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ESPERIENZE DAI SERVIZI.

 

Recensioni bibliografiche 2003

 

Tonia Basile è psicologa, psicoterapeuta ed arteterapeuta, ed esercita a Taranto.

In questo suo contributo l'autrice fa un resoconto di una parte del trattamento con Simone, un bambino di dieci anni, accolto in casa famiglia, e con problemi comportamentali (instabilità psicomotoria, isolamento relazionale). L'arteterapia può essere definita <<come una psicoterapia in cui il processo creativo e l’uso di modalità espressive promuovono l’integrazione emozionale del soggetto e ne facilitano lo sviluppo affettivo, cognitivo e psicosociale.

Il mezzo artistico e/o espressivo diviene il veicolo, il mezzo per parlare di sé e rivelarsi, ed asserire la propria esistenza nel mondo>> (Basile, 2004).

Egon Schiele, "Madre e bambino", 1912 (dalla mostra "La creazione ansiosa da Picasso a Bacon", Verona, 13.09.03-11.01.04)

 

 Rivista Frenis Zero

"Arteterapia in età evolutiva. Il caso di Simone"

di     Tonia Basile

Simone ha dieci anni, nasce a Napoli per trasferirsi presso una casa famiglia a Taranto, dove è stato accolto con i suoi fratelli minori dal momento che i genitori (entrambi tossicodipendenti) non potevano offrire cure adeguate ai propri figli. Questo è il secondo istituto in cui viene ospitato.

Dal racconto della psicologa e dell’educatrice della casa famiglia dove S. è attualmente ospite, emerge che S. ha vissuto in una casa molto piccola (un monolocale) e che ha vissuto “direttamente” la tossicodipendenza dei genitori. S. conosce, infatti, come si prepara la droga e lo stato di “benessere” che si prova avendo visto i suoi genitori.

Durante la primissima infanzia S. è stato spettatore della relazione extraconiugale che la madre instaura con un uomo con il quale è costretto ad uscire e a chiamare zio. Assiste, inoltre, ai litigi ed alle “botte” che seguono la scoperta, da parte del padre, di questa relazione. S. in queste occasioni si nasconde sotto il letto.

E’ inoltre, vittima di un incendio causato dall’incuria della madre. Infine, in un’occasione sembra che la madre volesse buttarlo giù dalla finestra e che il padre glielo abbia impedito. La valutazione che la psicologa della prima casa famiglia dove S. è stato ospite, è di un bambino affettivamente deprivato, agitato, con instabilità psicomotoria e con manifestazioni di isolamento.

La madre ha lasciato la comunità terapeutica alcuni mesi prima di terminare il percorso di recupero tornando a Napoli con un nuovo fidanzato dal quale ha avuto un bambino.

Durante la sua permanenza in comunità ha mantenuto i contatti con i figli. Tuttavia, lasciando la comunità i suoi contatti telefonici sono divenuti sempre più infrequenti. La psicologa, dell’attuale casa famiglia nonché della comunità terapeutica, afferma che S. è sempre stato tenuto al corrente dalla madre di quello che accadeva, anche della nuova nascita.

Da quando ha lasciato la comunità, tuttavia, i contatti sono divenuti sempre più rari: è dal settembre 2002 che non si hanno più notizie di lei. S. sembra soffra molto dell’assenza della madre anche perché per lui sua madre è “un bellissimo angelo e io le voglio molto bene”.

Il padre ha terminato il suo percorso in comunità. Vive a Taranto e si occupa delle pulizie presso l’asilo parrocchiale dove si svolgono le sedute. Spesso, infatti, abbiamo iniziato le sedute mentre il padre di S. finiva le pulizie delle aule. Il padre si presenta come una persona socievole che tiene ai suoi bambini. Infatti, questi è l’unico contatto concreto sia per S. che per i suoi fratelli pur non vivendo con i suoi figli.

Il rapporto tra S. e i fratelli è tranquillo solo di tanto in tanto ci sono dei “normali litigi tra fratelli” tra S. e Roberto (secondo genito).

Da alcuni mesi S. presenta un comportamento diverso: è irrequieto soprattutto da quando ha saputo che la madre che lui adora è andata via e che ha messo alla luce un altro fratellino; a scuola i suoi insegnanti si sono lamentati perché non studia “occulta i compiti”; inoltre gli operatori sono preoccupati dalle sue manifestazioni “femminee”.

