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AA.VV., "Lo
spazio velato. Femminile e discorso
psicoanalitico"
a cura di G. Leo e L. Montani (Editors)

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Confini della psicoanalisi
Anno/Year: 2012
Writings by: A.
Cusin, J. Kristeva, A. Loncan, S. Marino, B.
Massimilla, L. Montani, A. Nunziante Cesaro, S.
Parrello, M. Sommantico, G. Stanziano, L.
Tarantini, A. Zurolo.
"The Voyage Out" by Virginia
Woolf

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-97479-01-7
Anno/Year: 2011
Pages: 672
Prezzo/Price: € 25,00
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"Vite soffiate. I vinti della
psicoanalisi" di Giuseppe Leo

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Preface: Alberto Angelini
ISBN: 978-88-903710-5-9
Anno/Year: 2011 (2nd Edition)
Prezzo/Price: € 18,00
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"Psicoanalisi e luoghi della negazione"
a cura di A. Cusin e G. Leo (Editors)

Writings by: J.
Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, A. Cusin, N. Janigro, G. Leo,
B.E. Litowitz, S. Resnik, A. Sabatini Scalmati, G. Schneider, M. Šebek,
F. Sironi, L. Tarantini.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-4-2
Anno/Year: 2011
Pages: 400
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"Lebensruckblick"
by Lou Andreas Salomé
(book in German)

Author:Lou Andreas Salomé
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-97479-00-0
Anno/Year: 2011
Pages: 267
Prezzo/Price: € 19,00
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"Psicologia
dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-3-5
Anno/Year: 2011
Pages: 158
Prezzo/Price: € 18,00
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"Id-entità mediterranee.
Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo
(editor)

Writings by: J.
Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A.
Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y.
Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M.
Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-2-8
Anno/Year: 2010
Pages: 520
Prezzo/Price: € 30,00
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"La Psicoanalisi e i suoi
confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J.
Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D.
Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik
Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini
ISBN: 978-88-340155-7-5
Anno/Year: 2009
Pages: 224
Prezzo/Price: € 20,00
"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi
Confini"

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.
Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas,
Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.
Publisher: Schena Editore
ISBN 88-8229-567-2
Price: € 15,00
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“Posso
scrivere con questo?”
La
riforma psichiatrica attraverso la vita e l’arte di un uomo
“Posso
scrivere con questo?”: un paziente dell’Ospedale Psichiatrico
“Paolo Pini” di Milano si avvicina e mi pone questa domanda, nel
corridoio dell’Ambulatorio di Psicologia Clinica, diretto dal prof.
Zapparoli, una struttura innovativa che introduce la psicoanalisi nel
manicomio. Ho appena iniziato il mio tirocinio di studentessa della
Scuola di Specializzazione in Psicologia, istituita congiuntamente
nell’Università Statale da Cesare Musatti per la Facoltà di
Lettere e Filosofia e Marcello Cesa Bianchi per la Facoltà di
Medicina, come apertura ad una visione umana, medica, psicoanalitica,
della sofferenza mentale, uno strumento per valicare le mura anche
culturali della reclusione manicomiale. E’ l’autunno del 1968:
ideali, sogni, speranze di trasformazione personale e sociale ispirano
la mia passione per lo studio, la conoscenza, la cura. Ed ecco che
all'interno del Manicomio mi viene incontro un ragazzo giovane,
minuto, che indossa il pigiama azzurro, divisa dei ricoverati del
Paolo Pini, e mi pone una domanda, mostrandomi una crosta sul dito
medio della sua mano. La richiesta solleva in me un’onda emotiva
partecipe d’immedesimazione: anche sul mio dito medio c’è un
rilievo, il cosiddetto ‘callo dello scrittore’ segno
dell’appoggio della penna con la quale ho scritto pagine e pagine di
appunti durante le lezioni universitarie. Mi sembra di capirlo, sono
convinta che voglia esprimersi, sfuggendo all’inerzia
custodialistica del manicomio, e così gli dico con entusiasmo: “Ma
certo, può farlo, anche se c’è la crosta!”. Allora con l’altra
mano gratta via la crosta dal dito e intinge un pezzetto di legno nel
sangue che inizia a uscire: vuole scrivere con questo sangue, come in
una rappresentazione drammatica del bisogno di esprimere la sua
essenza più profonda, radicata nel corpo. Resto ammutolita e capisco
che ho molto da imparare: in quel “con questo” si può condensare
la speranza di una vita psichica, tesa tra la condanna a affondare
nella concretezza del non pensiero e la possibilità di volare
immergendosi nelle emozioni.
