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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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Frenis Zero  Publisher

     "Cara Sabina, ti scrivo su A DANGEROUS METHOD"

Una lettura critica del film di David Cronenberg da parte di...Tatiana Rosenthal.

Con la risposta di Sabina Spielrein..

 

 

 

SPAZIO ROSENTHAL

a cura di Laura Montani 

 

 

Cara Sabina, ti scrivo su "A Dangerous Method"...


 

    Abbiamo pensato di proporre ai nostri lettori non la classica recensione del film, ma una "fiction review", immaginando che Tatiana Rosenthal (1884-1920), amica di Sabina Spielrein  e anche lei dapprima studentessa di medicina a Zurigo e quindi psicoanalista, si rechi al Lido di Venezia, veda il film e ne scriva a Sabina. E che Sabina le risponda...

 Who was Tatiana Rosenthal?

 

            

 

 

  

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

Edizioni "Frenis Zero"

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Altri contributi dello Spazio Rosenthal:

Presentazione della curatrice (di Laura Montani)

"Sublime  Negativo" (di Laura Montani)

 

"La persona dell'analista nei passaggi istituzionali" (di Laura Montani)

 

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"Primavera tunisina" (di Lidia Tarantini)

 

"Il corpo della psicoanalisi" (di Laura Montani)

"Lo sguardo della spettatrice" (di Laura Montani)

 

 

 

 

 

 

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 Di prossima pubblicazione/About to be published:

"Psicoanalisi e luoghi della negazione" a cura di A. Cusin e G. Leo (Editors)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian,  A. Cusin, N. Janigro, G. Leo, B.E. Litowitz, S. Resnik, A. Sabatini Scalmati, G. Schneider, M.  Šebek, F. Sironi, L. Tarantini.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-4-2

Anno/Year: 2011

Pages: 400

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"Lebensruckblick"

by Lou Andreas Salomé

(book in German)

Author:Lou Andreas Salomé

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-97479-00-0

Anno/Year: 2011

Pages: 267

Prezzo/Price: € 19,00

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"Psicologia   dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-903710-3-5

Anno/Year: 2011

Pages: 158

Prezzo/Price: € 18,00

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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-2-8

Anno/Year: 2010

Pages: 520

Prezzo/Price: € 30,00

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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-0-4

Anno/Year: 2008

Prezzo/Price: € 18,00

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OTHER BOOKS

"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini

ISBN: 978-88-340155-7-5

Anno/Year: 2009

Pages: 224

Prezzo/Price: € 20,00

 

"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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  Cara Sabina, ti scrivo su "A Dangerous Method"... 

  Venezia, 2 settembre 2011

 

 

Cara Sabina,

 

è così singolare che l’Italia, il cinema in Italia dedichi tanta attenzione alla tua biografia, alla tua vicenda esistenziale e professionale. Prima un regista italiano, Roberto Faenza, ha diretto “Prendimi l’anima” (2002), oggi a Venezia un regista canadese, David Cronenberg, presenta in prima mondiale il suo film “A dangerous method” (tratto dalla pièce teatrale di Christopher Hampton). Come ti avevo preannunciato, sono voluta venire a Venezia a vederlo. Non ho letto il testo di Hampton, ma dubito che il regista Cronenberg si sia posta la questione di come rendere nel suo film il respiro della cultura di un’epoca in cui le idee, le passioni, i rapporti dovevano essere mantenuti e vivificati, per poter sopravvivere, per tempi inimmaginabili nel XXI secolo. La passione delle tue lettere a Jung, il fuoco che promana dal tuo diario non si sono ancora estinti, sebbene per lunghi anni fossero stati sepolti in uno scantinato dell’Istituto Svizzero di Psicoanalisi e grazie al Prof. Carotenuto ritornarono ad accendere l’interesse dei lettori… e dei registi. L’interesse per la dimensione spirituale della vita umana, per una psicoanalisi  rivolta ai conflitti etici nel rapporto di cura, agli sconfinamenti del setting; non un interesse pettegolo che dal buco della serratura vuole farsi un’idea dei dilemmi della psicoanalisi. Se paragoniamo i due film, quello di Faenza e quello  di Cronenberg, già i rispettivi incipit ci illustrano la differenza tra un approccio basato sulla ricerca ed un altro spettacolare e fumettistico. Faenza sin dall’inizio ci propone i personaggi dei due ricercatori (il professore universitario e la sua giovane assistente) e noi spettatori partecipiamo a questa “discesa negli Inferi” – seppure nella ricostruzione storica retrospettiva – dei primi anni della psicoanalisi russa sotto il regime sovietico. Troviamo anche noi, insieme ai due personaggi, dei testimoni, cerchiamo nelle biblioteche e negli archivi una traccia, un indizio di una vita spezzata. Le ipotesi sul rapporto amoroso tra Sabina e Jung, quelle sulle ripercussioni che questa vicenda ebbe nella rottura tra Jung e Freud, quelle sulla fine di Sabina forse verranno confermate, forse no. Il film di Faenza ci fa sentire tutte le incertezze e le stanchezze di una ricerca sul campo. 