Su richiesta della psicologa delle casa famiglia ho seguito S. per circa un anno: incontravo S. una volta a settimana presso la casa famiglia e insieme andavamo all’asilo portando con noi il materiale occorrente.

L’obiettivo principale era di consentire l’emergere di sentimenti e emozioni e, quindi, rielaborare il suo vissuto rispetto alla madre.

Al primo incontro S. si presenta gentile, affabile e ben educato. Appare tranquillo e desideroso di cominciare.

Parla moltissimo e molto velocemente tanto che in alcuni momenti ho fatto fatica a comprendere e ho dovuto chiedere di rallentare.

Racconta soprattutto della madre, del rapporto che ha con lei, di quanto le voglia bene, della sua fuga dalla comunità e del fatto che avrà un altro fratellino. Fa inoltre molte domande e soprattutto chiede di raccontargli cosa facevo con Mario[1] e come si comportava. Sembra avesse bisogno di essere rassicurato sul fatto che potesse essere bravo quanto lui, manifestando il suo bisogno di non deludermi. Questo atteggiamento sembra suggerire una tendenza a compiacere l’altro per sentirsi accettato. Inoltre, le continue domande su M. e la nascita del nuovo fratellino mi hanno fatto pensare in questa prima seduta, al timore di esser messo da parte e quindi alla rivalità fraterna, quasi un bisogno di essere rassicurato del fatto che quello spazio era per lui e che non ci sarebbero stati intrusi e confronti.

I temi emersi quindi nel primo incontro riguardano essenzialmente il suo rapporto con la madre ed il rapporto con il nuovo fratellino e M.

S. parla della madre con un tono tranquillo, senza esternare particolari note emotive e con un apparente distacco.

Questo suo atteggiamento ben educato lo rilevo anche quando S. parla della scuola e del fatto che “occulta i compiti”.

A questo proposito, S. afferma di comprendere che è “una cosa brutta” e che non lo farà più. Anche in questo caso non esprime nessun segno di emotività. E’ come se fosse staccato dai sentimenti.

Questa sua modalità ben educata sembra indicare che pensiero e sentimenti, buono e cattivo, odio e amore nei confronti della madre siano due parti scisse e non integrate che necessitano di un ponte, un collegamento.

A livello di immagini S. sembra esprimere tutto ciò disegnando due montagne su una delle quali ha tre cerchi che mi fanno pensare a degli occhi e ad una bocca. Dagli “occhi” scorre un fiume (di lacrime probabilmente) mentre la bocca presenta una grata come a voler trattenere le parole cattive piene di rabbia. Infatti, dice “sono arrabbiato con lei (la madre)... però io ce l’ho sempre nel cuore” e sull’altra montagna ci scrive mamma ti voglio bene.

Quindi scrive e ripete a memoria una poesia prestando molta attenzione a scriverla in bella calligrafia e a non uscire fuori dai margini: sembra voler suggerire che per essere voluto bene si deve sforzare di essere un bravo bambino.

Racconta la poesia molto velocemente, e si innervosisce quando si blocca quasi avesse paura di perdere il filo. La poesia parla di un inviato speciale che gira per il mondo e vede molte realtà e gente diversa e conclude dicendo che “tutti i popoli della terra hanno dichiarato guerra alla guerra”. Queste parole a livello simbolico sembrano suggerire il suo desiderio di voler placare il conflitto interno, la sua guerra interna; ma l’unico modo da lui conosciuto sembra essere legato all’emergenza.

In questo primo incontro sembra che S. abbia trasferito su di me i sentimenti negativi nutriti nei confronti della madre che è andata via abbandonandolo e sostituendolo con un altro bambino. Anch’io come la madre ho sostituito M. con S.

Vivendosi come il sostituto di qualcun altro, S. mette in atto un comportamento da bravo bambino sforzandosi di essere quel qualcun altro per poter riconquistare l’affetto e le cure materne.

S. non può, quindi, manifestare la sua rabbia nei confronti dell’oggetto materno, tanto da far finta che non sia accaduto nulla e, quindi, di parlarne senza esternare particolari emozioni, o, come riferisce in alcune sedute successive, da sentirsi in colpa anche solo all’idea di dire alla madre che è stato deluso da lei.

E’ evidente l’emergere in S. di un conflitto relativo alla sua dipendenza (sono arrabbiato con lei… ma ce l’ho sempre nel cuore… mamma ti voglio bene). S. sembra riconoscere la sua rabbia, verso la madre, ma teme che la violenza di questo sentimento possa attaccare l’oggetto e distruggerlo.

