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MEDICI CHE UCCISERO I LORO PAZIENTI. 

 

Recensioni bibliografiche 2003  

 

di Luigi Benevelli 
  Recensioni bibliografiche 2004 

   

Luigi Benevelli, medico psichiatra, già responsabile del Dipartimento di Salute Mentale dell'Azienda ospedaliera di Mantova, già deputato al Parlamento Italiano, è vice presidente dell'Istituto di Storia Contemporanea di Mantova.
Recensioni dalla stampa 2003
Il presente articolo è estratto dal libro "Medici che uccisero i loro pazienti. Gli psichiatri tedeschi e il nazismo", edito da Mantova Ebraica, e pubblicato col contributo del Coordinamento per il Giorno della Memoria di Mantova 2005. Si ringrazia il dott. Benevelli per aver acconsentito la pubblicazione sul sito dell'A.S.S.E.Psi. di questo estratto.

 

                 Rivista Frenis Zero Foto: Il Ghetto di Venezia
Dalla introduzione del libro:

coloro che non possono

ricordare il passato

sono condannati a ripeterlo"

Santayana (1905)

 

Ringrazio il comitato mantovano che organizza le iniziative de il "giorno della memoria" di aver accolto la proposta di dedicare l'appuntamento del 2005 alle vicende che, nei territori del Reich hitleriano, portarono dal 1933 al 1945 alla sterilizzazione coatta di centinaia di migliaia di persone e alla soppressione poi, delle vite "indegne di essere vissute" di decine di migliaia di bambini ed adulti disabili, con gravi handicap o disturbi mentali . I percorsi decisionali, gli schemi, le procedure burocratiche e le tecniche sperimentati e collaudati nel corso di questo massacro organizzato furono di riferimento per la "soluzione finale" simboleggiata da Auschwitz-Birkenau.

Dal 1968 ho lavorato nei manicomi di Castiglione delle Stiviere e in quello di Dosso del Corso di Mantova e ho vissuto con impegno e passione le stagioni della "umanizzazione della psichiatria", della costruzione delle alternative all'istituto manicomiale fino alla sua chiusura ed all'affermazione dei servizi di salute mentale che si rifanno alle culture professionali ed organizzative della cosiddetta "Psichiatria di Comunità". I temi del rispetto della dignità della persona, dei diritti di cittadinanza di chi soffre di disturbi mentali gravi sono stati centrali nella mia esperienza professionale e nell'insieme del movimento di lotta contro il manicomio diffusosi nell'Europa Occidentale e nel Nord America, USA e Canada, a partire dagli anni '60 del secolo appena trascorso. Sapevo che il movimento di cui facevo parte traeva ispirazione e ragioni dalla dolorosa riflessione su quanto era accaduto ad Auschwitz, una riflessione che aveva portato nel 1948 alla Dichiarazione di Ginevra della World Medical Association, l'Associazione Mondiale dei medici e alle altre elaborazioni maturate in organismi internazionali dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Ma io, insieme a molti altri, ero quasi del tutto inconsapevole di quanto era accaduto dal 1933 al 1945 in Germania con il contributo determinante della psichiatria tedesca. La mia ignoranza di quei fatti fu certamente favorita dalla scarsa conoscenza della lingua tedesca.

Al riguardo, non è casuale che fra i primi a scrivere in Italia di quei terribili eventi fu Agostino Pirella, lo psichiatra che dopo aver lavorato all'Ospedale Psichiatrico provinciale di Mantova, andò a Gorizia agli inizi degli anni '60 con Franco Basaglia e fu protagonista delle vicende della "rivoluzione psichiatrica" italiana. Pirella, che conosce bene il tedesco, fu invitato da Basaglia a visitare con lui nel 1963 il manicomio di Guetersloh, famoso per l'organizzazione delle attività cosiddette "ergoterapiche" A quella prima visita seguirono altri incontri con psichiatri e intellettuali tedeschi e Fogli di Informazione , la rivista del movimento di "Psichiatria Democratica" è stato l'unica rivista psichiatrica italiana a dare con continuità notizie, pubblicato atti di convegni sui luttuosi avvenimenti della psichiatria tedesca al tempo del nazismo.

Nel 1967 Feltrinelli traduce e pubblica in Italia il libro di Alexander Mitscherlich e Fred Mielke Medicina disumana. Il volume che riporta parzialmente cronache e documenti del processo di Norimberga contro i medici nazisti (dicembre 1946- estate 1947), era stato pubblicato in Germania nel 1949. La sua prima edizione, tirata in 10.000 copie, fu riservata all'Ordine dei medici della Germania Occidentale e per incanto era sparita dalla circolazione.