Da allora, non ho mai più
dimenticato il nome di quel giovane, che dopo trent’anni ho
rincontrato in un istituto psichiatrico per lungodegenti, l’Istituto
Fatebenefratelli di San Colombano al Lambro, dove, ormai psicoanalista
con molti anni di esperienza in strutture psichiatriche pubbliche e
private[1],
svolgevo la funzione di consulente supervisore delle équipes
terapeutiche: Vincenzo Sciandra. Il suo nome si iscrisse
indelebilmente nella mia mente, vi fu scritto con il sangue
dell’emozione, e per questo non ho avuto difficoltà a ricordarlo e
a riconoscerlo.
Il nuovo
incontro è stato altrettanto coinvolgente: un uomo che aveva passato
tutta la sua vita nelle istituzioni, a cominciare dal brefotrofio in
cui fu accolto da bambino, per continuare con l’esperienza del
manicomio, dei servizi psichiatrici territoriali, di un istituto per
lungodegenti, era riuscito a realizzare il progetto contenuto in
quella domanda, a declinare quel “con questo” in figure e parole,
acquerelli e poesie, riuscendo a esprimere la sua identità in modo da
farsi conoscere. Era stato capace di provare piacere nel manifestarsi
e nel comunicare, stabilendo una forma di legame con altri. Lo
psicoanalista francese André Green (1992) nel suo bel libro Slegare,
osserva che l'artista quando crea nella solitudine del suo spazio, si
colloca in una dimensione 'transnarcisistica': è solo, ma ha sempre
in mente qualcuno che potrà leggere, vedere, ascoltare, fruire della
sua opera, che senza questo 'altro', presente nella mente di chi crea,
non può nascere.
Vincenzo non si è
rassegnato, ha lottato per realizzare il suo sogno, quello di
scrivere-comporre la sua vita: esistere come soggetto, senza
appiattirsi e senza piegarsi, conservando un filo sottile di
comunicazione con l’altro, che Michele Munno e tutto l’Atelier
“Adriano e Michele” dell’Istituto di Riabilitazione Psichiatrica
“Sacro Cuore di Gesù” Fatebenefratelli di San Colombano al Lambro
hanno visto, raccolto, sviluppato. Vincenzo, nonostante le difficoltà
con cui ha incontrato il mondo, senza famiglia, senza denaro, senza
identità, è riuscito a esistere come Skillinger, il personaggio che
diventa protagonista dei suoi quadri e dei suoi scritti. E’ riuscito
a rigenerarsi ogni giorno come essere senziente, pensante, comunicante
con gli altri. Essere una persona umana significa avere la capacità,
svolgendo un’attività creativa, cioè lavorativa e sessuale, di
creare un poco se stessi, di sentirsi non solo replicanti stampati
dalle azioni e dalle parole degli altri, ma soggetti che
contribuiscono alla costruzione del mondo e delle relazioni in cui
viviamo (Bollas, 1992)[2].
E’
straordinario e commovente che ciò sia potuto accadere: dobbiamo dire
che aveva ragione il diciannovenne Vincenzo incontrato nell'Ospedale
Psichiatrico, quando oscuramente intuiva che per sentirsi vivi e
comunicare con gli altri, per avere un’identità, occorre scrivere
con il corpo, con la concretezza e l’autenticità delle sensazioni
ed emozioni, come accade per amare e generare. Ecco cosa scrive su un
acquerello rosso sangue, un’opera che contribuisce ad arricchire la
vita di ciascuno di noi:
“L’identità
di una personalità. Per quando si nasce oppure se muore una persona.
Dalla corporeità di una persona o di un animale. L’identità e la
volontà dei sogni. Lo Skillinger”.
