingeva di suonare un violino con due stecchi, ad esempio.

Karen Proner, in un lavoro sulla sincronia protomentale, collega questa con le idee psicoanalitiche sull'identificazione. La sincronia protomentale data dai movimenti di "danza" tra madre e bambino, potrebbe rappresentare la base per l'identificazione proiettiva ed il suo contenimento. La "danza" potrebbe rappresentare un'"illusione di unicità", ma anche "l'esperienza della vera percezione di un reale stare insieme".

Urwin ha criticato i ricercatori cognitivisti perché secondo questi l'emozione rappresenterebbe un fattore che rallenterebbe o accelererebbe la cognizione, quando invece, come sosteneva anche Bion, l'emozione entra nella struttura della cognizione stessa. Per Gerhard, ogni nuova forma di comunicazione si aggiunge a quella precedente e nessuna viene perduta. Infatti, le comunicazioni emotive dei bambini molto piccoli vengono precocemente arricchite dalle vocalizzazioni, poi dalle parole e infine, gradualmente, dalle parole pensate e dalle parole espresse attraverso il pensiero. 

L'osservazione dei neonati e la infant research suggeriscono  il fatto che certi bambini necessitino di un appoggio più saldo, rispetto ad altri,  nel percorso verso il contatto (cfr. Brazelton  & Nugend, 1995). Nel 2004 Hawthorne ha evidenziato come la scala di valutazione del comportamento neonatale (NBAS), somministrata a neonati nati a termine,  evidenzi enormi differenze tra di loro. La scala misura il livello di funzionamento del sistema autonomico, ma anche lo stato del sistema che valuta la capacità di assuefazione, ossia di abituarsi alle cose. Con neonati pretermine, Romana Negri (1994) sostiene che l'organizzazione dei diversi stati verso la 42.a settimana rappresenta una pietra miliare nella salute mentale del bambino pretermine. La stessa Negri afferma che gli stati del bambino possono essere definiti organizzati una volta che egli resta in uno stato ben definito per periodi significativi, con un passaggio graduale da uno stato all'altro. Improvvisi cambiamenti di stato segnalerebbero la vulnerabilità del bambino. La Alvarez collega questo alla pratica psicoanalitica: certi salti da uno stato mentale, o di pensiero, ad un altro non rappresenterebbero una fuga, ma semplicemente il paziente mancherebbe di certi collegamenti vitali che facilitino le transizioni. Questi pazienti possono avere dei pensieri, come diceva Bion, senza sapere come pensarli.

Nel suo ultimo libro (Forms  of Vitality, Oxford 2010) Stern afferma  che quelli che si chiamavano profili temporali dei sentimenti, e che oggi lui chiama forme di vitalità, vengono studiati troppo poco. Non conta solo il contenuto della vita mentale ed emotiva, ma anche la qualità delle forme di espressione e di esperienza. Egli ritiene che le basi neuroscientifiche di questa teoria si trovino nel sistema di attivazione. La Alvarez ha spesso chiesto a neuroscienziati cosa potrebbe accadere nel cervello di un bambino, perso nel vuoto, nel momento in cui egli viene "richiamato" per un attimo a essere psichicamente vivo. Schore e altri autori (Pally, 1998 e Siegel, 1995) hanno scritto sulla differenza tra il fare, da una parte,  un'interpretazione con la parte sinistra del cervello ed il farne un'altra che implica un più immediato "momento di incontro" tra cervello destro di paziente ed analista. Provenendo la Alvarez  da una prospettiva kleiniana e bioniana, suggerisce di non pensare a due, ma a tre livelli di interpretazione. Un primo livello di spiegazione  richiede un notevole funzionamento dell'io da parte del paziente. Un secondo livello più descrittivo consiste, anziché nel dare spiegazioni alternative ai perché, nel fornire ampliamenti dei significati oppure un contenimento nei termini di Bion o della Bick. La teoria della parte destra e sinistra del cervello, sviluppata dagli autori citati prima, sembra tener conto di questi primi due livelli di interpretazione. Però, secondo la Alvarez, c'è anche un terzo livello di interpretazione che prevede di non offrire né significati alternativi né significati più ampi, ma, al contrario, di insistere sul significato vero e proprio coi pazienti troppo assenti o dissociati per riuscire a percepire l'importanza di qualcuno o qualcosa, incluso se stessi. Non riuscendo a trovare alcuna spiegazione per questa funzione vitalizzante ed energizzante del recupero, la Alvarez ha chiesto  ad  una collaboratrice di Panksepp, Lucy Biven, di introdurre il suo lavoroo ad un pubblico profano. La Biven ha messo in evidenza che ci sono due modi per sentirsi bene: uno è modulato dagli oppioidi e l'altro dal sistema della dopamina, che stimola la curiosità e l'eccitamento dell'anticipazione. La Biven ha suggerito alla Alvarez di pensare alle idee di Panksepp sul "Sistema di ricerca" del cervello, che per la Alvarez sembra  farle associare il concetto di K di Bion (il desiderio di conoscere qualcuno o qualcosa).

