1 –
Frammenti e testimonianze dalle carte manicomiali
(clicca qui )
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2.1 –
Fonti medico-psichiatriche
(clicca qui)
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2.2 –
Fonti giudiziario-militari e amministrative
(clicca qui)
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2.3 –
Testimonianze personali
(clicca qui)
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3 –
La concretezza del potere, la straordinarietà del
quotidiano
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4 –
Inventari biografici dall’universo follia
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NOTE
[i]
Ettore Pecci nacque a Roma il 01 Giugno 1891. Arruolato nel 65°
Reggimento di Fanteria di stanza a Cremona, prese probabilmente parte
alla prima fase della Campagna di Libia e certamente entrò in contatto
con i reduci delle battaglie. Il 29 Luglio 1912, mentre si trovava nella
città lombarda, a seguito di uno scontro con non meglio precisati
“giovinastri” fu arrestato e rinchiuso nel comparto osservazione del
locale Manicomio dalle autorità di Pubblica Sicurezza. Una settimana
dopo, e cioè il 06 Agosto 1912 veniva dimesso. L’esito dell’osservazione
era: “Non riconosciuta pazzia”. Abile disegnatore, del Pecci sono
conservate nella cartella clinica (Fondo Ospedale Psichiatrico
Provinciale di Cremona, b.89, c.c. 2082) numerose illustrazioni, a
pastello e generalmente di tema guerresco-patriottico, che in parte
riproduco in bianco e nero di seguito grazie all’autorizzazione
concessami dalla dott.ssa Bellardi, direttrice dell’Archivio di Stato di
Cremona. Dello stesso Pecci, sono infine custodite due lettere, una
indirizzata al direttore del Manicomio di Cremona e l’altra alla madre.
I - “Illustrissimo signor Direttore, con il cuore affranto dal dolore
per la mia povera vecchia madre, la vengo a chiedere, con questo mio
misero scritto, una grazia. Come il nostro Signore, potrebbe ridonare la
vita ad un morto, così anche lei potrebbe ridonare ad un cuore così
giovane, quella vigoria, quella forza, quel non soché, che potrebbe
giovare ad un povero figlio, che bramerebbe di correre in aiuto alla sua
propria madre, e di toglierla dalla squallida miseria in cui è gettata.
Ma si figuri Illustrissimo, anche lei avrà una madre, ho perlomeno
l’avrà avuta; cosa avrebbe sofferto il suo povero cuore, se aveste visto
ho avesse saputo che la sua cara mamma si fosse trovata nelle
sofferenze? Non so immaginarlo neanch’io il dolore che avrebbe provato,
e le lagrime che avrebbe versato, come le ho versate io, e le verso
tutt’ora, e le verserò fin tanto non mi sarà dato, di poter far felice
la mia povera vecchierella, che mi attende con le braccia a perte a
tutti i momenti. Pensi Illustrissimo, che facendo opera di carità come
questa, potrebbe ricevere miglioni, e miglioni di preghiere per il buon
vivere di lei e della sua cara famiglia. Mi raccomando Illustrissimo, lo
faccia per quanto vuole bene ai suoi figli, ascolti questa mia misera
preghiera, la esaudisca, pronunci quella parola che per me potrebbe
essere un balsamo, e alla mia povera madre, che ora conta 59 anni, le
potrebbe ridonare la vita. Dunque, in lei confido, in lei ho tutto le
mie speranze, e nelle sue mani ho deposto la mia vita, la mia sorte.