Per alcuni
anni ho continuato a incontrare Vincenzo nei viali dell'Istituto
Fatebenefratelli, dove mi recavo una volta la settimana dal 1996 al
2003 per la supervisione alle équipes psichiatriche delle diverse
unità di cura: mi riconosce, mi saluta, a volte vado nell'Atelier
di pittura a vedere il lavoro suo e di altri ospiti, lavoro che si
svolge in un'atmosfera di passione e partecipazione. Nel giugno 2001
collaboro con un mio contributo alla mostra, organizzata a Pavia da
Michele Munno nella Galleria dell'A.N.I.M. (Associazione Nazionale
Infermieri Neuroscienze): “L'atterraggio
dello Skillinger”. Vincenzo è presente all'inaugurazione,
consapevole di essere al centro dell'evento, inorgoglito e
infastidito, incerto tra l'essere e il non essere, esistenzialmente
'fuori posto', come genialmente lo raffigura la foto di Michele
Munno, colto nel momento di un salto al punto massimo di elevazione,
a mezz'aria tra cielo e terra, tra sanità e follia, tra i due mondi
che si lambiscono, presenti in molti suoi paesaggi.
Successivamente,
il lavoro appassionato e altamente professionale di Bianca Tosatti
approda a fare inserire alcuni lavori di Vincenzo in una esposizione
e asta a Milano presso Finarte-Semenzato tra gli esponenti dell'Art
Brut: “Outsider Art in Italia- arte irregolare nei luoghi di
cura” (Maggio 2003).
Teresa
Maranzano, coordinatrice dell'Atelier 'Adriano e Michele' inserisce
la carta di identità 'geroglifica'
di Vincenzo tra le opere esposte a ’Art en Marge’
(Bruxelles, 2004), “Ecritures imagées-la scrittura come
immagine”.
Ma
Vincenzo è lontano, non si riconosce in questi contesti. Si
realizza una distinzione tra lui e le sue opere, che hanno una vita
propria, relativamente indipendente da lui, ma che comunque gli
forniscono un reddito con cui soddisfare alcuni desideri.
Nel 2006,
improvvisamente, nella notte, Vincenzo lascia questo mondo nel quale
non era mai del tutto atterrato, attratto dagli spazi lunari di
altri mondi, nei quali si trovava più a casa.
Qualche
anno dopo, la psichiatra Anna Lastrico che lavora all’Istituto
Fatebenefratelli di San Colombano al Lambro e che ha una docenza
alla Facoltà di Psicologia dell’Università di Pavia, mi fa
sapere che una sua studentessa, Paola Zanotti, ha fatto una tesi su
Vincenzo e me la fa avere. La leggo e la trovo di grande interesse.
L'interesse
riguarda il lavoro di raccolta dei dati sulla vita di Vincenzo,
un’esistenza che ha attraversato l'evolversi e il trasformarsi
delle istituzioni psichiatriche. Vincenzo ha conosciuto il
custodialismo manicomiale (il primo ricovero nel 1968) con i suoi
articoli di legge (art. 4: il paziente è pericoloso a sé o agli
altri; art. 66: ricovero volontario),
e poi le prime forme di presa in cura con attenzione al
funzionamento mentale del soggetto, fornite dall’Ambulatorio di
Psicologia Clinica del Professor Giancarlo Zapparoli e del Professor
Franco Ferradini, psichiatri e psicoanalisti, che aprirono
l’ambulatorio all’interno dell’Ospedale Psichiatrico ‘Paolo
Pini’. La loro proposta clinica comprendeva un approccio con il
paziente grave basato sul colloquio, un percorso di diagnosi
psicodinamica, una psicoterapia di impostazione psicoanalitica.
Vincenzo fruisce anche dei primi tentativi di reinserimento sociale
offerti dal laborioso riformismo lombardo (Ergoterapia, Centri
Diurni, ecc.), e poi dei dispositivi della psichiatria sul
territorio predisposti dalla riforma psichiatrica della Legge
180-Basaglia, (il reparto ospedaliero SPDC –Servizio Psichiatrico
di Diagnosi e Cura, la rete dei servizi ambulatoriali dei Centri
PsicoSociali-CPS, la Comunità Terapeutica per medio degenti). Tutti
gli interventi medici di competenza psichiatrica gli sono stati
prescritti: farmacoterapia con neurolettici, ansiolitici,
stabilizzatori dei disturbi dell’umore, elettroshock. Tutti i
supporti sociali sono stati utilizzati per lui (collocamento al
lavoro in liste speciali, pensione di invalidità, appartamento a
affitto agevolato, assistenza legale gratuita, visite domiciliari e
aiuto domestico per la pulizia della casa, supporto da parte dei
vicini di casa). Tutte le figure professionali individuate per la cura psichiatrica sul
territorio hanno avuto a che fare, utilmente, con Vincenzo
(psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, infermieri, assistenti
sociali, educatori, art-therapists). Nella storia raccolta e narrata
da Paola Zanotti, c'è tutto, anche il ricovero per errore
nell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario.