Gerhard ci dice che quando la madre sorride, il sistema nervoso del bambino  viene stimolato in modo piacevole. Gli oppioidi endogeni, secondo Schore, aiutano i neuroni a crescere, regolando il glucosio e l'insulina. La dopamina, allo stesso tempo, viene rilasciato dal tronco cerebrale e si fa strada fino alla corteccia prefrontale, facilitando l'assorbimento del glucosio e aiutando la crescita della corteccia prefrontale.

In "Affective Neuroscience"  Panksepp scrive di Leonard, un uomo adulto le cui vie dopaminergiche cerebrali erano state  distrutte da bambino. E' stato solo dopo la somministrazione della L-Dopa da parte di Oliver Sacks che Leonard  ha potuto riprendere parte ai piaceri terreni. Per Panksepp i tratti ascendenti delle vie dopaminergiche consentono alle persone di svolgere senza problemi ed in modo efficiente tutte le attività quotidiane. Panksepp sottolinea che questi circuiti contribuiscano alle nostre sensazioni di impegno e di eccitamento. Panksepp suggerisce che <<un interesse intensoo, una coinvolgente curiosità ed un'anticipazione desiderosa>> sono quei tipi di sentimento che riflettono la nascita di questo sistema negli esseri umani.

Anne Alvarez passa quindi a trattare le implicazioni tecniche che tutto ciò può comportare. Panksepp prosegue affermando che <<senza l'energia sinaptica  della dopamina questi potenziali rimangono congelati, come se ci si trovasse nell'infinito inverno del nostro scontento. Le sinapsi della dopamina ricordano i portieri piuttosto che i corrieri che trasmettono messaggi dettagliati. Quando non sono attivi alle loro postazioni, molte potenzialità del cervello non possono manifestarsi prontamente in pensiero o azioni. Senza la dopamina, soltanto i messaggi emotivi più forti  incitano il comportamento>>. L'ipotesi della Alvarez viene qui ripresa: ci sono certi stati mentali (e forse cerebrali) in cui viene richiesta una più intensa insistenza sul significato, poiché esso crea ciò che  certi studiosi dello sviluppo mentale chiamano un "momento affettivo supremo"(Beebe e Lachman). Così, certi ritmi insistenti della musica possono aumentare la sintesi di dopamina negli animali.

La Alvarez si continua a porre una seconda domanda: se esista una differenza tra dissociazioni, da una parte, e dall'altra quella sorta di inerme arrendevolezza, di apatia  che scaturisce dalla disperazione. Quella stessa ottusità che lei crede di avere visto in Robbie ed in alcuni bambini deprivati. Alvarez ricorda quanto una volta  disse Allan Schore, secondo cui l'effetto della privazione sarebbe molto peggio di quello dell'abuso sulla mente  del neonato. Nel 2001 Perry ha notato  a proposito degli studi sull'infanzia trascurata: <<Mentre ogni bambino ha delle potenzialità genetiche uniche, sia gli studi sull'uomo che quelli sull'animale indicano importanti necessità che ogni bambino ha, e le gravi conseguenze a lungo termine per la funzionalità del cervello nel caso in cui non vi si faccia fronte. Gli effetti dell'ambiente dell'infanzia, favorevoli o sfavorevoli, interagiscono con tutti i processi di neurosviluppo (neurogenesi, migrazione, differenziazione, apoptosi, arborizzazione, scultura sinaptica e mielinizzazione)>> (Perry, 2001).

