Redatte
dai tre clinici che s’alternarono durante il conflitto alla direzione
del manicomio – l’antropologo Giuseppe Amadei (1854-1919), da Lombroso
considerato tra i migliori discepoli; lo psichiatra aggiunto Giorgio
Pardo, la cui reggenza interinale dell’asilo verrà stroncata da
un’inchiesta segreta della Deputazione Provinciale; ed il
neuropsichiatra Renato Rebizzi (1879-1942), allievo delle celebre
scuola fiorentina di Eugenio Tanzi ed Ernesto Lugaro[i]
– tra le fonti alienistiche si rinvengono soprattutto anamnesi,
diagnosi, frettolose perizie ed improbabili diari terapeutici. E’ merito
di queste carte, lungo il binario obbligato di un’induzione positivista
alla ricerca della causalità patologica all’interno delle griglie
biologico-organicistiche, consentire al lettore di ritrovare lo spettro
oggettivizzante la storicità delle malattie mentali. Auto-erigendosi
sopra un meccanismo di accumulazione che incrosta progressivamente
quelle che sono soltanto presunzioni o false notizie relative
all’ammalato di regola non verificate o dall’incerta provenienza, e
nella cornice di un pessimismo sociale che appartiene a pieno titolo
all’intelligencija positivistica[ii],
anamnesi, diagnosi e perizie permettono di dimensionare la cifra
caratterizzante di un’interpretazione psichiatrica generata dal solido
intreccio di determinazioni scientifiche e valutazioni morali.
Paradigmatico il caso del fante del 40° Reggimento, C. G. da Altavilla
Irpina, accolto a Cremona per «costituzione paranoica in soggetto
affetto da deficienza morale ed intellettuale». Voci solo supposte nella
comunicazione dell’Ufficio Maggiorità dell’Ospedale Militare di Cremona
del 30 luglio 1917, divengono certezze ed elementi omni-esplicativi
nell’esame psichiatrico del “Riassunto Anamnestico e diagnosi” di due
settimane dopo, controfirmato dal direttore del manicomio senza che, in
realtà, abbiano avuto luogo accertamenti degni di tal nome[iii].
Una cifra
interpretativa ed una peculiare pratica della psichiatria, quelle sopra
ricordate, in auge non solo a Cremona. Le direzioni degli asili di Como,
Verona, Reggio Emilia, Collegno-Torino, Bologna, Volterra, Crema,
Voghera-Pavia, Alessandria, Brescia, Aversa, Cuneo-Racconigi, Udine; le
sezioni comando dei reparti neuro-psichiatrici militari di Imola e Como,
e la sovrintendenza del Centro Militare di 1a Raccolta di
Reggio Emilia - istituito frettolosamente organizzato dopo la rotta di
Caporetto con lo scopo preciso di fungere da filtro per tutti
quei combattenti che, idonei alle fatiche della guerra, erano riusciti a
«sfuggire all’osservazione dei Consulenti e dei reparti avanzati,
restituendoli alle truppe»[iv]
- sono altrettanto solerte nel condividere un vocabolario ed un
empirismo inquinato da stereotipi e moduli parascientifici che
consentono oggi di dimensionare il quadro di una psichiatria italiana
sostanzialmente concorde e compatta nella trattazione del problema dei
folli di guerra. D’altro canto, in pagine e pagine di materiale
archivistico, l’unica rilevante frizione rintracciabile tra alienisti
riguarda lo scontro a distanza che oppose Renato Rebizzi al direttore
del manicomio di Brescia, Seppilli. Concordi nel denigrare una
magistratura militare che procedeva a tentoni tra imbarazzi,
ripensamenti e scelte singolari, a dividerli fu l’antico problema della
competenza delle spese per il sostentamento dei dementi. Premesso che
«al sottoscritto non fanno più meraviglia certe decisioni del Tribunale
di Guerra», con una certa rudezza tagliava corto Rebizzi coll’esimio
collega: «non poteva la Provincia di Cremona mantenere un bresciano per
risparmiare una seccatura al Direttore del Manicomio di Brescia»[v].