Possiamo
ripercorrere, fuori dalle ideologie, dagli intenti polemici, critici
o agiografici, come la psichiatria si è sviluppata in questi 30
anni, monitorando da vicino come si è trovato un uomo, come si sono
trovati i medici, gli assistenti sociali, gli educatori, gli
psicologi, gli infermieri, i vicini di casa. Si tratta di
un'occasione unica, per capire le difficoltà di un soggetto che,
nato in situazione carenziale sfavorevole, per sopravvivere con una
sua soggettività forte, spesso è 'costretto' a rifiutare gli aiuti
che pure ha incontrato nelle istituzioni psichiatriche e
nell'ambiente sociale. Il tema dei superpoteri è presente nelle
opere e nelle parole di Vincenzo, nei personaggi che nomina (Clark
Kent/Superman), a testimonianza del fatto che si aggrappa a questi
superpoteri per non sentirsi sopraffatto da fantasmi depressivi
catastrofici, come quelli di altri personaggi che nomina, che hanno
lottato tra la vita e la morte (Bobby Sands, Giuseppe Pinelli). Il
racconto di Paola Zanotti è un'occasione unica anche per
comprendere la fatica di tanti terapeuti della psichiatria che lo
hanno incontrato e che hanno cercato di curarlo-aiutarlo,
misurandosi con i pochi mezzi offerti dalla riforma, con i primi
passi di questa, ma anche con le opportunità che la riforma dava a
chi desiderava muoversi fuori le mura del custodialismo per
incontrare l'altro, isolato non solo per effetto delle mura ma anche
della sua riluttanza difensiva e persecutoria, sempre pronto a
sentire l'offerta di aiuto come persecuzione e sopraffazione, come talvolta
finiva per diventare, a protezione di altri o di lui stesso.
L'interesse
del racconto di Paola Zanotti riguarda anche le altre parti del suo
scritto, il racconto dell'incontro tra una giovane studentessa di
psicologia, non ancora attrezzata con strumenti clinici, ma aperta
ad ascoltare, all'interno dell'assetto fondamentale che ha fornito
la lezione psicoanalitica: l'ascolto, il farsi vuoto della mente del
terapeuta, per accogliere l'altro, il diverso, il non ancora
mentalizzato. Lo psicoanalista Enzo Morpurgo (1998) ha
descritto con parole dolorose e illuminanti la profonda differenza
tra quello che chiama il ‘dialogo mondano’, attento
all’interazione media comune, ritenuta patogena, e la peculiarità
del ‘dialogo analitico’, aperto all’ascolto della sofferenza
dell’altro come portatore di un bisogno, quello di mettere il male
nell’altro e di apparire come un individuo diverso dal se stesso
abituale .[3]
Per
alcuni anni Paola Zanotti va a fare il suo tirocinio all'Istituto
e incontra Vincenzo, lo ascolta, tollera di non capire, raccoglie
le sue voci, che non vanno perdute. Il suo testo ha la freschezza
delle esperienze colte allo stato nascente, là dove si può
assistere alla nascita del filo d'erba, prima che il suo colore si
scurisca e si confonda con gli altri fili d'erba. Il merito di
farci partecipare a questa esperienza è senz'altro suo, per la
sincera curiosità verso l'altro e per la fiducia nella possibilità
di stabilire un legame emotivo. Ma il merito è anche di Vincenzo,
che alla fine del percorso riesce a preoccuparsi per Paola: la
vede magra, sofferente, e le dice che non le fa bene, emergendo
dal suo isolamento, dal suo vissuto sempre al confine tra due
mondi.
Ritengo
questo racconto una testimonianza preziosa di come la teoria
psicoanalitica abbia illuminato la pratica quotidiana di chi
lavora nella psichiatria: collocare l'altro nella posizione del
soggetto e abitare la dimensione 'impossibile' del curante, che
cerca di raggiungere i mondi
nei quali lo psicotico si è sistemato per sopravvivere
psichicamente; un curante che allo stesso tempo è capace di non
idealizzare la follia, e
quindi di non abbandonare il contesto umano e sociale condiviso,
proprio quello a cui anche lo psicotico vorrebbe riuscire a
partecipare, nonostante tutto.