Il conflitto si evidenzia in maniera concreta nella quarta seduta, successiva al Natale, in cui S. è molto arrabbiato con la madre non ha mantenuto la promessa che di andarlo a trovare per le feste. S. usa ancora la relazione con la madre per esprimere l’odio che non può ancora essere espresso all’interno del transfert (anch’io mi sono assentata durante le vacanze). Quando gli propongo di simulare una telefonata in cui tirare fuori la sua arrabbiatura, lui disperato dice “non posso dirle che sono arrabbiato perché poi piange…. Ho mal di testa mal di stomaco e mi viene da vomitare…. Non ce la faccio più voglio morire”. Questo tema ritorna sotto forma di indovinello alcuni mesi più tardi: un uomo deve attraversare un fiume immenso pieno di coccodrilli per portare i fiori sulla tomba della moglie. Nonostante gli proponga diverse soluzioni logiche, nessuna sembra adeguata. L’unica via per poter raggiungere l’altra sponda è quella di tuffarsi nel fiume, farsi mangiare dai coccodrilli, morire e andando in cielo può dare i fiori alla moglie. Sembra che S. debba venire a contatto con tuta la sua rabbia per poter elaborare il lutto legato alla separazione precocemente sperimentata.

La sua rabbia ed il suo odio comincia ad essere percepita nelle sensazioni fisiche (mal di testa, mal di pancia, vomito). La rabbia nei confronti della madre viene rivolta verso di sé come a volersi punire. L’unica via d’uscita ipotizzabile è la morte. Non potendo assumere la sua rabbia sembra che S. venga privato del suo essere più vitale. E’ come se solo morendo egli potesse permettersi di essere se stesso.

Durante questa prima fase S. ha preso subito contatto e confidenza con i materiali. In particolare, i suoi materiali preferiti sono i pastelli e pennarelli. In alcune occasioni ha utilizzato i colori a dita ed in un’unica occasione la creta.

Pennarelli e pastelli sono i suoi preferiti probabilmente perché più controllabili. L’uso della creta e dei colori a dita possono, infatti, evocare sensazioni arcaiche, primitive collegabili ad un immaginario materno che S. ha molta difficoltà a contattare. Evocano, inoltre, emozioni forti e dirompenti difficili per S. da controllare. Nelle poche occasioni in cui S. ha utilizzato i colori a dita era piuttosto preoccupato di sporcarsi, e, quando lo ha fatto, il suo sguardo mostrava terrore.

Il tema dello sporco appare nella sesta seduta. In questa seduta S. utilizza la colla e i colori a dita con cui si dipinge la faccia, ed alla fine gli dico che sembra un indiano mentre lo aiuto a specchiarsi nello specchio del bagno. Lui ride prima sorpreso, poi sempre più forte, tanto che la sua risata sembra isterica, mentre il suo sguardo appare terrorizzato. Vuole però essere rassicurato che il colore verrà via e che a me non faccia schifo. Subito dopo si preoccupa per aver sporcato la stanza che il padre ha appena finito di pulire “se la trovano sporca cosa diranno di mio padre”. Chiede quindi di essere aiutato a pulire.

Nel rassicurare lui anch’io mi sono sporcata le mani per mostrargli che era possibile pulire. Desideravo trasmettere a S. possiamo permetterci di sporcarci come di arrabbiarci ed insieme trovare delle soluzioni.

Nella fase centrale de nostro lavoro S. percepisce una maggiore fiducia nella nostra relazione consentendosi, così, di lavorare su contenuti più articolati. E’ questo il momento in cui compare la figura del Mago Trullalli. E' un mago nero e cattivo ed è lui che fa fare quelle cose cattive a S.

Il Mago Trullallì fa la sua prima comparsa nell’unica seduta in cui S. ha utilizzato la creta. Quel giorno era preoccupato perché ci sarebbero stati i colloqui, nonostante avesse preso, nell’ultimo periodo, dei voti buoni.

In questa seduta S. manipola, infatti, un pezzetto di creta ottenendo diverse forme: un serpente in cui infilza una matita per farci gli occhi; una parrucca che si poggia sulla testa come fosse uno chignon e chiede di specchiarsi. Dopo essersi specchiato disegna un volto con la creta sullo specchio che lui dice essere “il mago Trullallì che è cattivo e ammazza tutti con la sua puzza e con i suoi scorreggi” e ricorda il film di Michael Jordan che aiuta una squadra di basket di bravi cartoon a vincere contro i cattivi mostri puzzolenti.

