Home page 

Biblioteca on-line

Chronology

ARTEFATTI STORICI DELLA PSICHIATRIA.

 

Editoriale di Gian Maria Galeazzi e Paolo Curci al n. 2-2004 della Rivista Sperimentale di Freniatria.

 

 

Maitres à dispenser

 

 

Si ringraziano, oltre che gli autori, la Franco Angeli Editore per la disponibilità ad aver autorizzato la pubblicazione sul sito A.S.S.E.Psi. di questo editoriale. Di seguito riportiamo  l'indice del numero della Rivista Sperimentale di Freniatria dedicato agli "artefatti storici della psichiatria".

 


RIVISTA SPERIMENTALE DI FRENIATRIA La rivista della salute mentale Fondata da Carlo Livi nel 1875
Quadrimestrale, anno 129°, canone 2005: Italia € 48,00, estero € 68,00
Direttore : Luigi Tagliabue; Comitato dei Garanti : Valeria Babini (Bologna), Roberto Beneduce (Torino), Eugenio Borgna (Novara), Alberto Burgio (Bologna), Alessandro Dal Lago (Genova), Filippo Maria Ferro (Chieti), Ferruccio Giacanelli (Bologna), Alberto Merini (Bologna), Tito Perlini (Milano), Stefan Priebe (Londra), Michele Ranchetti (Firenze), Franco Rotelli (Napoli), Pier Aldo Rovatti (Trieste), Tullio Seppilli (Perugia), Gianni Tognoni (Milano); Comitato di Redazione : Yvonne Bonner, Anna Maria Burani, Stefano Crosato, Paolo Curci, Gian Maria Galeazzi, Gaddomaria Grassi, Pietro Pascarelli, Raffaele Pellegrino, Cesare Secchi; Segretaria di Redazione : Maria Grazia Pini.
Per contattare la Redazione : Biblioteca C. Livi - AUSL - Via Amendola, 2 - 42100 Reggio Emilia
e-mail: Mariagrazia.Pini@ausl.re.it

 2004, Fascicolo 2

Gian Maria Galeazzi, Paolo Curci, Editoriale
Gian Maria Galeazzi, Paolo Curci, Costruzioni e ragioni degli artefatti psichiatrici
Arnaldo Ballerini, Verità e menzogna della schizofrenia
Vanna Berlincioni, Fausto Petrella, Verità e artificio nell'isteria e nelle personalità multiple
Stefan Priebe, Heinz-Peter Schmiedebach, Artefatti e illusioni terapeutiche in psichiatria
Laura Gemini, La realtà degli artefatti psichiatrici fra individuo e media
Franco Basaglia, Franca Basaglia Ongaro, Un problema di psichiatria, istituzionale. L'esclusione come categoria socio-politica
Paul Roazen, Thomas Szasz, Artefatti in psichiatria. La malattia mentale: il phlogiston della psichiatria
Renato Piccione, Il futuro dei servizi italiani per la salute mentale. Verso l'istituzione inventata

 

 

 

    News del 2003              Gian Maria Galeazzi è psichiatra, dottore di ricerca in Psicobiologia dell'Uomo all'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.

Paolo Curci è Professore Ordinario di Psichiatria all'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.

 

Recensioni dalla stampa 2003
                      Rivista Frenis Zero
Recensioni bibliografiche del 2004
                       
Vai alle News del 2004

 

Recensioni bibliografiche 2003
 

 

 

 

 

L'idea di raccogliere attorno al concetto di artefatto una serie di contributi critici, con l'intento di esercitare uno scrutinio epistemologicamente avvertito e ispirato a una prospettiva storica, nasce innanzitutto dalla preoccupazione circa la relativa carenza di attenzioni e sensibilità di questo tipo negli attuali discorsi sulla psichiatria nella comunità degli operatori e in quella degli studiosi. Modelli e concetti "vincenti" tendono ad essere presentati, accettati, o, meno spesso, criticati, come dati svincolati dalle vicissitudini e dai meccanismi di produzione del sapere, quasi che non abbiano una storia e dipendano esclusivamente dalla disponibilità di nuovi strumenti e tecnologie. Il risultato è che ci si sofferma sui prodotti di tali strumenti e tecnologie più che sulle logiche storicamente determinate della costruzione dei modelli da cui derivano questi stessi prodotti.

