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RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE |
Recensioni
bibliografiche 2003
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Recensione di Mario Colucci su "Il potere psichiatrico" di Michel Foucault. | |||||
Recensioni
bibliografiche 2004
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Recensioni dalla stampa 2003 |
Mario Colucci è Psichiatra
presso il Dipartimento di Salute Mentale di Trieste. E' membro dell'Ecole
de Psychanalyse du Champ Lacanien e del Forum Psicoanalitico Lacaniano, a
cui collabora per le attività della sede di Venezia. Collabora con la
cattedra di Filosofia contemporanea dell'Università di Trieste (Pier Aldo
Rovatti), dove ha svolto attività seminariale (su Basaglia, Foucault,
Lacan), ed è socio del Laboratorio di Filosofia Contemporanea di Trieste.
Con Pier Aldo Rovatti e con Jean-François Rochard ha organizzato nel
novembre 2004 il congresso internazionale "Il soggetto che non c'è.
Michel Foucault 1984-2004" (Trieste, 5-6 novembre 2004). Ha
pubblicato:
M. Colucci (a cura di), Follia e paradosso. Seminari sul pensiero di Franco Basaglia, Edizioni <<e>> di Trieste, 1995; M. Colucci, G. dell'Acqua, R. Mezzina, "La comunità possibile", in La comunità terapeutica tra mito e realtà, Raffaello Cortina, Milano, 1998; M. Colucci, P. Di Vittorio, Franco Basaglia, Bruno Mondadori, Milano, 2001 ;
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Rivista Frenis Zero |
A vent’anni dalla morte di Michel Foucault si moltiplicano in tutto il mondo gli appuntamenti che lo celebrano e prosegue la pubblicazione dei corsi tenuti al Collège de France, autentica miniera di materiale filosofico, e non solo, tutta ancora da sfruttare e in parte assimilabile ai già considerevoli giacimenti intellettuali rappresentati dalle sue opere più conosciute. L’ultimo in ordine di apparizione in Italia – in Francia sono già in libreria altri due nuovi seminari – è Il potere psichiatrico, (Feltrinelli, pp. 408, € 40,00), tenuto nel 1973-74: corso magnifico, che va a riprendere la riflessione inaugurata nel 1961 con la Storia della follia, pur cambiandone radicalmente la prospettiva. Non più una storia delle rappresentazioni culturali e delle mentalità, ossia della percezione della follia attraverso le epoche, ma un’analisi del dispositivo stesso del potere psichiatrico nel suo funzionamento quotidiano, sia all’interno del manicomio, sia all’esterno, quando si mette in rapporto con campi disciplinari limitrofi (psicologia, psicoanalisi, pedagogia, criminologia, etc.), dando luogo, di conseguenza, a nuove rappresentazioni della follia. Una vera “microfisica” di un potere assolutamente particolare, con spiccate caratteristiche di esemplarità, in virtù della sua capacità di fornire una strategia ineguagliabile di direzione e classificazione dei soggetti (nella doppia accezione di assoggettati e di individui); ma anche di situarsi al centro di quei passaggi cruciali che portano dal dispositivo della sovranità (il dominio del re) a quello disciplinare (l’organizzazione delle istituzioni e dei saperi), fino alla biopolitica (la gestione delle popolazioni e il controllo del corpo sociale), vero fondamento della nostra modernità. Foucault si domanda perché a un certo momento tale
potere ha avuto bisogno di un’investitura medica. Non era così agli
inizi, quando furono costruite le prime istituzioni adibite
all’internamento di grandi masse di reietti e diseredati: c’era bisogno
di figure imponenti di guardiani, di custodi dell’ordine, non di medici.
Eppure, il potere psichiatrico passa progressivamente nelle mani del medico:
non si tratta soltanto di un’affermazione del suo sapere, che pure inizia
a strutturarsi nell’epoca del positivismo; prova ne è che nessun
manicomio è organizzato in base a criteri scientifici, valutazioni cliniche
o differenze diagnostiche fra gli internati, ma secondo più elementari
distinzioni di comportamenti (tranquilli e agitati, docili e ribelli, ad
alta o a bassa sorveglianza, in grado o meno di lavorare, etc.): in buona
sostanza, il grande sforzo delle classificazioni ottocentesche delle
malattie mentali, non serve affatto per lo sviluppo delle prime istituzioni
psichiatriche. È una questione innanzitutto di poteri, poi di saperi, prima
di procedure, dopo di discorsi. I secondi vengono costruiti per rinforzare i
primi. Il potere utilizza il sapere come un contrassegno di prestigio, di
autorevolezza, come una verità scientifica che deve confermare la realtà
di una dominazione già in
atto. Non c’è più tempo per giudicare la parola del folle, per principio
essa non ha alcuna attendibilità. Le sue idee vanno corrette, non
ascoltate. La figura dello psichiatra funziona, allora, come un fattore
d’intensificazione della realtà, come l’agente che ha il compito di
imporre al malato la quotidianità e la necessità del manicomio in nome di
una verità scientifica stabilita una volta per tutte: a forza di docce
fredde e di digiuni, di minacce e di contenzioni, l’internato deve
riconoscere la ragione del medico in luogo del suo delirio. È interessante osservare come Foucault, nel momento
in cui ci fornisce le caratteristiche di questo potere, ci proponga anche
delle “scene di resistenza” ad esso: il tutto descritto in pagine di
grande efficacia e bellezza, dove risaltano le magistrali descrizioni dello
scontro, nello spazio chiuso del manicomio, fra medici e malati. In tal
senso è emblematica la scena di Charcot che presenta agli allievi della Salpêtrière
di Parigi le sue pazienti isteriche: scena fondamentale sia per spiegare
l’imminente nascita della psicoanalisi,
perché vi assiste un allora sconosciuto Freud, che da quel viaggio
di studio trarrà preziose intuizioni per le sue future scoperte; sia per
comprendere la successiva nascita dei movimenti di critica alla psichiatria
(Foucault mostra grande interesse per l’esperienza di Basaglia), di cui
quelle isteriche rappresentano “le prime vere militanti”, capaci
cioè di opporsi, attraverso un’eclatante esibizione di sintomi,
al potere medico che vorrebbe attribuire loro una piatta diagnosi di
demenza.
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