Bisogna attendere gli anni '90 perché si sviluppino ricerche anche in Italia, per merito soprattutto degli psichiatri triestini Bruno Norcio e Lorenzo Toresini che promuovono con l'Associazione Alpe Adria per la salute mentale il convegno di Monrupino (TS) nel febbraio 1993. Seguì nel marzo 1995 il convegno di Bolzano su "Follia e pulizia etnica in Alto Adige" al quale partecipa lo psichiatra tedesco Klaus Dorner, autore dell' importantissimo Il borghese e il folle- storia sociale della psichiatria. Nel suo intervento, ricco di informazioni, egli racconta che nella Germania Occidentale, "a partire dal 1980, sempre più ospedali psichiatrici e strutture per pazienti psichiatrici iniziarono un nuovo approccio. Vale a dire: all'interno di molti ospedali psichiatrici si mise in moto un piccolo gruppo di interesse per l' argomento, formato da medici, psicologi, assistenti sociali e infermieri che hanno cercato di riconsiderare la storia della propria istituzione nel periodo del nazionalsocialismo Si creò quindi un movimento di storiografi non professionisti. Un movimento che dagli storiografi professionisti fu visto con molto scetticismo e diffidenza. Oggi si può dire che praticamente tutti gli ospedali psichiatrici hanno analizzato la propria storia. Attualmente ( siamo nel 1995- n.d.r) sto raccogliendo tutte queste pubblicazioni, che sono tantissime. Si tratta di circa "tre metri" di pubblicazioni avvenute negli ultimi quindici anni. Prima non ne era apparsa nessuna. (…)

A partire dal 1983 si formò in Germania un gruppo di lavoro di storici non professionisti finalizzato a portare avanti l'analisi dell'eutanasia nazista. Essi effettuarono scambi di opinioni e cercarono di affrontare assieme alcun problemi di ordine metodologico. A tale gruppo si aggiunsero due o tre storici "professionisti". Tuttavia, dal punto di vista storiografico, da parte dei professionisti é tutt'oggi non è uscito nulla sull'argomento. E Dorner racconta un aneddoto:

"In quel tempo la personalità più nota fra gli storici di professione che si dedicavano alla ricerca sul nazionalsocialismo era il professor Martin Brauschart, un uomo molto intelligente e serio e a cui dobbiamo molto. Una volta, lo andammo a visitare a Monaco, e gli chiedemmo come mai la storiografia ufficiale tedesca non si interessasse del fenomeno dei crimini dei nazisti contro malati di mente e gli handicappati psichici. La risposta da parte del nostre interlocutore fu molto candida, e per tale motivo ancor più credibile. Gli storici, fu la risposta, avevano ritenuto che ad occuparsi di tale argomento dovessero essere gli istituti di storia della medicina all'interno delle facoltà mediche. Egli tuttavia, sapeva anche che detti istituti non si stavano occupando dell' argomento, ma la cosa, non lo disturbava gran che". Da questo episodio traemmo la conclusione che era vero che in Germania l'elemento portante della storia era sì la società, che tuttavia ciò era vero con l'esclusione di alcuni gruppi che evidentemente si riteneva non facessero parte della società stessa".

Nel 2000 è stato pubblicato e tradotto in italiano il libro di Alice von Platen Il nazismo e l'eutanasia dei malati di mente. Alice von Platen aveva collaborato con Alexander Mitscherlich ed aveva pubblicato il suo volume in Germania ancora nel 1948. Anch'esso era sparito dalla circolazione e solo nel 1993 fu ripubblicato diventando un best-seller.

La vicenda del libro della von Platen conferma la testimonianza di Corner, documenta il silenzio e la rimozione della memoria nei decenni trascorsi dopo i drammatici eventi.

Anche in Italia è accaduta la stessa cosa. Sono stati operatori e psichiatri triestini, tirolesi, trentini, austriaci sloveni e tedeschi a lavorare per primi a scavare, ricostruire il succedersi degli avvenimenti.

Nel corso degli ultimi dieci anni sono andato raccogliendo e conservando quanto veniva pubblicato sull'argomento sulle riviste psichiatriche in lingua italiana e sulle riviste mediche e psichiatriche in lingua inglese. Non conoscendo il tedesco, non ho potuto accedere alle riviste austriache e tedesche e sono consapevole del fatto che questo costituisce certamente un limite notevole nella mia documentazione.

In questo testo presento una rassegna del materiale raccolto. Ho cercato di collegare la ricostruzione di natura propriamente storica con la documentazione della riflessione critica ed autocritica che è venuta maturando dal campo della professione psichiatrica nella quale sta assumendo sempre maggiore rilevanza il segno della bioetica.

Gli interrogativi più inquietanti non sorgono, per me, dall'antisemitismo e dal fatto che uno stato totalitario e razzista abbia organizzato il genocidio :forme di pulizia etnica sono continuate ad accadere anche dopo Auschwitz, anche in Europa. Sappiamo e dobbiamo combatterli, e si può fare anche con efficacia.