Il merito
di farci partecipare a questo viaggio di Skillinger è anche di
quegli psicoanalisti che hanno operato per varcare l'isolamento
della concezione della follia e il mondo delle istituzioni
psichiatriche con gli strumenti offerti dal pensiero
psicoanalitico, che supera l'abisso tra normalità e pazzia,
indicando altre strade per comprendere il funzionamento psichico e
per la cura.
Singolarmente,
lungo la storia di Vincenzo, incontriamo psicoanalisti che hanno
rotto il muro segregante la follia: Cesare Musatti, che, con la
sua opera di diffusione della psicoanalisi attraverso la
ricostruzione della Società Psicoanalitica Italiana dopo gli anni
di oscuramento ad opera del fascismo e con l'insegnamento
all'Università Statale di Milano e la pubblicazione dell'opera
completa di Freud, ha diffuso cultura psicoanalitica allargata, di
cui tutti gli operatori della psichiatria hanno fruito, a
cominciare da me stessa, allieva delle sue lezioni; Giancarlo
Zapparoli, che con la sua coraggiosa iniziativa di aprire un
ambulatorio di Psicologia Clinica con un'équipe tutta di
psicoanalisti o allievi psicoanalisti nell’Ospedale Psichiatrico
“Paolo Pini” è entrato nel cuore della follia e ha formato
generazioni di psichiatri; Dario De Martis, professore di
Psichiatria all'Università di Pavia, creatore insieme a Fausto
Petrella di una scuola di psichiatria analiticamente orientata,
che ancora oggi costituisce un punto di riferimento di eccellenza
nel panorama della psichiatria italiana, ripiegata spesso sui
binari di sedazione e riabilitazione, silenzio. I loro allievi
hanno dato a istituzioni, sonnecchianti nella routine o
custodialistiche, un nuovo impulso
e una nuova speranza, pur nelle difficoltà obiettive,
proprio perché capaci di riconoscerle e di affrontarle in modi
possibili. Un collega e collaboratore di De Martis, Tebaldo Galli,
psicoanalista, era il primario del SPDC dell'Ospedale San Carlo di
Milano, che ha formulato un progetto terapeutico di lungo respiro
per Vincenzo e ha inviato l'errante extraterrestre delle revolving
doors all'Istituto Fatebenefratelli di San Colombano, con
un'attenta analisi della situazione e delle prospettive possibili [4].
Anna Lastrico, relatrice della tesi di Paola Zanotti, è una delle
allieve della Scuola di De Martis, psichiatra del Fatebenefratelli
di San Colombano e psicoanalista. Giovanni Foresti, allievo di De Martis e psicoanalista, è il Direttore Sanitario
dell'Istituto Fatebenefratelli, a cui dà un'impostazione
innovativa, con programmi di formazione del personale e con una
nuova organizzazione delle cure[5].
Qui nasce l'Atelier 'Adriano e Michele' e il rapporto
indispensabile con Michele Munno e
Bianca Tosatti. Io stessa che ho coltivato la psicoanalisi
dentro e fuori ‘la nicchia ecologica’ [6]
sono chiamata a collaborare con i programmi di formazione e lì
rincontro Vincenzo.
Gli
incontri fatti lungo questo percorso attraverso la riforma
psichiatrica e la cultura psicoanalitica formano un terreno di
coltura in cui ha trovato linfa vitale un paziente dato per
perso, Vincenzo, che, grazie ai suoi 'superpoteri', cioè alla
forza insita nella spinta asintotica presente nella psicosi
(che è la stessa alla base della creatività scientifica e
artistica, come osserva Diatkine, 1991) riesce a realizzare in modi espliciti l'implicito della domanda che mi fece
quando lo incontrai nel lontano 1968 nei corridoi spogli
dell'Ospedale Psichiatrico “Paolo Pini”: è riuscito a
scrivere di sé nel mondo, lasciando traccia della sua
personale soggettività, senza soccombere
nell’annullamento o nel silenzio.