In questa fase S. porta  la sua parte cattiva attraverso il personaggio del mago nero e dei mostri. Attraverso il gioco simbolico la parte cattiva di S. può essere accettata, ridimensionata e articolata in una storia.

Il mago Trullalli viene distrutto durante la seduta: S. ne prende dei pezzi, li appallottola e li lancia contro il muro, gioco al quale mi chiede di partecipare. Attraverso questo gioco, sembrava che S. volesse constatare di riuscire a gestire la sua rabbia e la sua cattiveria. Del mago rimane solo il naso ed S. lo vuole portare via anche se non è asciutto. E’ probabile che S. non potesse lasciare una parte così puzzolente e cattiva nel nostro spazio così come nel suo modo interno per timore di danneggiarmi.

Nella sua seconda manifestazione, il Mago è un palloncino che S. gonfia e nasconde sotto la maglia. Prima di fare questo mi parla di Napoleone ripetendomi la lezione che aveva imparato, fino agli ultimi fatti di cronaca riguardanti la guerra in Iraq, di Bush e Saddam (rispettivamente un guerrafondaio e un dittatore). Chiede se ci sarà un bombardamento e cosa si rischia con la bomba atomica. Nel frattempo manipola il palloncino (mago) finché non ci si siede sopra e lo scoppia. Simbolicamente sembra che il mago, la sua parte cattiva, sia la bomba atomica che non si sa quando e se esplorerà e non si sa cosa potrebbe provocare.

L’immagine prodotta in questa seduta mostra delle bombe atomiche che cadono vicino ad una casa. Dopo essersi complimentato con se stesso del suo bel lavoro ricopre l’immagine con il nero quasi a volerla annullare. Tuttavia, sembra che S. possa ora permettersi di essere cattivo, e di non dover produrre delle immagini belle.

La fase centrale è stata, quindi, caratterizzata da un lavoro attorno alla rabbia che nelle prime fasi della relazione S. doveva tener fuori. E’ come se, nella prima fase, S. avesse avuto paura che la sua cattiveria potesse divenire distruttiva ed inarrestabile.

S. esplicita questo suo conflitto in un’immagine in cui parla della sua capacità di fare l’uovo sbattuto con il giallo ed il rosso che rispettivamente rappresentano il dolore ed il sangue delle vittime di una guerra. E in alcune sedute successive ripropone questo tema come una sensazione interna che si manifesta nello stomaco: S. accenna così ad un dolore non pensabile.

Nella stessa seduta prende il cartoncino rosso e con i colori a dita comincia a lavorare. Usa i pennelli perché “… non mi voglio sporcare”. Mi chiede di essere la spettatrice bambina di Art attack, lui, invece, è il conduttore che mostra ai bambini come fare. Gli dico che il la sua immagine assomiglia a delle colline con il sole al tramonto e lui mi chiede il perché del tramonto gli rispondo che la sensazione del tramonto me la da il rosso del cartoncino. Allora prende del giallo e disegna il sole tra le colline con movimenti ritmici del pennello e dice “io sono bravo a fare l’uovo sbattuto”. A questo punto che compare di nuovo il mago Trullallì.

Questa volta, a differenza delle altre, mi descrive il mago. E’ tutto nero ed è cattivo e fa le magie cattive ed è lui che fa fare le cose (cattive) a S. Nessuno può vederlo tranne lui perché il mago è invisibile. Prende un pezzo di cartoncino che aveva ritagliato prima lo dipinge di giallo e lo appiccica sul sole.

Alla fine della seduta, dopo aver impastato diversi colori (prende quindi un bel po’ di giallo e di rosso e dice “ci faccio l’uovo sbattuto…questi sono dei colori cattivi… il giallo è il dolore ed il rosso il sangue delle vittime”) dichiara di essere lui stesso Trullallì.

Dopo essersi divertito ad impastare i colori, S. sembra preoccupato perché si sta sporcando e che anch’io mi sporchi. Mi avvicino a lui e mi dice “…non ti avvicinare altrimenti ti faccio male”, Gli dico “se sei un mago potresti fare una magia buona” ma lui dice che non può. Allora mi avvicino e gli dico che io vengo da un altro pianeta quello della magia buona e che non può accadermi nulla anche se mi sporca”. S. prova ad avvicinarsi provocandomi con le mai sporche poi con tono disperato dice “voglio lavarmi, mi sono sporcato tutto”.