Le voci,
più uniformi che discordi degli psichiatri, non esauriscono l’attivismo
della componente medica. Cospicue sono anche le comunicazioni della
sanità militare dalla zone di guerra, e numerosi i certificati
rilasciati dagli ospedali della riserva di Soresina, Cremona, Piacenza,
Livorno, Cervignano e Udine. Non mancano le note dei medici condotti, i
quali, in virtù di un grado di superiore familiarità con gli ammalati,
come nel caso dei medici di Gussola e Solarolo Rainero - località
entrambe in provincia di Cremona - e Montecarlo San Salvatore (Lucca),
sembrano almeno superficialmente esprimere una differente attenzione per
la sorte dei ricoverati, svolgendo una funzione di vera e propria
intermediazione tra la direzione manicomiale e le famiglie degli
sfortunati combattenti[vi].
Nella
scia lunga e dolorosa nel tempo delle ingiurie del conflitto,
emblematici, infine, di una visione della malattia mentale ancora troppo
distratta dalla presunta pericolosità sociale del folle, i resoconti
degli ufficiali sanitari dei comuni di Piadena (nel 1940), Grumello
Cremonese (1940) e Casteldidone (1942), comandati a sorvegliare
annualmente atti e contegno degli ex ricoverati a più di vent’anni dalla
conclusione delle ostilità. Evidentemente, per la cultura
burocratico-amministrativa il riflesso pavloviano che induceva ad
associare follia e criminalità (potenziale) era ancora lontano
dall’estinguersi.
Come
monofonica appare dall’interno la voce della psichiatrica, così è
un’illusione attendere accenti od inflessioni nuove, rispetto alle
infermità, al loro decorso, cause e cura, dalla spoglio della
documentazione scientifica prodotta dai medici non specialisti delle
patologie mentali. All’opposto, queste carte permettono di graduare con
estrema precisione l’influenza omologante del paradigma psichiatrico di
marca lombrosiano-positivista. E’ attraverso le ricostruzioni fattuali
ivi avvalorate che, una corporazione sanitaria sollecitata da un
conformismo buono per evitare guai e scocciature, esprime il tentativo
più organico - e comune anche a questurini, sindaci e fin anche
familiari dei folli – d’individuare precedenti mnesici ed ereditari,
stranezze biografiche od eventi topici in grado, come incipit
lavici riemersi nelle vicissitudini della guerra, di comprovare
retroattivamente ma definitivamente la futura carriera morale del malato
mentale.
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NOTE:
[i]
Il giudizio di Cesare Lombroso su Giuseppe Amadei (Cavriana 1854 –
Brescia 1919) può essere letto in A. Boschi, Il Manicomio di
Cremona, in “La Provincia”, 21-22 giugno 1903. Un breve ricordo
di Renato Rebizzi (Lecce 1879 –Milano 1942), nel necrologio
pubblicato nella “Rivista Sperimentale di Freniatria”, LXVI, 1942, p.187.
La vicenda qui solo menzionata del dott. Giorgio Pardo, allontanato
dal Manicomio con l’accusa di aver abusato di alcune ricoverate,
sarà oggetto di un mio prossimo studio.
[ii]
M. Salvati, Cittadini e governanti, Roma Bari 1997, p.32. Per
un approfondimento, S. Manente, A. Scartabellati, Ipotesi e
tracce per lo studio di una biografia di gruppo tra scienza e
identità della politica (1894-1927), in “Teorie & Modelli”, n.2,
2005, pp.83-105.
[iii]
Cartella clinica n. 39.
[iv]
E. Riva, Il Centro Psichiatrico Militare di 1a
Raccolta, in “Rivista Sperimentale di Freniatria”, a. XLIII,
1919, p.319.
[v]
Cartella clinica, n. 123, comunicazione del 26 gennaio 1918.
[vi]
Cfr. cartelle cliniche nn. 112 e 135.
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