Negli anni del primo dopoguerra, gli psichiatri tedeschi, nella loro maggioranza, avevano identificato una tipologia di pazienti definiti "cronici irrecuperabili", la cui assistenza risultava costare molto, troppo, rispetto alla quantità di risorse disponibili e alle scarse o nule possibilità di miglioramento o guarigione. La decisione di eliminare queste vittime potenziali, come ricorda lo storico inglese Michael Burleigh, fu assunta dalla élite politica nazista, ma molti psichiatri parteciparono al lavoro di selezione delle persone da eliminare e di messa apunto delle procedure e delle tecniche di uccisione.

Quanto è accaduto con la soppressione delle vite "indegne di essere vissute", infatti, è potuto accadere perché medici, psichiatri, infermiere ed infermieri hanno attivamente collaborato per programmare, dirigere e gestire l'uccisione dei pazienti loro affidati. Il che vuol dire che operatori sanitari hanno potuto, e potrebbero ancora, occuparsi di persone con gravi disabilità, non autosufficienti, con grandi difficoltà nella vita quotidiana nutrendo un totale disprezzo per la loro dignità e la loro integrità. Persone cui non si riconosce la dignità di soggetti, ridotte a "diagnosi", a "casi". Per quasi venticinque anni gli ostacoli frapposti, gli imbarazzi, i silenzi, gli sforzi per nascondere le responsabilità dei medici e degli psichiatri impegnati nelle campagne di sterilizzazione coatta e di "eutanasia", hanno avuto successo e come si documenta, chi voleva sapere, alzare il velo è stato a volte allontanato e discriminato. Così ancora oggi nella stragrande maggioranza dei trattati di psichiatria e nei testi di storia della psichiatria disponibili manca il racconto di quanto accadde in Germania dal 1933 al 1945 in nome, tragicamente, del progresso di una nazione e della salute (anche mentale) dei suoi cittadini.

Ai coraggiosi che hanno operato per la verità e la memoria va la mia riconoscenza e il mio ringraziamento perchè mi hanno aiutato a capire.

Alle centinaia di migliaia di vittime violate, torturate, seviziate nei corpi, anche dopo morte, vanno il ricordo e la pietà commossa di tutti noi.

Che l'internamento manicomiale abbia fine in tutto il mondo.

Luigi Benevelli

Mantova, 27 gennaio 2004

 

 

                  Maitres à dispenser La questione eugenetica durante il fascismo.

 

 

  
 

 

 

 

 

3) il concetto di razza è un concetto puramente biologico (...)

6) Esiste ormai una "pura razza italiana" (...)

7) E' tempo ormai che gli italiani si proclamino francamente razzisti (...)

9) gli ebrei non appartengono alla razza italiana (...)

10) i caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in alcun modo (...)

 

4 dei 10 capoversi del "Manifesto del razzismo italiano" in "La Difesa della Razza" 5 agosto 1938

(fra i sottoscrittori il prof. Arturo Donaggio presidente dell'associazione degli psichiatri italiani)

  Foto: il Ghetto di Venezia

Anche in Italia, come in Europa e negli Stati Uniti degli anni Venti, si discuteva pubblicamente della possibilità d dell'"utilità" dell'"eutanasia". Come  ricostruisce Agostino Pirella1, "in Italia il nascente fascismo cerca di organizzare, con successo, medici e psichiatri, secondo una ideologia razzista, legata alle dottrine psichiatriche della degenerazione umana. Nel 1927 viene fondato l'"Archivio fascista di medicina politica", esplicitamente orientato alla "difesa della razza". 

Nel 1929 viene organizzato il 1° Congresso nazionale  fascista dei medici manicomiali. Dalla lettura delle relazioni l'assenso al nuovo regime fascista (...) sembra totale. (...) In particolare Leonardo Bianchi2, "padre" della legge "sui manicomi e gli alienati" del 1904, si lascia andare ad una requisitoria nei confronti di "idioti, imbecilli, epilettici, criminali, deboli di spirito, nevrastenici gravi, morfinisti, cocainisti, uomini frivoli ed insignificanti, i quali portano lo spirito del male, che è negativismo, nelle famiglie e negli ambienti sociali". Tutti questi soggetti rappresenterebbero una "minaccia", "forme iniziali della degenerazione umana" contro cui già si era levato, secondo Bianchi, un "allarme da parte di Morel, Maudsley, Griesinger e tanti altri".

