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"BREVE STORIA DELLA PSICOANALISI IN ITALIA". Dalle origini alla fine degli anni '70.

 

 

di Contardo Calligaris

 

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Questa "Breve storia della psicoanalisi in Italia" è stata pubblicata da "Il Pensiero Scientifico editore" (Roma) nel 1978 all'interno del volume "Critica e storia dell'istituzione psicoanalitica". Si ringrazia l'autore Contardo Calligaris ed  i responsabili della casa editrice per aver autorizzato la pubblicazione sul sito dell'A.S.S.E.Psi. di questo importante contributo storico.

    News del 2003               
Recensioni dalla stampa 2003   Contardo Calligaris è nato a Milano nel 1948. Si è formato in  filosofia in Svizzera ed ha intrapreso il 'training' psicoanalitico in Francia. E' Dottore in Psicologia Clinica. Insegna alla 'New School for Social Research" di New York ed all'Università di Berkeley negli USA. Attualmente vive tra San Paolo del Brasile e Boston negli Usa.

 

                      Rivista Frenis Zero

Considerando il clima ideologico che esisteva in Italia al momento in cui la psicoanalisi vi si affacciava, si capisce come i suoi inizi non siano stati facili. Prima della prima guerra mondiale (essa stessa fonte di sentimenti anti-austriaci) essa si scontrò da un lato con le teorie organicistiche di Lombroso care agli psichiatri, nonché con la influenza della chiesa cattolica sull'uomo della strada e con l'idealismo filosofico di Croce e Gentile, seguito da molti intellettuali. 

  Foto: Giovanni Gentile

Se, fra la prima e la seconda guerra mondiale essa ha potuto istituzionalizzarsi, il fascismo ha aggiunto alle difficoltà già menzionate quelle dell'antisemitismo e della sua ideologia della sana latinità. E' così che a partire dal 1945, grazie all'aiuto di una sinistra più duttile che altrove (perfino durante la guerra fredda), la psicoanalisi riesce ad affermarsi: vittoria di Pirro, perché, se l'opposizione mitigata della sinistra ha avuto la sua importanza, la vitalità della seconda ondata psicoanalitica in Italia è certo da mettere sul conto dell'impatto della cultura anglo-americana che gli alleati vi portarono negli anni dell'occupazione. Bastano pochi fatti per rendersene conto: il filosofo Gentile, ministro fascista dell'educazione, con la sua riforma del 1923 (riforma che è rimasta fino al 1968 il nucleo del sistema scolastico italiano), soppresse l'insegnamento della psicologia nelle scuole secondarie e, invitando le facoltà a auto-determinarsi nella scelta delle cattedre, provocò la sparizione quasi totale (nel 1940 ve ne furono appena due) delle cattedre di psicologia nelle facoltà di lettere. Furono gli stessi alleati a incitare il governo italiano a restaurare questo insegnamento almeno nelle scuole magistrali.

  

 Foto: Lettera a Giovanni Gentile di Edoardo Weiss, fondatore nel 1932 della Società Italiana di Psicoanalisi, contenente l'elenco delle voci proposte in materia di psicoanalisi per l'Enciclopedia Italana di Scienze, Lettere ed Arti. Accanto a ciascuna voce compaiono annotazioni a matita presumibilmente apportate dalla Direzione scientifica dell'opera (fonte: Archivio storico, Fondo Enciclopedia italiana di Scienze, Lettere ed Arti).

Così, pur riconoscendo che la formulazione che segue implica delle generalizzazioni e qualche schematismo, crediamo che possa costituire l'avvio di un tentativo di abbozzo di una storia della psicoanalisi in Italia: se i suoi primi passi vacillanti risentono (nel periodo fra le due guerre) dell'insegnamento di Freud, i suoi ultimi passi, per essere più rassicuranti rischiarono di perdere Freud per strada e, come si vedrà più avanti, di esporre una psicoanalisi di discendenza anglo-americana alle critiche politiche di una sinistra disposta <<a gettare il bambino insieme all'acqua sporca del bagno>>.