Nel film di Cronenberg, invece, tutto questo è desolantemente assente. Troviamo sin dall’inizio bell’è pronto il gioco tra i personaggi che obbediscono ad una trama in cui essi recitano le loro parti, ben costruite è vero, ben congegnate nel suscitare l’abreazione a catena del pubblico. In effetti, la trasposizione operata da Cronenberg dalla pièce teatrale di Christopher Hampton al cinema poteva raggiungere un risultato ben superiore qualora i personaggi non fossero stati ridotti a maschere, abbastanza caricaturali, rispetto alle loro controparti storiche. E così anche il tuo personaggio, Sabina,  ha dovuto assumere delle smorfie scimmiesche per essere convincente circa la gravità della paziente e la necessità di fare questo rocambolesco viaggio della speranza dalle steppe russe fino all’Ospedale Psichiatrico Burghölzli di Zurigo. Dove però, appena arrivata la paziente, contenuta fisicamente da tre nerboruti inservienti, senza battere ciglio si accomoda immediatamente sulla seggiola e si mette tosto a collaborare con la talking cure propostale dal giovane dottor Jung. E che? Facciamola prima accomodare nella sua stanza di ammalata questa povera figliola, che si è fatta tanti chilometri in preda alla più spasmodica agitazione, prima di scandagliarle l’inconscio! Tutto sembra procedere da subito per il meglio, come se il copione con le sue  ferree logiche provvidenziali non lasciasse scampo ad un solo scarto, ad un solo residuo, apparentemente privo di senso, lasciato  lì in attesa  di riceverlo. 

Nel film di Cronenberg Jung finisce non solo per andare a letto con Sabina,  ma anche per abbandonarsi a pratiche sadiche di  fustigazione con lei. Le sculacciate con la verga ci vogliono forse ricordare quella massima latina, tanto giustamente avversata dalle femministe di ogni tempo, che dice “Vis grata puellae”? Guarda un po’ con che moneta viene ripagato il nostro impegno di pioniere della psicoanalisi nel sollevare questioni sulla femminilità che un establishment istituzionale tutto maschile denegava! E c’era pure bisogno di introdurre il personaggio di Otto Gross sotto forma di un istigatore del fino ad allora monogamo dottor Jung? È vero, la cultura nordamericana tende a posizionare il conflitto morale all’interfaccia dell’individuo con l’esterno (famiglia, gruppi sociali, istituzioni): Ma qui non si parla di psicoanalisi, di dilemmi che mettono in gioco anche oggetti interni all’individuo? L’agito è solo un contro-agito? 

Cara Sabina, non ho conosciuto bene Otto Gross, ma tu, quando frequentavi il Burghölzli, sì che lo hai conosciuto. Penso che qualcuno dovrebbe scrivere un libro su di lui per fare veramente luce sulla sua personalità e sulle leggendarie analisi reciproche avute dal paziente Otto con Jung in quello stesso Ospedale.Vuoi vedere che qualcosa del genere verrà pubblicato a breve ancora una volta in Italia?

Cara Sabina, il film di Cronenberg manca  di una qualsiasi stratificazione di piani narrativi distinti, ed in esso i personaggi sono  maschere monolitiche: Freud, ad esempio,  è il classico Professore geloso  delle  proprie teorie, ma anche invidioso della ricchezza materiale in cui vive il suo giovane allievo Jung. 

Emma, la  moglie di Jung,  è una sdolcinata fattrice seriale di pargoli, allattati prontamente  da prosperose balie elvetiche.

 L’incontro tra le due rivali in amore, Sabina ed Emma, avviene nel film (e non può avvenire altrimenti date le premesse) sullo stesso terreno comune: le due si incontrano quando oramai Sabina è rimasta incinta da suo marito Pavel e le due si intrattengono a parlare dei figli di Emma. Mi è sembrato davvero surreale come è stato rappresentato questo incontro. Due donne come Emma e Sabina, due intellettuali e psicoanaliste brillanti, che non hanno null’altro di cui discorrere che della maternità! È come se Vera Zassulitsch  e Rosa Luxembourg si fossero incontrate per discutere, tra una tazza di tè ed una fetta di torta Sacher, delle infinite gioie della maternità! C’è un pregiudizio misogno da parte del regista: le due donne non possono avere altro in comune se non l’essere amate dallo stesso uomo. 