Tuttavia in Italia, più che di eugenica "qualitativa" è più giusto parlare di una eugenetica "quantitativa" "in chiave popolazionista", di potenza del numero, di virilità prolifica e maternità feconda": di qui una medicina usata a sostegno di una politica demografica espansiva, tassa sul celibato, esenzioni fiscali e assegni per le famiglie numerose, le misure di polizia per combattere lo "sterile urbanesimo", le misure  restrittive dell'emigrazione, la repressione dell'aborto e della contraccezione"3. Gli igienisti promuovono nei "primi anni '30 una vasta normativa in materia di prevenzione dell'alcoolismo, della sifilide, della  tubercolosi, della mortalità infantile, della malaria, del cancro, dell'abuso di stupefacenti4

In Italia il Fascismo varò nel 1938 e successivamente, un complesso di provvedimenti di eugenetica  "qualitativa" che la storica C. mantovani definisce di "razzismo coloniale"5 ed altri a difesa della integrità della "razza italiana" e a discriminazione degli ebrei":

- il Regio decreto-legge 5 settembre 1938 n.1390, contenente provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista;

- il Regio decreto-legge 17 novembre 1938 n.1728, recante provvedimenti per la difesa della razza italiana

- il Regio decreto-legge 15 novembre 1938 n.1779 relativo all'integrazione e al coordinamento in un unico testo delle norme emanate per la difesa della razza nella scuola italiana

- il Regio decreto-legge 5 settembre 1938 n.1539 concernente l'istituzione presso il Ministero dell'interno, del Consiglio superiore per la demografia e la razza

- il Regio decreto-legge 23 settembre 1938 n.1630 concernente l'istituzione di scuole elementari per fanciulli di razza ebraica

 

I decreti-legge, dopo l'approvazione da parte della Camera e del Senato del Regno, ispirarono una grande quantità di circolari e disposizioni amministrative da parte dell'amministrazione statale per la loro piena applicazione6

Nel territorio del Regno d'Italia non furono condotte campagne di sterilizzazione né attività paragonabili a quelle eutanasiche volute da Hitler nel 1939.

Per quanto riguarda gli anni della seconda guerra mondiale, Pirella parla di una "eutanasia passiva, strutturale". Egli riferisce che in Francia, il governo collaborazionista di Vichy favorì l'applicazione "dolce" di metodi di sterminio, che produssero negli ospedali psichiatrici francesi 40.000 morti. Le testimonianze raccolte dimostrerebbero una trascuratezza voluta nell'alimentare e nell'assistere pazienti per la cui cura sostanzialmente non valeva la pena impegnarsi. Pirella sostiene che "un'analoga condizione  si è verificata molto probabilmente in Italia nel corso dell'ultima guerra. (...) Le ricerche condotte nell'immediato dopoguerra hanno evidenziato che negli ospedali psichiatrici italiani sono morti, nei sei anni di guerra 1940-1945, 56.346 pazienti pari al 10.72% di tutti gli assistiti. Nei sei anni precedenti 1934-1939 i morti furono 32.873 pari al 5.88% degli assistiti. (...) Il numero degli assistiti è rimasto stabile nei due periodi, anzi si è avuta una lieve diminuzione (da 558.110 a 525.506), mentre il numero delle ammissioni è aumentato dell'1,22% (da  146.438 a 148.228). Infine le dimissioni sono aumentate del 7% (da 99.731 a 106.809). Pertanto si può sostenere che l'aumento della mortalità (4.84%) possa essere dovuto a fattori diversi che non l'aumento degli assistiti, e delle ammissioni o la diminuzione delle dimissioni.

Questi fattori possono autorizzare ipotesi di eutanasia passiva. Si può osservare che in diversi ospedali si sono avuti tassi di mortalità particolarmente elevati, come era stato verificato anche in Francia. Nell'ospedale psichiatrico di Teramo la mortalità passa dal 7.8% al 27.7%". Vengono escluse cause come bombardamenti o eccidi e sono indicati i seguenti fattori: limitazione della razione alimentare, del riscaldamento, del vestiario e dei medicinali.

 

 

Note dell'autore:

 

1) A. Pirella, Psichiatria europea, "eutanasia", sterminio, collana <<Fogli di Informazione>> n.10, 1994, pp. 51-52.

2) Leonardo Bianchi fu autore del trattato Eugenica, igiene mentale e profilassi delle malattie nervose e mentali, Napoli, 1925.

3) C. Mantovani, Rigenerare la società, Rubbettino ed., Soveria Mannelli, 2004, pp. 273 e 275.

4) Ibid., pp.266-267.

5) Ibid., nota a pag. 348. Si tratta della legge 29 giugno 1939 n.1004 dedicata alla "difesa del prestigio di razza di fronte ai nativi dell'Africa Italiana". Essa conteneva norme fortemente discriminatorie contro i "meticci".

6) Per una puntuale documentazione, vedi AA vari: La persecuzione degli ebrei durante il fascismo: le leggi del 1938, Camera dei Deputati, Roma, 1998.

 

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