La curva dell'influenza della psicoanalisi in Italia, pur innalzandosi verso gli anni trenta, si spezza bruscamente verso il 1945. Rimane da vedere se questa rottura l'ha portata verso l'alto o verso il basso. 

ALCUNE TAPPE 1

 

Coincidenza singolare: i due primi articoli su Freud in Italia appaiono nel 1908, anno in cui muore Cesare Lombroso: presentazioni nell'insieme positive, ma prudenti e fondate su un'informazione superficiale. Freud ha forse torto nel rallegrarsi con  Abraham per l'unoe con Jones per l'altro3

  Foto del 1918: Freud con E. Jones e con O Rank

Infatti gli autori, L. Baroncini, psicologo, e G. Modena, psichiatra, dimenticheranno presto Freud e, a parte la pubblicazione di due traduzioni di Freud in una  rivista (Die Freud'sche psychoanalytische Methode del 1903-1904 e Das Interesse an der Psychoanalyse del 19134, vi sono stati soltanto alcuni contributi di uno psicologo, R.G. Assagioli, attorno al 1910, e l'interesse pieno di riserve di S. de Sanctis, interesse che alla lettura del Libro dei Sogni in traduzione inglese (1913), veniva liquidato bruscamente nel post-scriptum (del 1909) al primo capitolo. Questo fatto non lo incoraggiò certo a presentarsi come il  divulgatore del freudismo in Italia5

  Foto: R.G. Assagioli

Il quadro giustifica pienamente il commento di Freud in <<Storia del movimento psicoanalitico>> (1914): <<In Italia, dopo qualche inizio promettente, non è scaturito alcun interesse profondo >>. Crediamo poter affermare che, dopo l'inizio della guerra, l'arresto di qualsiasi rapporto con l'Austria non interruppe in realtà nulla di importante.

I sentimenti anti-tedeschi che in quell'epoca  dilagarono6 non potevano in effetti toccare quegli unici Italiani i quali all'inizio del secolo si interessavano effettivamente all'insegnamento di Freud. Questi Italiani erano di fatto degli Austriaci: conoscendo la situazione della città di Trieste si sa che con una popolazione che per il 70% era di lingua e di cultura italiana, essa rimase sotto il dominio austriaco fino al 1918. 

Foto: una veduta di Trieste

 

L'alternativa che si poneva ad ogni cittadino triestino che intendesse intraprendere una formazione universitaria era quella di una scelta fra un titolo italiano non riconosciuto e un titolo austriaco riconosciuto che richiedeva molto spesso uno spostamento a Vienna. Non era dunque sorprendente che all'epoca in cui in Italia si iniziava appena la lettura di qualche traduzione e di qualche riassunto dei riassunti e dei sentito-dire, a Trieste si potesse seguire da vicino il lavoro di Freud. Il primo analista italiano, Edoardo  Weiss, si era formato attorno agli anni 1910 con Paul Federn e Freud stesso a Vienna, da dove tornò nel 1918, medico e membro da cinque anni della Società psicoanalitica viennese.

  Foto: Edoardo Weiss

Alla fine della guerra l'Italia conta un solo analista. La sua presenza doveva subito funzionare come un catalizzatore. In particolare uno psichiatra docente universitario, M. Levi-Bianchini, il quale aveva tradotto nel 1915 nella rivista <<Biblioteca psichiatrica internazionale>> da lui diretta <<Uber Psychoanalyse>> e <<Uber den Traum>> , poteva uscire dal suo isolamento. La rivista che aveva fondato nel 1920 col titolo <<Archivio generale di Neurologia e Psichiatria>> diventò poi <<Archivio generale di Neurologia, Psichiatria e Psicoanalisi>> e Weiss fu chiamato a collaborarvi. Così, al congresso nazionale di <<freniatria>> del 1925 a Trieste, Weiss poté prendere ufficialmente la parola, e Levi-Bianchini con lui, a proposito della psicoanalisi. Nello stesso anno fu fondata la Società Italiana di Psicoanalisi (SIP) e gli atti furono pubblicati nell'Archivio.