Può così capitare, nell'ambito della ricerca, che l'enfasi posta su temi di punta - si prendano come esempio la diagnostica per immagini e, più recentemente, la farmacogenomica - impedisca di apprezzare il significato, che rimane implicito e inconsapevole, sotteso all'affermazione di tali temi come rilevanti. Per di più, le energie critiche disponibili spesso si esauriscono nel tentativo di districarsi tra risultati sperimentali non univoci o addirittura contraddittori, senza riuscire così ad affrontare il problema della collocazione di questi "nuovi" interessi nel contesto di precisi modelli di psichiatria. Quando uno sforzo di contestualizzazione viene fatto, il messaggio suggerito può essere che l'affermarsi di temi e costrutti-guida nella psichiatria attuale corrisponde a processi di accumulazione inverosimilmente progressivi e accomodanti, dove ogni concetto "nuovo" trova il suo posto in maniera indolore e senza incidenti, come la sagomina di un puzzle che si adatta senza sforzo al quadro complessivo, da sinistra a destra, ordinatamente e di continuo. Altre volte ancora, e in maniera quantomeno sommaria - così sembra -, ci si appella a un avvicendamento conflittuale, a volte ricorsivo, di ideologie in antitesi tra loro, a cui peraltro si tende ad affibbiare il suffisso -ismo (lo psicologismo vs. il biologismo), utilizzato a designarne la polarità sgradita.

A chi scrive è parso che affrontare questi problemi attraverso una focalizzazione del costrutto di artefatto offrisse più di un vantaggio. Certamente quello di aiutare a relativizzare modelli e concetti oggi vincenti che appaiono non solo troppo condizionanti e la ricerca e l'operatività quotidiana, ma che appaiono anche poco fecondi per lo sviluppo della disciplina. 

Il punto di partenza, quindi, è quello dell'accezione negativa di artefatto come entità artificiosa e in qualche modo erronea, prodotto di un vizio di misurazione  e/o di interpretazione, che dipende dalle premesse dell'osservatore e che tuttavia si consolida come snodo teorico generalmente accettato nella fondatezza della sua costituzione: rispetto a cui, magari, ci si contrappone senza essere consapevoli, appunto, della sua natura artefattuale, valga per tutti l'esempio della comorbidità come prodotto dei sistemi categoriali di classificazione. Andare alla ricerca di artefatti, quindi, rimanda al bisogno di riuscire a prendere la giusta distanza, mantenere viva una funzione critica dotandosi degli strumenti di osservazione che permettono di non appiattirsi sui discorsi vigenti né darli per scontati.

Vale solo la pena di affermare che con questa operazione non si pretende di detenere un criterio di verità che discenda da una professione di realismo ingenuo, né ci si identifica con teoresi rischiosamente tautologiche come quelle di certo costruzionismo sociale radicale, e ancor meno, ci si vuole presentare come censori in grado di esprimere giudizi di valore sulla base di criteri più o meno idiosincratici.

La nostra proposta consiste in una sorta di "andirivieni" osservativo che adotti una prospettiva storica e che consenta di mettere in evidenza come alcuni concetti della psichiatria, appunto individuabili come artefatti alla luce di paradigmi successivi, continuino a esercitare forti condizionamenti nella psichiatria del presente. L'esempio che più volte viene richiamato nel fascicolo, e che può essere utilmente portato anche in questa sede, è quello dell'inguaribilità e dell'esito difettuale della schizofrenia. Potrebbe essere, questo, una sorta di esercizio attraverso cui affinare una funzione riflessiva e critica capace di rendere più visibili giustapposizioni epistemologicamente problematiche di concetti appartenenti a modelli diversi: giustapposizioni di cui altrimenti si rischia di rimanere inconsapevoli a livello teorico/metodologico, ma ancor più a livello dell'operatività clinica.

Il dialogo con gli autori che hanno partecipato alla costruzione di questo fascicolo ha ampliato e ulteriormente precisato le molteplici accezioni in cui può essere declinato il concetto di artefatto in psichiatria.