Guardì! Per mia sfortuna, nella visita medica del giorno 11 di questo
mese, fui fatto inabile al servizio di guerra, almeno se mi avevano
fatto abile, ero più contento, perché almeno andavo, se potevo, a
trovare la morte da me, per dar termine ai miei dolori, e così quando
che sarei stato morto, non avrei pensato più a nulla. Basta Ill.mo come
ripeto, in Lei ho riposto la mia vita, il mio tutto, e in lei tengo
ferma la mia fiducia, dunque, per non annoiarlo tralascio, facendole i
miei anticipati ringraziamenti e fiducioso di lei mi dico suo umile e
devoto servo. Pecci Ettore. Cremona 19 – 2 – 1912”. II – “Cremona
4-8-912. Cara mamma Forse tu chi sa a che addebiterai il mio lungo
silenzio. Da quando ti ho scritto da casa della Lina, non ho potuto più
scriverti, e ne ottenere alcuna tua risposta, ma tutto a causa di una
disgrazia successami la notte del giorno 28 di Luglio, dalla quale ora
ti metterò alla luce di tutto. Il giorno 28 domenica, dopo di avere
fatto una gita in bicicletta in un paese ad alcuni chilometri da
Cremona, da dove ne fui di ritorno la sera circa le ore 9
3/4, andetti a casa, posai la macchina e mi recai a mangiare, dopo
mangiato mi recai a fare na passeggiata per prendere un caffè, in un
negozio di mia conoscenza, da quando ero militare. Gustata che ebbi la
consumazione, restai a parlare con degli amici, verso un’ora un poco
tarda entrò in questo caffè una donna la quale da più di un anno è
amante di un mio compagno di Roma, un tal Farinelli, il quale si trova
tutt’ora in Tripolitania, anche io conosco questa donna, ma per parte di
questo mio amico. Ora quando questa donna entrò, si fermò a ragionare,
ma quando fu circa mezzanotte, ora di serrare l’esercizio, si uscì in
compagnia e si andava ragionando. Strada facendo, passammo in una via,
per nome via Astenio, passando davanti ad un caffè e in osteria uscivano
una combine di circa 15 o 16 giovinastri, che di tutto avevano
intenzione buona, fuori che di farsi i fatti loro. uscendo da questo
esercizio cantavano gridavano, in quel frattempo, destino infame, mi
incontrai a passare di li, e questi con un gran urtone mi si
precipitarono a dosso a me e la donna che veniva in mia compagnia. certo
chi è, che in quel momento non avrebbe reaggito? io non guardai il
numero di tanti, e menai un pugno al primo che mi piombò sopra, non feci
attempo a ritirar la mano che furono tutti sopra a me. Fui tempestato di
pugni calci e fui fatto segno anche a qualche colpo di coltello, tanto è
vero, che la giacca nuova marone è stata forata da 4 o 5 colpi, che ho
fatto rammendare ma che sono ancora visibili, tutto ho dovuto alla mia
sveltezza e alla mia energia, se non ricevei qualche coltellata. Ma
svelto come una freccia entrai nel Caffè afferrai una bottiglia dei
gazzosini e la scagliai contro quei forsennati, ma poi vedendo che non
avevo altro mezzo di difesa, fuggii nell’interno del caffè, che conduce
a l’osteria, e loro mi seguivano minacciandomi, combinazione vuole trovo
sopra un tavolo un coltello, e allora mi scagliai per difendermi, e
allora vedendomi con il coltello fuggirono, ma non potei raggiungere
alcuno, tornai a casa. La mattina seguente, fui arrestato e invece di
andare in carcere, fui portato al Manicomio, col dire che quella sera
ero diventato pazzo, perché non è come ho detto io, ma bens’ senza
alcuna causa, mi misi a minacciare i passanti con questo coltello,
perché colto dalla pazzia. Questo è quello che i giornali anno
pubblicato. Ma presto uscirò, e potrò portare le mie ragioni innanzi
alla giustizia. Tralascio perché non ho più spazio, e tralasciando invio
saluti a mio fratello baci alle nipotine, e tu ricevi mille baci da tuo
figlio Ettore, quello che mi raccomando nessuno sappia che sono al
manicomio. Non rispondere fin quando ti farò sapere se sto al carcere”.
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ii]
Cenni storici del 65° Reggimento Fanteria. Il 65° Reggimento Fanteria fu
costituito il primo agosto 1862 a San Maurizio (Torino) e andò a formare
col gemello 66° Reggimento la Brigata “Valtellina”. Dislocato a Genova
nello stesso anno, il Reggimento concorse con uno dei quattro
battaglioni (a rotazione) all’attività di repressione del brigantaggio,
operando tra Lentini – Niscemi – Palma - Sciacca – Cattolica –
Castelvetrano – Marsala e Bagheria. Nel 1866, in vista della