Ma anche il tuo rapporto con Freud nel film è  stato rappresentato in modo a dir poco idilliaco. Io che in quegli anni pubblicavo sullo Zentralblatt für Psychoanalyse la recensione sull’”Età pericolosa” della Michaelis, maturando, seppure in modo cauto ancora, una critica verso la lettura da parte di Freud delle opere letterarie in chiave di “raccolta di complessi inconsci”, so quante amarezze hai dovuto sopportare a seguito dei tuoi scambi epistolari con Freud. Nel film invece è come se, dopo che il tuo personaggio ha constatato una sua resistenza ad esplorare i temi della spiritualità, magicamente Freud si “convertisse” alla tua idea della distruttività alla base della sessualità. Tutto molto buffo!

Ma il cinema, come diceva una vecchia canzone italiana, è “autentica illusion…”.

Ma a proposito di religiosità, mi è sembrato che l’unico momento in cui in Freud  si sia scalfita quella granitica maschera del personaggio sia coinciso con l’ultima  battuta  del “vostro” dialogo. Alla fine Freud “ti” chiede (senza avere alcuna risposta): <<ma era proprio necessario menzionare Cristo alla fine del suo scritto>>? In questo lasciare in sospeso questo interrogativo, che è prima di tutto un dubbio, una domanda a se stesso da parte di Freud, non saturandolo di alcuna risposta, ho colto una rara opportunità nel film di confronto  tra “voi” due. Un confronto rispettoso, finalmente.

In conclusione, e ancora a proposito di religiosità, dimmi cara Sabina: chi è poi questa Madonna che qui al Lido di Venezia tutti volevano incontrare? Un caso di delirio mistico collettivo?

Ti saluto caramente da Venezia

Tua   Tatiana

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                  

 

 

 

 

 

 

 

 

La risposta di Sabina Spielrein

 

 

 
 
 
 
   

 

 

 

                                                                 26 Ottobre 2011

Cara Tatiana, 

non so bene cosa risponderti.

   Ho sopportato troppo e per troppi anni di essere rappresenta  come l'esempio vivente di quella che nella vulgata, sia della psichiatria che della psicoanalisi, viene chiamata isteria, o come donna-trait-d'union e oggetto  comune  di studio di due grandi ricercatori.  Ormai di me sembra essere tutto noto, da questo versante,  in questo rimestare affannoso che gli psicoanalisti, i cineasti, la letteratura continuano incessantemente  ad operare sull'enigma della nascita della psicoanalisi, della quale io sono stata insieme  artefice e vittima: di me si rappresentano, soprattutto attraverso il cinema, anche gli orgasmi, resi pubblici dalla cinepresa che entra nella stanza della cura con il proposito di cercarli e trovarli. A dangerous method si va dicendo, perciò, oggi in giro della psicoanalisi, svalutandone così  sia la portata di scoperta scientifica che di cura.

I primi psicoanalisti e le loro vite sono  stati sottoposti ad una indiscriminata dissezione, psicoanalitica in senso stretto, letteraria, filmica: difficilmente, però, le ricostruzioni che ne vengono date colgono sia il mistero della nascita della psicoanalisi, sia il nucleo segreto delle vite di quanti, chiamati oggi "pionieri",  contribuirono a  questa  nascita e le dettero vita.

Di me, che sono a tutto titolo fra questi, si ignora in fondo tutto: se non che  ebbi un affaire con il dr Jung. 

Si ignora  il mio valore di ricercatrice e di persona, come si ignora parimenti che  Anna O.  (in realtà si chiamava  Bertha Pepeneim ) sia stata  una gran donna e una delle prime femministe. Anche di te, Tatiana, e della tua morte tutto o quasi si ignora…

 Si ignora,  in definitiva, che la psicoanalisi  "inventata dagli uomini”, così come si è data al suo nascere, è tributaria  di sé al corpo della donna  e al suo enigma, fin dall'inizio.

 Io lo so invece, lo so, cara Tatiana, per diretta esperienza.

 Come so,  per  “averli frequentati”  (per così dire!)  entrambi,  che questi uomini, questi pionieri - Freud, Jung - non si differenziavano dai pazienti che curavano, e in qualche modo lo sapevano, anche se ai tempi era scandaloso ammetterlo.

 Non c’era differenza tra il loro mondo interno e quello   dei pazienti che curavano. I  primi psicoanalisti colsero questo come in una sorta di ispirazione, e  scoprirono  così un nuovo mondo .