Gli argomenti presi in esame e il criterio dichiarato per definirli come artefatti riflettono non solo gli stili e gli interessi degli estensori, ma anche, effettivamente, la pluralità semantica che attiene all'artefatto come significante che partecipa di varie aree di significato, oltre a quella sopra richiamata di errore di osservazione e interpretazione: per esempio, quelle di strumento concettuale, manufatto costruito in maniera finalizzata, opera d'arte, ecc. Soffermarsi su ciascuno dei contributi del fascicolo onde presentarne brevemente la specifica prospettiva adottata nell'affrontare il tema, servirà a chiarire meglio questo punto.

Galeazzi e Curci, oltre a illustrare un possibile concetto di artefatto in psichiatria, utilizzano a fini pragmatici una distinzione/guida semplificata e sostanziale, presentando nel loro contributo una duplice rassegna di artefatti psichiatrici: quelli metodologici, derivanti cioé da nodi epistemologici non risolti, intrinseci alla disciplina psichiatrica; quelli sociali, in cui si riflettono più direttamente istanze di controllo e di contenimento extradisciplinari o addirittura querelle culturali ancora molto accese, come mostra il fatto che i loro esempi sconfinano nella contemporaneità. Se per i primi gli esempi proposti riguardano soprattutto alcuni argomenti classici della psicopatologia e della nosografia (esito difettuale della schizofrenia, dicotomia psicosi schizofrenica/maniaco depressiva, categorialità delle diagnosi), accanto ad altri più attuali (utilizzo di misure di esito parziali), per affrontare i secondi gli autori si servono della chiave di lettura delle Transient Mental Illness di Hacking (applicata a Disturbo Dissociativo d'Identità, Disturbo Post-traumatico da Stress, omosessualità, Disturbo Disforico Premestruale, e alle cosidette "nuove malattie ambientali").

  Foto: Emil Kraepelin

Nella pars destruens iniziale del suo contributo Ballerini accompagna il lettore in un percorso che, attraverso Kraepelin, Bleuler e Schneider, dimostra l'evaporazione dei classici punti di repere nosologici della schizofrenia, di cui appunto illustra gli aspetti artefattuali: l'esito difettuale, il disturbo associativo, i sintomi di I° rango. Nella successiva e ben temperata pars construens, che trova le sue fondamenta nell'originale visione dell'autore sul ruolo della psicopatologia, viene fatta intravedere la possibilità di trovare nel concetto di autismo un (ri)organizzatore di senso della schizofrenia. Sul presupposto di un rigoroso scrutinio metodologico e clinico, l'autore non ci riporta su sentieri già percorsi, ma è capace di reinvestire di significato un concetto classico, sintonizzandolo su frequenze attuali, innovative e stimolanti ancora presenti nell'attuale psichiatria. A differenza di operazioni spericolate a cui purtroppo rischiamo di abituarci, che tendono a sfruttare omonimie di costrutti del passato che poco o nulla hanno a che fare con i significanti moderni che vorrebbero nobilitare con un aura di perennità, la proposta di Ballerini sa connettersi a temi forti della psichiatria del presente, come, per esempio, quello della teoria della mente. 

  Foto: Eugen Bleuler

 

Il contributo di Berlincioni e Petrella trae spunto dalla difficoltà della medicina nell'affrontare condizioni, come quelle attinenti all'area della somatizzazione, dei disturbi fittizi, dell'isteria, che mettono in scacco i consueti mezzi di decifrazione del corpo malato, l'oggettivazione lesionale attraverso metodi sempre più sofisticati e micromolecolari.

Quando la sofferenza del paziente si esprime tramite voci e storie di un corpo che tuttavia o non offre alterazioni somatiche rilevabili o, quando le offre, produce quelle alterazioni proprio come linguaggio di quella sofferenza, anziché viceversa, è necessario uno sforzo interpretativo capace di seguire e non smarrirsi nella trama di questa fiction che ha per scenario il corpo e per protagonista la persona: le personalità alternanti, l'autoscopia e le varie immagini del Doppio sono le figure paradigmatiche portate dagli autori dei modi in cui la  patologia dell'identità prende forma. 