mobilitazione per la guerra contro l’Austria, il 65° Fanteria fu
trasferito nel Cremonese, da cui mosse prendendo parte ai combattimenti
- con i reggimenti della Brigata “Brescia” – inquadrato nella Va
Divisione (Generale Sirtori). Il 12 agosto 1866, in conseguenza
dell’armistizio, prende alloggiamento a Treviso. Nel novembre, tuttavia,
muove per raggiungere di nuovo le province meridionali, accasermandosi a
Eboli. Negli anni 1867 – 68 – 69 il 65° Fanteria porta valido contributo
alla repressione del brigantaggio. Nel 1870 due battaglioni sbarcano a
Pizzo ed inquadrati nella colonna al comando del Colonnello Millon
prendono parte attiva al soffocamento dei moti insurrezionali scoppiati
nelle Calabrie. Nel 1885 il 1° ed il 2° battaglione del Reggimento,
rinforzati con uomini del 3°, partono in settembre per la Sicilia per un
nuovo turno di P. S. (Canicattì e Girgenti). Nel 1887 la 3a
compagnia del Reggimento è destinata alla formazione del 5° battaglione
Cacciatori d’Africa e parte col corpo di spedizione S. Marzano,
partecipando alla occupazione del Piano di Saati. Numerosi volontari,
nel 1896, raggiungono l’Eritrea alla ripresa delle ostilità. Ad Adua 47
fanti del 65° perdono la vita, mentre altri muoiono nei combattimenti di
M. Mocram e Tocruf. Durante la guerra Italo-Turca (1911 – 1912) il 65°
Fanteria concorre alla mobilitazione, impegnando 24 ufficiali, 26
sottufficiali e 1.503 soldati di truppa. Nei combattimenti – esclusi i
deceduti per malattia – perdono la vita 18 soldati. Allo scoppio della
conflagrazione europea il Reggimento è di stanza a Cremona. Al principio
del 1915 raggiunge la destra dello Iudrio, fra Castel del Monte e Janich,
inquadrato nella 7a Divisione (IV Corpo d’Armata). Il 24
maggio il Reggimento assalta le deboli resistenze austriache del Monte
Korada. Tra il 3 ed il 18 giugno ha l’ordine di impegnare e offendere le
fanterie nemiche attestate sulla riva sinistra dell’Isonzo. Il 21 giugno
è trasferito a Tolmino, ed in concorso col 66° Fanteria attacca il 4
luglio le formidabili posizioni nemiche di Santa Lucia. L’azione si
rivela impossibile a causa dell’eccezionale sistema difensivo
austro-ungherese. Oltre 250 uomini del 65° Fanteria sono così messi
fuori combattimento. Dopo un breve periodo di relativa calma alla
fronte, il 14 agosto si riprende l’attacco all’altura di Santa Lucia.
Fino a settembre il Reggimento si dissangua, realizzando solo lievi
progressi sul campo. Iniziatasi il 18 ottobre la terza battaglia
dell’Isonzo, la lotta sulle alture di Santa Lucia si riaccende più
violenta che mai, raggiungendo il 21 ottobre intensità inconsuete. Le
difficoltà date dai reticolati nemici che si ripresentano intatti ad
ogni assalto ed il dominio assoluto del terreno da parte del nemico
fanno che sì che il reggimento, nonostante i tenaci sforzi, non ottenga
altro che successi locali e parziali. Il 26 novembre l’attacco viene
nuovamente ripreso e protratto fino al 2 dicembre quando, riconosciuta
la impossibilità di una azione fatta con i mezzi comuni, si mette mano
ai lavori di approccio e di rafforzamento. Dal 10 al 19 marzo 1916 il
Reggimento torna alla carica, ma anche le difese nemiche sono state
riapprontate e migliorate. Al termine del ciclo operativo, il 65°
Fanteria lamenta 23 ufficiali morti, 57 feriti e 2 dispersi; e 229
uomini di truppa deceduti, 1.612 feriti e 25 dispersi. Il 26 marzo, dopo
ben dieci mesi di prima linea, il Reggimento riceve il cambio. Sosta
dapprima a Cividale, quindi a Brescia per 12 giorni di riposo, da ultimo
raggiunge le Giudicarie dietro ordine del Comando Supremo messo in
allarme dalle pressanti richieste trasmesse dal generale Brusati (Ia
Armata) circa un’imminente offensiva nemica. Il 27 aprile è di nuovo in
linea sul tratto P. Eroina – Cima Palone – M. Mellino, dove compie il
proprio dovere con abnegazione e morale elevatissimo. Il 13 ottobre
giunge l’ordine di raggiungere il basso Isonzo. Il 28 ottobre è a
Vermegliano – settore di Doberdò – inquadrato nella 33a
Divisione. Durante la nona battaglia dell’Isonzo costituisce l’ala
destra della III a Armata con compiti essenzialmente
dimostrativi. Tra il 31 ottobre ed il 1 novembre il Reggimento occupa le
trincee a monte Sei Busi, dando il cambio ai pochi superstiti della