Le
parole di De Martis (1982) mi appaiono ancor oggi illuminanti
per gettare luce sulla difficoltà e sulle prospettive di
percorsi di cura come questo. In un passaggio chiarificatore e
intenso, De Martis descrive
slanci e turbamenti di uno psichiatra che incontra un paziente
psicotico: coglie la necessità e insieme l’arbitrarietà
con la quale il curante, come rappresentante dell’’altro’,
entra nel mondo del paziente, fino a sentirsi egli stesso
sradicato dalle radici del suo essere psicosomatico nel mondo:
“La
persona che mi sta davanti con il suo comportamento
‘diverso’ induce in primo luogo un movimento di
fascinazione, ove si intrecciano curiosità e simpatia,
bisogno di testimoniare in una qualche maniera significativa
il mio desiderio di avvicinamento, di comprensione e di aiuto,
anche se so che mi chiederà molto di più di quanto non sia
disponibile a dargli. Desidererei comunque che si rendesse
conto che è possibile avere, sul piano dell’incontro, nei
confronti di un altro essere umano, sentimenti di spontaneità
e di solidarietà tali da rompere la stereotipia asimmetrica
del rapporto paziente-esperto. Vorrei garantirgli che
sono dalla parte sua, non da quella degli altri. Sono però
respinto, inchiodato al mio ruolo. Intuisco che la paura e la
diffidenza del soggetto lo inducono a vivermi come nemico,
anche se per avventura mi dice ‘per carità, dottore mi
aiuti!’. Sento che al di là di ogni mia intenzione
cosciente una parte di me risponde con una paura e una
diffidenza simmetrica. (…) Mi ritrovo così ad un certo
momento nella posizione tradizionale nei confronti della
follia. Cerco di tranquillizzarmi dicendomi che è lui che mi
costringe, che non accetta la mia mano tesa, il mio sincero
interesse, che mi spinge dall’altra parte vicino ai suoi
persecutori. Ma subito dopo mi domando se non abbia proprio
ragione il mio interlocutore, che è stato capace attraverso
un lungo viaggio in un’esperienza di avvilimento e di
sofferenza, di arrivare al fondo delle cose, di smascherare le
ipocrisie e le false apparenze in cui ci avvolgiamo tutti per
mettere impietosamente a nudo il fondo di angoscia e di vuoto
distruttivo che sta al fondo della natura umana. E’
un’esperienza di cui lui è stato capace e io no. Quindi un
abisso ci separa ed al di là di ogni dichiarazione di
intenti, io sono proprio nella mia natura di tecnico la
controparte, in base ad una antinomia insuperabile. Mio è il
potere mutuato dalla famiglia, dall’organizzazione sociale,
sua è l’impotenza, sua la rivolta e la sfida, anche se
questa si esprime prevalentemente in forma autodistruttiva.”
(167-168).
Il
significato di questo volume non è quello di criticare le
istituzioni psichiatriche imperfette. Non è nemmeno quello di
idealizzare la follia, che resta un'esperienza di rifugio da
una sofferenza insopportabile e di impoverimento del soggetto
rispetto alle esperienze affettive sessuali libidiche che si
è o gli sono state precluse. Il volume vuole seguire il
percorso di un uomo attraverso i dispositivi di cura
istituzionali prima e dopo la 180, e la dialettica di
coesistenza in un individuo tra il desiderio di simbolizzare
la sua esperienza di deprivazione e di dolore e la coazione
all’arroccamento in un mondo isolato, per difesa, per
narcisismo, per odio, per amore.
Le
diverse forme di provvidenza psichiatrica si rendono presenti
lungo la strada percorsa da Vincenzo: si fanno conoscere dal
vivo, attraverso la storia di un uomo, che ne ha fruito in
modi alternati tra l’aiuto e la chiusura, l’esclusione e
il soccorso. Non appaiono nella loro burocratica funzione, ma
nel modo in cui operano attraverso le persone che vi lavorano.
La complessità del soggetto umano, che oscilla tra vertici di
comunicazione e abissi di annullamento di sé e dell'altro, si
dispiega davanti agli occhi del lettore, suscita sgomento e
desiderio di capire, di fare meglio. Le descrizioni
fenomenologiche e le interpretazioni psicoanalitiche fanno un
passo indietro e lasciano spazio alla complessità del
soggetto, che non viene ‘esaurito’ da spiegazioni
illusoriamente risolutive. Iniziative pensate e realizzate con
cura, come l’Atelier di Art Therapy, mostrano la loro
capacità di fare sviluppare potenzialità dormienti.
La
strada percorsa da Vincenzo mostra anche le aperture
impreviste generate dall’incontro con nuove relazioni, dalla
capacità di chi ha colto in lui un desiderio, che fa vivere
Skillinger in tutti coloro nei quali ha lasciato una traccia
profonda e affettiva di ammirazione per la sua capacità di
sopravvivere [7]. I ‘superpoteri’ sono
quelle riserve di desiderio che permettono ai bambini e ai
folli di proiettarsi verso qualche forma di futuro, non
perfetto, carente, zoppicante, ma umano.