Di fatto, nonostante l’enorme debito che la psicoanalisi contrasse al suo sorgere con il corpo femminile, le prime psicoanaliste, lo sai bene Tatiana,  furono poche. Non so come potresti leggere tu oggi, con lo sguardo di ieri, quello che ne scrive Roudinesco:

 “Analizzando il destino delle prime  donne psicoanaliste,  si può osservare che  alcune di loro morirono di morte violenta: una morì suicida, due furono vittime del nazismo, la quarta venne assassinata … A queste donne si aggiunse poi  Lou Salomé  (che non fu mai analizzata (perché per  i primi psicoanalisti era un privilegio nel loro gruppo questa grande figura di donna.)…”.

 Su questi suicidi c’è stato e c’è silenzio, lo sai.

Eravamo quasi tutti ebrei, anzi, direi, tutti ebrei… Tranne uno, Jung.  Forse, chissà, Freud proprio per questo gli volle  affidare la psicoanalisi al suo sorgere? Per far sì che la psicoanalisi non fosse tacciata di scienza unicamente ebraica?

Poi..  poi sono arrivata io e è andata così come è andata……

 Tatiana, rivado con la mente alla sofferenza della mia vicenda con Jung, per esempio la lettera di Jung  a mia madre. Quanto al transfert…., non posso che dire, gridare quasi, che fu scoperto sulla mia pelle e, all’epoca, questi fenomeni così forti della  e nella cura    erano poco conosciuti, poco decifrabili. Sia gli analisti che i pazienti li pativano: ma i pazienti di più...

Soltanto dopo  questo patimento, forte e vistoso, e tenuto il più possibile segreto, si poté parlare del  transfert e  si poté, in qualche modo, organizzare, guidare, dirigere questi moti quanto possibile ...

Freud, nel 1913, nel saggio L’amore di transfert  ne dirà:

“Immaginate un teatro. Si sta svolgendo una scena, ma all’improvviso il pubblico si gira da una parte perché è accaduto un incendio”. Il transfert, quindi, non è la scena o la scena rappresentata, ma è l’incendio. L’incendio che è la dimensione affettiva, emotiva, passionale, pulsionale della vicenda che è difficilmente incorniciabile all’interno della struttura rappresentativa.

  Vale a dire che il transfert è una passione, alla cui scoperta io cooperai  con tutta me stessa, vale a dire con la parte più vera di me stessa: l’inconscio.

Una delle  mie sedute con  Jung … durò tre ore e mezza: la vicenda del padre, l’attaccamento, la fissazione erotica al padre emersero attraverso il mio amore per Jung.

Cara, faccio un  salto nel tempo e vado, sono, siamo nel 1911.  Parlo a Freud, gli porto il mio lavoro sull’istinto di morte.

Freud  lo concettualizzerà nel 1921.

 Che dire?... io…menzionata?

Sì, mi pare di ricordare, in una nota del testo di Freud….

Cara, io ho vissuto un po’ più a lungo di te:  nel 1923,  sono ritornata in Russia,  ho fatto parte di un’esperienza all’avanguardia: l’asilo bianco  di Vera Schmidt.

 Nel 1935 insieme a tutta la  mia famiglia  venni travolta dal sistema totalitario.  Mio marito morì d’infarto nel ’37 e vidi i miei fratelli deportati sparire in un gulag.

 Nel 1942, dopo numerosi scontri tra l’Armata Rossa e le truppe tedesche, i nazisti riuscirono ad occupare la città di Rostov e instaurarono  un regime del terrore.

 Io morii il 27 luglio del 1942, trucidata dai tedeschi.

Ti  invio ciò che ho voluto aggiungere, di mio pugno,  alla fine della cartella clinica redatta da Carl Gustav Jung:

Allegato alla cartella medica Spielrein numero 8793  scritto a mano dalla Spielrein. Ultime volontà. “Quando morirò permetterò che si dissezioni solo la testa. Ha un’apparenza terribile. Degli studenti solo i migliori possono guardare. Dò il mio teschio al Ginnasio, affinché venga conservato in un armadio a vetri ornato con fiori perenni. Sull’armadio va scritto quanto segue: si lasci che all’entrata della tomba vada la giovane vita e che la natura indifferente risplenda di eterna meraviglia. Le ceneri verranno divise in tre parti. Una verrà posta in un’urna e mandata a casa. La seconda verrà sparpagliata per terra, in mezzo a un campo molto grande che si trova da noi, su cui verrà piantata una quercia con su scritto: 'anch’io sono stata un essere umano'. Mi chiamavo Sabina Spielrein”

 

Cara,  ora sono stanca: devo smettere di scrivere. Ti ringrazio, sorella mia e ti abbraccio.

Sabina

 

 

 

 

 

 

 

   

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
 

 

   
   
 

 

   
   
   
 

 

   
   
   
   
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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