  

Foto di Freud con dedica a Marco Levi Bianchini (1921)

Anche se tutto sembrava andare per il meglio per la psicoanalisi italiana a partire da quella data fino al 1938 - periodo che potrebbe essere chiamato della prima ondata psicoanalitica - è anche vero che il suo ingresso sulla scena della psichiatria fu forse precoce. Innanzitutto perché poteva contare su un solo analista e poi perché le mancava un'elaborazione o perfino una presentazione italiana di qualità. Se gli psichiatri che partecipavano al congresso del 1925 avevano come unico riferimento i due volumi di E. Morselli <<La psicoanalisi>>  che furono poi pubblicati l'anno successivo, non c'è da stupirsi che essi fossero poco convinti o, per meglio dire, che si facilitasse il loro allontanamento. Il loro atteggiamento non cambiò neanche quando apparve nel 1930 il primo libro italiano <<serio>> sulla psicoanalisi <<Elementi di psicoanalisi>> di Weiss. Nel 1932 Weiss si trasferì a Roma dove fondò la Rivista Italiana di Psicoanalisi che fu proibita dal regime due anni dopo e incominciò il suo lavoro di formazione di nuovi analisti. Alcuni dei suoi allievi furno quelli che animarono la <<Società Italiana di Psicoanalisi>> dopo la seconda guerra mondiale: C. Musatti, N. Perrotti e E. Servadio. 

   Foto: E. Servadio con E. Weiss

 

Ma l'attività di Weiss era decisamente isolata. Se gli psichiatri non cambiarono atteggiamento nei confronti della psicoanalisi, anche dopo aver avuto la possibilità di un approccio grazie al trattato di Weiss, fu perché capivano bene i rischi di perdita di potere legati ad una professione il cui apprendimento avviene assumendo la posizione di <<paziente>> (non è a caso che Levi-Bianchini, uno dei fondatori della Società Italiana non abbia mai <<sentito>> il bisogno di intraprendere un'analisi). Gli psicologi sperimentali, che già avevano perso terreno dopo la riforma Gentile del 1923, non sentivano alcun bisogno di avvicinarsi per paura che la loro posizione fosse ulteriormente messa in discussione. Unica eccezione: V. Benussi della Università di Padova, eccezione importante perché ha dato luogo a delle lezioni sulla psicoanalisi nel 1925 che ebbero grande influenza su uno dei suoi allievi e suo assistente, G. Musatti, che farà poi parte del gruppo di Weiss.

  Foto: Vittorio Benussi

 Musatti in effetti prese il posto del suo maestro dal 1928 al 1938 e dal 1933 al 1934 tenne una serie di lezioni (le uniche, con quelle di Benussi, dedicate alla psicoanalisi durante il periodo fra le due guerre) che rappresentavano la base del Trattato di Psicoanalisi pubblicato da Musatti nel 1949, e che contribuirono probabilmente (insieme alla sua origine semita) al fatto che nel 1938 il suo incarico non fu rinnovato.

  Foto: Cesare Musatti

Il 1938 rappresentò una data funesta per la psicoanalisi perché è di quella data il Manifesto del razzismo italiano. La persecuzione colpì Musatti obbligato a rifugiarsi prima all'Università libera di Urbino e poi al laboratorio di psicologia industriale di Olivetti; Weiss fu obbligato ad emigrare in America (dove si trova tuttora*), Servadio in India, e Levi-Bianchini fu costretto a nascondersi dopo aver venduto la sua rivista a Padre A. Gemelli, il quale la continuerà sostituendo nel titolo la psicoanalisi con la psicoterapia. 

  Foto: Padre A. Gemelli

Tuttavia non bisogna dedurre che il fascismo si sia particolarmente opposto alla psicoanalisi, una psicoanalisi la quale d'altronde non si servì mai dei suoi strumenti per analizzare o combattere il regime in Italia . (<<Die Massenpsychologie des Fascismus>> di Reich fu segnalato soltanto nell'ultimo numero del 1938 nella rivista di Levi-Bianchini - segno di un interesse politico  decisamente tardivo). 