Freud
stesso in Al di là del
principio di piacere (1920) ricorda che la Scrittura dice
che zoppicare non è peccato:
“Del
resto possiamo consolarci dei lenti progressi della nostra
conoscenza scientifica con le parole di un poeta:
Was
man nicht erfliegen kann, muss man erhinken.
………………………………………………………
Die Schrift sagt, es ist keine Sünde zu hinken.(1)
(Ciò che non
si può raggiungere a volo, occorre raggiungerlo
zoppicando…
La
Scrittura dice che zoppicare non è una colpa.” (249)[8]
Freud
si identifica con Giacobbe che lotta tutta la notte con
l’angelo che lo azzoppa e che gli assicura che sarà il
progenitore di una numerosa discendenza [9].
Nel suo piccolo, Vincenzo ha lottato contro una forza da
cui si sentiva azzoppato, per potersi assicurare una forma
di discendenza, almeno attraverso i suoi quadri, i suoi
disegni.

Note dell'Autrice:
[2]
“ Essere un carattere significa provare piacere nel
rischio di essere elaborato dall’oggetto, anzi, in parte cercare
oggetti per essere trasformati, man mano che si “subisce” un
cambiamento attraverso il momento elaborativo fornito
dall’integrità dell’oggetto. Ogni ingresso nell’esperienza
di un oggetto assomiglia al rinascere, perché la soggettività
viene informata dall’incontro, la sua storia viene modificata da
un presente estremamente efficace che ne cambia la struttura. “
(Bollas 1992, 58-59)
[4]
Tebaldo Galli era responsabile dell’Unità
Operativa di Psichiatria che accoglieva gli specializzandi della
Scuola di Psichiatria di Pavia, che lì svolgevano il loro tirocinio;
è autore di progetti di innovazione in tutto il suo Servizio
Psichiatrico (vedi gli scritti Uno
spazio condiviso (1994) e altri).
[5]
Giovanni Foresti ripercorre in numerosi scritti il
suo lavoro di rinnovamento. In particolare Foresti G., Rossi Monti M.
(2009). Esercizi di visioning.
Psicoanalisi, psichiatria, istituzioni. Borla, Roma.
[6] Mi
riferisco al titolo di un lavoro che descrive il percorso possibile
della psicoanalisi nelle
istituzioni psichiatriche: Ferruta A. (2003).La psicoanalisi fuori dalla nicchia ecologica.
A contatto con le patologie gravi nelle istituzioni. In:
Rinaldi L. Stati caotici della
mente. Raffaello Cortina Editore, Milano.
[7] Sopravvivere
(2003) è il titolo di un lavoro in cui parlo del valore e del
significato delle attività espressive nelle istituzioni psichiatriche
e nei luoghi di cura.
[8]
(1 Citazione da Die beiden Golden, la versione di
Rückert di un makamat (sermone) di al-Hariri. Freud aveva citato
questi stessi versi nella lettera a Fliess del 20 ottobre 1895).
[9]
Freud
utilizza la metafora della lotta di Giacobbe con l’angelo in una
lettera a Fliess del 7 maggio 1900:
“Nessun critico (…) può vedere meglio di me la
sproporzione esistente tra i problemi e le mie risposte ad essi, e sarà
una giusta punizione per me che
nessuna delle regioni inesplorate della vita psichica, nelle quali io,
primo dei mortali, ho posto piede, riceva il mio nome o si
sottometta alle mie leggi. Quando, nella lotta, il respiro ha
minacciato di mancarmi, ho pregato l’angelo di desistere ed è ciò
che egli ha fatto da allora. Ma non sono stato il più forte, benché
da allora vada zoppicando. Bene, ora ho 44 anni e sono un vecchio
israelita piuttosto meschino, come potrai vedere tu stesso
nell’estate o in autunno. La mia famiglia ha insistito per celebrare
il mio compleanno. La mia unica consolazione è che non ho sbarrato le
vie del loro avvenire. Il mondo è ancora da vivere e da conquistare
per loro, fin dove essi lo potranno. Io lascio loro un gradino su cui
potranno porre piede, non li ho portati su una vetta oltre la quale
non potranno salire. “(447)
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