Brigata “Macerata”. Da qui, alle ore 13 del 02 novembre, si lancia
all’attacco delle munitissime posizioni nemiche. Con slancio ed eroismo
il reggimento raggiunge l’obiettivo: le posizioni di quota 208 sono
conquistate. In venti minuti il reggimento perde 26 Ufficiali fra morti
e feriti ed 836 uomini di truppa. Il 50% circa della forza è messo fuori
combattimento. Alla metà di gennaio del 1917 il 65° si trasferisce nel
Trentino, ed il 5 marzo entra in linea sul Pasubio alle dipendenze della
XLIVa Divisione, occupando le posizioni sul “Panettone”, che
mantiene fino alla notte del 3 luglio 1917. Due giorni dopo il
Reggimento raggiunge Redipuglia, alla dipendenze della LXIa
Divisione. Dopo un periodo di riposo, il 17 agosto il reggimento torna
in linea. Il 19 agosto, col 66° Fanteria, il Reggimento è inquadrato nel
23° Corpo d’Armata del generale Diaz, con l’ordine di assaltare i ruderi
di Selo e di Stari Lokwa dove sono dislocate nidi di mitragliatrici
nemiche. Il 21 agosto alle ore 13 comincia la battaglia. Il 2° ed il 3°
battaglione del reggimento si lanciano in avanti. Cinque ore dopo, alle
18, la linea dello Stari-Lokwa viene raggiunta. Tuttavia, una pronta e
violentissima reazione nemica si inizia. Quasi tutti gli ufficiali e
buona parte della truppa si sacrifica sul posto, fedele al motto
reggimentale tratto da D’Annunzio: Per Se Fulget. Tra morti e feriti
oltre mille uomini restano sul campo nell’azione del 21 agosto. La
ricorrenza negli anni successivi del combattimento di Selo diverrà
occasione della festa reggimentale. Nella notte del 24 dello stesso mese
ciò che resta del Reggimento riceve il cambio, ed inizia l’opera di
riordino dei battaglioni. Il 4 settembre il 65°, dando il cambio alle
truppe del 78° Fanteria, occupa le posizioni di Flondar. Nella mattinata
stessa, nel momento delicato del passaggio di consegne, il nemico sferra
un pesantissimo attacco. La lotta è violentissima ed il 2° battaglione
del Reggimento è quasi completamente distrutto. La scontro si svolge
furibondo specie attorno e dentro la galleria ove gli uomini non si
arrendono. La difesa cessa solamente quando il deposito delle munizioni
della galleria salta in aria, seppellendo uomini – italiani e austriaci
– ed armi. Nella giornata del 4 settembre il Reggimento denuncia la
perdita di quasi il 70% degli effettivi. Il 10 settembre, ridotto a
circa 300 uomini, il 65° Fanteria scende a Villa Raspa per
ricostituirsi. Il 29 dello stesso mese viene dislocato in Val d’Ampola
alle dipendenze della VIa Divisione, ove trascorre un periodo
di relativa calma fino al marzo 1918. Il 1 maggio il Reggimento entra in
linea nel tratto Lavanek – M- Melino (Val Camonica), mentre il 26 luglio
passa in riserva nei pressi di Bagolino (Val Caffaro). Il 10 settembre
inizia un nuovo trasferimento, raggiungendo il 16 la periferia di
Vicenza agli ordini della VIa Divisione. Il 22 ottobre il 65°
Fanteria si schiera sul monte Cengio. Nell’ambito dell’offensiva finale
del Regio Esercito, ha il compito di mantenere una costante pressione
nel settore di Coma Tre Pezzi. Appena il felice esito delle nostre
operazioni sul Montello e sul Grappa si ripercuote anche sulla fronte
Astico – Altipiani, che comincia a sgretolarsi, il Reggimento si lancia
in avanti verso i nuovi confini d’Italia. Il 2 novembre è a Spitz di
Rotzo, il 3 a Casotto, il 4 a Carbonara. Alle ore 15 del 4 novembre ha
catturato circa 1800 prigionieri ed ingente bottino di guerra. Il 6 è a
Trento, l’8 a Gadino, il 10 a Franzfeste, il 13 a Freinfelde, il 20 a
Steinach, il 22 a Pactch e nei giorni successivi raggiunge Hall e
Insbruck. Dai documenti ufficiali, risulta che il Reggimento nella
guerra europea ebbe 83 ufficiali e 1402 uomini di truppa morti sul
campo, e circa 6.000 feriti, molti dei quali decedettero in seguito
negli ospedali territoriali o furono costretti a subire pesantissime
amputazioni. E’ doveroso poi ricordare che uomini del 65° Reggimento
concorsero alla formazione dei reggimenti 99° e 279° e alla costituzione
del 18° Reparto d’Assalto. Decorato di Ordine Militare d'Italia, il
reggimento, costituito come detto il 1° agosto 1862 si scioglie il 31
maggio 1943 in Tunisia. (Da: Cenni storici del 65° Reggimento
Fanteria, Mario Casarola Editore, Piacenza s.d. [1925], pp.5 – 25). |
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