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  INTERVENTO DI MARINA BRECCIA AL CONVEGNO "L'IMPRONTA DEL TRAUMA" (Roma, 13-14 dicembre 2008)

 

 

  Siamo grati a Marina Breccia (psicoanalista S.P.I. di Pisa), da poco membro dello "scientific Board" di Frenis Zero, di averci inviato per la pubblicazione il testo di questo suo intervento programmato, presentato al convegno organizzato dal Centro Psicoanalitico di Roma "L'impronta del trauma. Sui limiti della simbolizzazione" (Roma, 13 e 14 dicembre 2008).

 

 
PROGRAMMA

Sabato 13 dicembre

Mattina

Ore 8.30 – 9,00   Presentazione  T. Bastianini “L’impronta del trauma” – Relazione su tema preordinato

Ore9,00 – 9,30  Introduzione P. Cupelloni “L’impronta del trauma” – Relazione su terma preordinato

Coordina: L. Micati

Ore 9,30 – 10,30 S. Bolognini, Trauma Coscienza Contatto. Percorsi integrativi in psicoanalisi Lezione magistrale

Ore 10,30 – 11,00 E. Gaburri, La vergogna e il trauma Relazione su tema preordinato

Ore 11, 00 – 11,30 A. Pascale, La manutenzione del trauma – Relazione su tema preordinato

Ore 11,30 – 12,00 Pausa

Ore 12,00 – 13,30 Dibattito con la sala

Ore 13.30 Pranzo

 

Pomeriggio 

Coordina: P. Cruciani

Ore 15,00 – 16,00 P. Camassa, Il Perdono: come aggirare l'elaborazione del trauma – Lezione magistrale

Ore 16,00 – 16,30 M. G. Fusacchia,  La bambina e la medusa. Trauma sessuale infantile tra realtà e posteriorità – Relazione su tema preordinato

Ore 16,30 – 17,00 P. De Silvestris Il trauma come superamento dell’istinto di morte – Relazione su tema preordinato   

Ore 17.00 – 17, 15 Pausa

Ore 17,15 – 18,45 Dibattito con la sala

 

 Domenica 14 dicembre 

Coordina: P. Marion

Ore 9,00 – 10,00 A. Giannakoulas, Dalla confusione delle lingue al trauma acuto, al trauma cumulativo e all'organizzazione del falso sé Lezione magistrale

Ore 10,00 – 10,30 G. Maffei, Il trauma della bruttezza  - Relazione su tema preordinato

Ore 10,30 – 11,00 L. Russo, Evento e psiche – Relazione su tema preordinato

Ore 11,00 – 11,30 Pausa

Ore 11,30 – 13,00 Dibattito con la sala

Ore 13,00 – 13,30 A. Luchetti  Conclusioni – Relazione tu tema preordinato

Ore 13,30 – 14,00 Questionario

 

 

 

 

 

 


Vorrei partire dalla considerazione che il trauma non è caratterizzato tanto dalla perdita dell’oggetto quanto dalla sua impensabilità e vorrei riprendere un pensiero proposto da Patrizia Cupelloni riguardo all’impensabilità dell’esperienza accaduta all’oggetto perduto nel momento di perdersi.

Questa impensabilità accomuna i soggetti del trauma tanto quanto gli oggetti perduti. Vedo questa comunanza come il presidio analitico  della cura.

Mi voglio calare in alcuni esempi non per un piacere di inquinamento attraverso la storia e la testimonianza sociale, entrambe tuttavia pur così care a Freud, ma per attingere ad un’esperienza viva del reale, che è ciò che rende vivi i nostri pensieri.

Per il sopravvissuto di Auschwitz è impensabile come madri, figli, mogli o semplicemente altri come lui  si possano essere incamminati sulla colonna dex alla ferrovia verso la morte, o essere reclutati nel "Sonderkommando", così per il sopravvissuto cileno è impensabile come il compagno "desaparecido" sia stato torturato fino alla morte per portare  con sé il nome di compagni come lui, come per le donne sopravvissute a Srebrenica  è impensabile che il figlio sia stato ceduto  alle milizie di Ratko Mladic    dai caschi blu olandesi.

La definizione  di “comunanza” dei soggetti per l’impensabilità degli oggetti perduti non fa parte di un approccio di pensiero né sociale  né storico, ma appartiene all’  approccio analitico  che senza voler essere né antistorico, né ingenuamente generalizzante, si basa sui concetti freudiani di identificazione con l’oggetto e di interscambiabilità dell’oggetto.

Io non penso che Freud abbia sottovalutato l’oggetto e la relazione con esso quando affermava che l’oggetto è interscambiabile, al contrario ne abbia dato un valore quanto mai inestimabile affidato alla sua funzione più che alla sua realtà storica. Al di fuori di questa logica rischieremmo di chiuderci in un ghetto del pensiero  per cui ad esempio le funzioni genitoriali verrebbero concepite solo all’interno di realtà storico – biologiche.

Il sistema del dispositivo analitico ci dà conferma che si può ripristinare  e favorire, proprio grazie alla neutralità, l’attività del sistema legante con l’oggetto che favorisce a sua volta il ripristino dei sistemi di identificazione e di interscambio ( l’analisi è la via di elezione per la reintegrazione delle scissioni , diceva Bolognini).

Tutto ciò ha una condizione inevitabile: l’attraversamento della differenza, della differenziazione con Gaburri, del separato da sé, e pertanto della perdita. Il lavoro analitico approda al ripristino del legame con l’oggetto solo riattraversando l’esperienza del lutto nella perdita.

Nei grandi traumi, si ripete a volte senza risolversi un meccanismo simile a quello iniziale del lutto. L’impossibilità a separarsi, se pure in una separazione ineludibile, porta a colmare  il vuoto della perdita con immagini sostitutive dell’oggetto mancante separate da ogni quota ideativa, un’intrusione  ripetuta e sganciata da ogni possibilità di donazione di senso, è dotata di questa sola funzione colmativa. Il binomio piacere dispiacere scorre lungo la forbice evocazione dell’immagine- rappresentazione in maniera parallela e senza soluzione. L’oscillazione si può interrompere solo attraverso il riconoscimento da parte del soggetto di un dono totale all’oggetto perduto, morto, in un processo di sostituzione che viene chiamato in causa dall’oggetto di transfert vivo e che può richiamare  il soggetto, da questa sponda, al ripristino di un legame attraverso l’oggetto con la sua vita psichica, e quindi con la possibilità di rappresentare il dolore. L’attraversamento della perdita fatto dalla coppia analitica implica che venga ceduto al trauma (mi sembra un concetto affine a quanto esprimeva la Micati), e così perduto; qualche cosa che rimarrà irrappresentabile, ma che molti oggetti perduti potranno essere riconosciuti attraverso altri elementi di rappresentabilità, e soprattutto attraverso questa comunanza, assolutamente non ideologica, tra oggetti perduti.  Per cui, parafrasando la storia, potremmo nominare l’olocausto  insieme al genocidio di Srebrenica e ai morti infoibati, senza il timore di una perdita dell’identità, solo perché vengono riconosciuti altri oggetti al di fuori del gruppo di appartenenza, ma anzi rinforzandola secondo l’idea di spettro di de M’Uzan, un’identità che transita dalla filogenesi del soggetto fino all’oggetto.

 

                

 

                    

 

 

 

 

        

 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 
 

 
 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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