L'artificio narrativo inerente a queste rappresentazioni è lo stesso medium che renderebbe possibile al clinico l'attivazione di categorie di comprensione, che superano le costrizioni dicotomiche tra vero e falso, così come la presunzione di un'originaria e solida unità dell'Io, a cui si sostituisce una molteplicità contraddittoria (che peraltro la cultura del virtuale ha molto contribuito a divulgare). L'importanza dell'attivazione di componenti finzionali e immaginative nella produzione, nell'interpretazione e nella comprensione dei disturbi di cui sopra è sottolineata anche concretamente mediante le tre illustrazioni che essi sottopongono al lettore: immagini che si connettono alla radice "arte" del termine artefatto, a cui è dedicato il presente fascicolo. La prima, una stupefacente fotografia di Umberto Boccioni che impiega proprio l'artifizio del rispecchiamento, presentifica la complessità del dialogo prodotto tra il soggetto, i suoi doppi e l'osservatore; la seconda è una vignetta clinica inusuale, nel senso che è una vera vignetta che narra una storia di liberazione di un paziente dalla sua ombra persecutoria; la terza, una vignetta di Jules Feiffer, amplia il discorso dell'ambiguità, delle forme e delle funzioni del rispecchiamento al campo della relazione amorosa e della presenza sociale del soggetto.

Priebe e Schmiedebach delineano con rigorosa chiarezza espositiva una particolare espressione di artefatto psichiatrico, l'artefatto terapeutico. Esso diventa immediatamente riconoscibile quando viene collegato al suo meccanismo generatore, che gli autori individuano nel bisogno della psichiatria di aderire a illusioni sulla praticabilità ed efficacia dei suoi interventi. Gli autori mettono in luce, come denominatore comune di queste illusioni, diverse funzioni: il desiderio di un'affermazione della psichiatria come disciplina medica a pieno titolo, il consolidamento e il mantenimento dello status degli psichiatri, la ricerca di soluzioni e ricette tranquillizzanti per affrontare la follia ed evitare lo scoraggiamento e il senso di impotenza. 

I quattro esempi riportati, che sono l'istituzione del manicomio, l'eugenetica psichiatrica nella Germania Nazional-Socialista, la fiducia ottimistica e acritica nelle potenzialità salvifiche della psichiatria di comunità o degli psicofarmaci, vengono sinteticamente tratteggiati e correlati alle vicissitudini del loro ambiente disciplinare, culturale e sociale. La chiave di lettura proposta, che esprime una tensione alla comprensione dei motivi umani sottostanti la creazione e il successo degli artefatti, sembra consentire di avvicinarsi a queste tappe problematiche della psichiatria con cui è ineludibile confrontarsi senza dover ricorrere a soverchi meccanismi di negazione o distanziamento. Lo stile del contributo fa da contrappunto all'importanza, alla forza e alla gravità delle affermazioni espresse e testimonia una serenità di giudizio tanto più apprezzabile quanto più risulta difficile mantenerla circa argomenti, come questi, che chiamano in causa la propria storia, identità, e responsabilità di professionisti.

Gemini adotta una prospettiva di osservazione che si potrebbe definire di secondo ordine, nel linguaggio sistemico utilizzato dalla stessa autrice, per affrontare il tema della produzione e degli effetti sociali e individuali di artefatti psichiatrici mediali, alla luce della teoria della comunicazione. Il suo contributo prende le mosse dal riconoscimento che sempre più spesso costrutti che continuano a portare i nomi di categorie psichiatriche, pur essendo reinterpretate secondo le regole comunicative dei media, diventano l'espediente narrativo centrale nella presentazione di opere di fiction o il veicolo concettuale attraverso cui trasmettere notizie di cronaca. Tramite questo processo, propone l'autrice, si costituirebbe un vero e proprio piano semantico mediale, in termini luhmanniani, che si riconnette, da una parte, alla tradizione disciplinare medico-scientifica a cui attinge come scorta di temi e, dall'altra, si articola e partecipa alla costruzione non solo dei discorsi degli spettatori, ma anche della loro individuazione identitaria: infatti, gli spettatori sono indotti a riconoscersi sia per conformità sia per opposizione nelle figure offerte loro dai media ed estrapolate come pretesti dalla psichiatria. I media, quindi, farebbero molto di più che esportare gli artefatti della psichiatria del passato nel discorso sociale. Essi duplicano a loro uso e consumo gli oggetti della psichiatria producendo un nuovo artefatto nel momento in cui interpretano e propongono, per esempio, "la schizofrenia", secondo le regole dei vari programmi,cimentando il pubblico con immagini e storie fittizie che lo confrontano e "lo irritano"anche circa la propria rappresentazione di sé. Il fenomeno che facilita tale effetto di coinvolgimento riflessivo viene individuato nel disaccoppiamento prodotto dai media tra elaborazione dell'informazione ed elaborazione emotiva del suo significato, come viene illustrato attraverso l'analisi del film A beautiful mind di Ron Howard (USA, 2001). 