A questo punto S. può riconoscere come propri gli aspetti proiettati e attribuiti al mago. Questo processo implica il dolore di riconoscere in sé sentimenti contrastanti e  la difficoltà di metterli in rapporto tra loro. S. comincia quindi a nominare la sua paura e fragilità. E’ questa stessa paura che nelle mie risposte controtransferali mi induce a vestirmi da maga buona che con la bacchetta magica risolve tutto.

In una delle ultime sedute tornando a casa porta con se del polistirolo da imballaggio e lo butta per aria dicendo che è neve e poi aggiunge “…è Natale. Oggi è natale nel paese del mago Trullalli e festeggiano ci sono anche i regali”. Sembra che S. cominci a poter riconoscere una parte buona e giocosa.

In questa fase S. ha inoltre espresso il desiderio di non essere trattato come un bambino. S. si lamenta, infatti, che non vuole più venire perché l’asilo è un posto per bambini, i tavoli sono per bambini e che certe mie proposte come il chiedere ai disegni di parlare è da bambini.

Alla proposta di come avrebbe voluto fosse l’ambiente della seduta ed il clima S. sembra si senta libero di dire che vuole un momento per il gioco, uno per lo studio; un luogo dove sia possibile la convivenza tra la parte bambina e quella adulta.

Dopo questa seduta S. lascia più volentieri a me i suoi lavori “perché può succedere che in casa famiglia me li rovinino”, diventa più possibile conservare i disegni ed i contenuti della seduta, il luogo diviene così un contenitore.

Intorno alla fine dell’estate è stata stabilità, in accordo con le esigenze della casa famiglia, di terminare il lavoro con S.

Nel periodo, prima della terminazione, ritornano i riferimenti a M.”come hai già fatto l’anno scorso con M., poi hai preso me a settembre prendi un altro bambino”. Queste associazioni suggeriscono un riferimento al fratello. Riaffiora una forte ansia di separazione. A questo proposito ci sono state un paio di assenze da parte sua senza alcun preavviso. Quando riferisco a S. che mi era dispiaciuto non vederlo mi dice che invece a lui non è dispiaciuto e che anzi andare all’estate ragazzi è stato più divertente. Gli ho comunicato che ci saremmo rivisti a settembre per altri tre incontri in cui salutarci.

In questi ultimi tre incontri sono riaffiorate le modalità di relazione con la madre e la sua ansia relativa a promesse fatte e non mantenute.

In questo momento anche nelle mie risposte controtransferali  è emersa una certa rabbia nei confronti dell’Istituzione che non mi permetteva di continuare il lavoro con S.

Nel mio controtransfert è emersa la stessa rabbia di S. nei confronti dell’Istituzione facendomi sentire che non potevo essere la maga buona.

Nel restituirgli i suoi lavori, infatti, S. prende quasi tutto tranne l’immagine dell’uovo sbattuto, probabilmente perché non ha sentito, come allora, che la maga buona (il terapeuta) poteva contenere i suoi sentimenti aggressivi. A ciò si sono associati diversi attacchi al setting: il dire “è più divertente l’estate ragazzi”, il fare la cacca durante la seduta, evidentemente per scaricare in qualche modo la sua aggressività e dire in maniera simbolica esisto anch’io.

L’ansia di separazione conduceva S. a sentimenti di rabbia lasciandolo confuso sia rispetto a cosa sarebbe accaduto che alla propria adeguatezza, riattivando, così, i suoi problemi rispetto alla dipendenza.

Ciò si è rivelato soprattutto durante gli ultimissimi incontri in sui S. non ha prodotto immagini, ma abbiamo passato il tempo giocando a fiori, frutta, cantanti e città (si sceglie una lettera e bisogna trovare il fiore la frutta ecc. con quella lettera).

In questi incontri era evidente il suo bisogno di vincere e per farlo poteva anche barare, esprimendo, in questo modo, il suo bisogno di essere riconosciuto ed, allo stesso tempo, che fossero riconosciuti ed accolti i suoi sentimenti e bisogni.


[1] L’anno precedente ho seguito un altro bambino della casa famiglia: Mario. Ho lavorato con lui per un intero anno svolgendo le sedute in casa famiglia, perciò S. mi conosceva.

 

         
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