Anche per i bambini ossessivi potrebbe essere importante la questione della vitalità del bambino. La Alvarez ricorda che un suo paziente schizofrenico molto ossessivo, che aveva in trattamento quarant'anni fa, si era concentrato sulla palla piena di aria compressa che sperava continuasse a rimbalzare per sempre. All'Alvarez sembrava  allora che questo suo aspetto fosse un desiderio difensivo onnipotente di essere il creatore del suo oggetto, in modo da non confrontarsi con un oggetto veramente vivo. Ora, l'Alvarez pensa che quel paziente volesse affacciarsi alla vita e riportare alla vita il suo oggetto.

La capacità di intrattenere e dare piacere è stata studiata da Trevarthen (2001) e da Reddy (2008) ed è qualcosa di diverso dal bisogno di un oggetto nutritivo o anche contenitivo nel senso di Bion (1962) o della Bick (1968). Esso si riferisce piuttosto al bisogno di un oggetto interessato e reattivo, nonché capace di essere deliziato. La Alvarez riporta  un'esperienza di un'osservazione di un bambino con la madre: nei primi 7 mesi il piccolo sembrava accettare in modo un po' troppo passivo la relazione  della madre con altre cose. A 8 mesi, quando la madre si stava organizzando per riprendere il lavoro, i due sembravano aver costruito un legame più forte e vitale: riusciva ad attirare meglio l'attenzione della madre con sorrisi, versetti e vocalizzi, e la madre sembrava provare un maggior desiderio di sentirsi attratta a questo modo. All'osservazione a 9 mesi, si stavano riprendendo da un'influenza che li aveva colpiti entrambi: durante l'osservazione, il bambino ha tentato due modi diversi di catturare lo sguardo della madre  e fare in modo che lei gli rispondesse. Tutt'e due i metodi erano falliti, ma la Alvarez vuole parlare della differenza tra di loro. Il primo metodo è consistito nel piangere più volte, ma poi il bambino si è arreso quando la mamma continuava a svolgere in modo routinario le faccende domestiche e non dava cenni di risposta. Poi (secondo metodo), quando l'ha vista in piedi davanti a sé guardare in modo vago nella sua direzione, ha fatto un gran sorriso e una pernacchia. Un mese prima la madre avrebbe riso, ma ora la madre continuava a tenere lo sguardo fisso al di là del bambino, verso qualcosa della stanza. Quindi, il bambino è ripiombato nel suo silenzio e si è messo a dormire. <<Il bambino  che piange chiede conforto>> dice la Alvarez <<il bambino che ride e si muove chiede qualcosa che ricorda la gioia e il piacere, come portare una luce nello sguardo di qualcun altro>>. Questo bisogno non va confuso con un meccanismo difensivo di tipo maniacale. Il bbambino ha bisogno di conforto, ma anche di un oggetto accessibile e raggiungibile, interessato, contento di essere intrattenuto (Trevarthen, 2001; Reddy, 2005). 

Jesse nel corso degli ultimi mesi era migliorato nel rapporto con Anne. Era anche migliorato nel recitare storie  un po' più lunghe ed anche, ogni tanto, nel far sapere alla terapeuta cosa stava succedendo nei racconti. In particolare, un giorno raccontò che Indiana Jones stava salvando una bella ragazza da una gabbia, ma ad Anne non era stato detto nulla e veniva totalmente ignorata.  Dopo 20 minuti Anne gli ha fatto notare che quel giorno lei era come invisibile. Questo commento, che in passato lo avrebbe raggiunto, quella volta non ebbe alcun effetto. Anne ha quindi continuato dicendo che veniva trattata come la ragazza nella gabbia, ma anche questo commento non sortì alcun effetto. Alla fine Anne ha cominciato ad urlare perché voleva che Indiana Jones andasse a salvarla, dato che era  sola, senza nessuno con cui giocare. La risposta di Jesse non si è fatta attendere ed anche piena di calore. <<Sembrava che fosse stata la mia espressione di emozioni in nome della sua parte imprigionata o del suo oggetto interno, oppure di entrambi>> dice la Alvarez <<che era riuscita a raggiungerlo. Credo dobbiamo ancora imparare molto su come raggiungere i pazienti autistici o dissociati, senza ovviamente diventare invadenti e molesti>>.

 

 

 

                          

 

 

 

 

 

 

 

 

      

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

(1) Saggio raccolto nel volume "Primitive Mental States", a cura di Shelley Alhanati e Jane van Buren, Routledge, 2009.

 

 

 

 
 
 
 
   

 

 

 

 

 

 

   

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
 

 

   
   
 

 

   
   
   
 

 

   
   
   
   
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

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