 

 

In armonia con lo spirito di approfondimento storico di questo numero e in continuità con l'operazione inaugurata nel precedente attraverso la ripresentazione del Caso Mario-Fiacca (vedi RSF CXXVIII,1,2004), si è scelto di ripresentare, a chiusura della sezione di contributi dedicati agli artefatti storici della Psichiatria, un articolo di Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia apparso su Rivista nel 1966, che esamina il meccanismo dell'esclusione come processo sotteso ai fenomeni di istituzionalizzazione. Il lavoro, oltre a citare in modo esplicito il termine di artefatto manicomiale, prefigura il rischio, assai attuale, che una "istituzionalizzazione molle" sostituisca le pratiche emarginanti dell'asilo, attraverso forme di controllo, soprattutto di tipo paternalistico, più subdolamente alienanti. 

Certo, non è facile realizzare il monito basagliano circa il bisogno per la psichiatria <<di formulare un abbozzo di sistema cui riferirsi, per subito trascenderlo e distruggerlo>>, mantenendo anche memoria e consapevolezza dei processi di avvicendamento di tali sistemi e dei loro residui persistenti, compito che può costituire il fulcro ideale su cui si articola la serie di contributi qui presentati. Essi, pur valorizzando le funzioni pragmatiche, conservative e costruttive degli artefatti psichiatrici del passato, ne mettono in luce i limiti, i rischi e, in qualche caso, anche le miserie: senza cedere a tentazioni iconoclastiche. In particolare, ciascuno dei lavori qui presentati sembra avere anche implicazioni propositive e costruttive rispetto al presente e all'immediato futuro. Tali paiono, per esempio, il concetto di autismo suggerito da Ballerini come ipotesi psicopatologica di lavoro per una rifondazione di senso della schizofrenia; l'invito di Berlincioni e Petrella al terapeuta ad attivare una funzione "poetica" nell'accezione etimologica del termine; il commento di chiusura di Priebe e Schmiedebach circa il bisogno di illusioni positive, equidistanti tanto da incubi di impotenza quanto da deliri di onnipotenza, per continuare a svolgere il lavoro dello psichiatra; il richiamo ad una "presa di posizione" responsabile nei confronti delle "irritazioni" mediatiche implicito nelle considerazioni finali di Gemini. Ed è, ancora, nella vibrante tensione etica che anima lo scritto basagliano che è forse possibile individuare una via per percorrere il proposto esercizio di epoché disciplinare (un costante processo di costruzione e decostruzione che può essere il rimedio al costituirsi ed al consolidarsi di pratiche e di concezioni acritiche e dogmatiche), e continuare a servire il fine di valorizzare appieno le risorse di realizzazione e di libertà di coloro che alla psichiatria si rivolgono e/o vengono indirizzati.

L'indicazione di questi obiettivi contribuisce a rendere, a nostro parere, un tema a prevalente carattere storico, come quello degli artefatti psichiatrici, di viva attualità collocandosi a pieno nel dibattito circa l'evoluzione dei principi etici della medicina, che tende ad attribuire anche nella relazione medico-paziente imprescindibile centralità alla persona e ai suoi diritti che rimandano ai concetti di dignità umana anche di fronte alle scelte morali.

 

Gian Maria Galeazzi,  Paolo Curci

 

 

 

 

Copyright- 2004-2005 A.S.S.E.Psi.- Ce.Psi.Di.

Editor del sito web e responsabile editoriale: Giuseppe Leo