 

Foto: Wilhelm Reich

 

Jones7 ci informa che Freud regalò a Mussolini un esemplare con dedica di <<Perché la guerra?>> quando curava la figlia di un amico intimo del dittatore (dedica che può essere capita perché nel 1933 Mussolini appariva come l'unico difensore dell'indipendenza austriaca).

 

Sempre Jones sostiene che Weiss ebbe rapporti abbastanza buoni con il dittatore per potergli chiedere di intercedere presso Hitler perché Freud potesse rimanere in Austria, il che pare - sempre secondo Jones - Mussolini abbia accettato di fare. Di fatto, se si tiene conto della rettifica di Weiss a questo proposito (cfr. E. Weiss <<S. Freud as a consultant>>, N.Y., 1970), secondo la quale non Weiss ma il padre della sua cliente avrebbe interceduto presso Mussolini e se si accettano le dichiarazioni di antifascismo di Weiss nei suoi ricordi, resta il fatto che la persecuzione contro gli psicoanalisti e la psicoanalisi in Italia fu tardiva, come tardivo e importante fu il razzismo italiano. 

 

O almeno fu tardiva la persecuzione ufficiale, perché per altro verso l'ideologia stessa su cui il fascismo si reggeva era uno degli ostacoli maggiori alla diffusione della psicoanalisi. Infatti opponeva alla <<peste>> psicoanalitica la sana latinità fascista (concetto che avrà più tardi un ruolo non trascurabile nel dibattito degli anni cinquanta con la sinistra). Abbiamo fatto allusione alla cessazione delle pubblicazioni della Rivista Italiana di Psicoanalisi nel 1934. Ora, sappiamo attraverso  Jones8 o, meglio ancora, attraverso Freud, che questa chiusura della rivista fu chiesta al regime dal Vaticano, grazie all'opera di Padre Schmidt, grande avversario di Freud, e sappiamo inoltre che Mussolini, malgrado avesse promesso di revocare questa chiusura, non ne fece di niente. E' che durante i venti anni del regime, non si sa più chi detenesse il potere: il fascismo o la Chiesa? Comunque stiano le cose, non si può negare che il fascismo abbia  preparato il migliore terreno possibile alla polemica anti-psicoanalitica della Chiesa italiana.

 

                       
Recensioni bibliografiche 2003 (fine prima parte - continua

 

 

 

 

 

 

Note bibliografiche:

1) Dobbiamo la maggioranza delle informazioni riguardanti la storia della psicoanalisi in Italia fino alla guerra all'opera fondamentale di M. David, La psicoanalisi nella cultura italiana, Milano, 1966, 2.a ed. 1970, opera che consigliamo ai lettori interessati.

2) <<Nella letteratura italiana è apparsa ora (per quanto ne sappia) il primo lavoro sulla psicoanalisi. Ne ho letto un riassunto; l'autore è Baroncini ed esprime un giudizio favorevole>>. Freud a Abraham, 4 ottobre 1908, cfr. Corrispondenza, Parigi, 1969, p. 59.

3) Cfr. E. Jones, La vita e le opere di Freud, vol. II, p.80.

4) Rispettivamente in Psiche, n.2 marzo-aprile 1912 e in Scientia, vol. XIV, 1913.

5) Vi è stato tuttavia un incontro con Freud nel 1925, cfr. E. Jones, op. cit. vol. III, p.125.

6) Un buon esempio può essere qui quello della Rivista di Psicologia diretta da G.C. Ferrari il quale - come sottolinea M. David nel suo libro - , dopo aver pubblicato dal 1908 al 1913 numerosi articoli riguardo alla psicoanalisi, si fece portavoce di un nazionalismo che poi gli impediva di continuare la sua opera di presentazione.

(*) Nota del curatore: all'epoca della prima pubblicazione di questo articolo, Edoardo Weiss non era ancora morto. 

7) Cfr. E. Jones, op.cit. vol. III, p. 206/7, 252.

8) Id. vol. III, p.219. 

 

 

 

 

 

 

 

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