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 Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte  

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Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

Edizioni "Frenis Zero"

Recensioni Bibliografiche

 

  Segnalazione del libro "ID-ENTITA' MEDITERRANEE. PSICOANALISI E LUOGHI DELLA MEMORIA"

 

 

  a cura di Giuseppe Leo

  

 

 

Scheda libro:

Giuseppe Leo (a cura di), Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria, scritti di J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia,  A. Coen, A. Cusin, G. Dana,  J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti,   F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin, H.-J. Wirth, Collana Id-entità mediterranee, Edizioni Frenis Zero, Lecce, 2010, pagg. 520, ISBN 978-88-903710-2-8, € 30,00.

Per ordinare il libro  clicca su http://ilmiolibro.kataweb.it/libro.asp?id=426253 oppure su Lulu.com

 

Un'anteprima limitata del libro è visualizzabile su all'indirizzo www.id-entitamediterranee.tk

INDICE:

 Ringraziamenti del curatore                          

 Prefazione di Nicole Janigro                          

 <<Luoghi della memoria, traumi collettivi e disagi delle id-entità del Mediterraneo>> di Giuseppe Leo                                             

<<Il disagio del mondo moderno, i fondamenti della vita psichica ed il quadro metapsichico della sofferenza contemporanea>> di René  Kaës                                         

 <<Le immagini e le parole. Un percorso su una via di ritorno dall’esilio>> di Marina Breccia              

 

Sezione: LA PSICOANALISI E I DISAGI DELLE CIVILTà MEDITERRANEE

 

<<Invisibilità di un disagio>> di Ambra Cusin     

 <<Paesaggi in mutazione: dalla pace alla guerra, dalla guerra alla pace>> di Nicole  Janigro   

 <<Vostro il delitto, nostro il castigo: sradicati dall’Ararat, accolti nella culla mediterranea>> di Manuela Avakian                                       

<<Un’emozione indelebile insiste nel volersi scrivere>> di Janine Altounian                   

Sezione: PSICOANALISI, TRAUMA E   TRASMISSIONE TRANSGENERAZIONALE

 

<<Ricordare, trauma e memoria collettiva. La lotta per il ricordare in psicoanalisi>> di Werner Bohleber                                        

<<Trauma e resilienza>> di Sverre Varvin         

 <<L’ambiguità come difesa in condizioni di trauma estremo>> di Silvia Amati Sas         

 <<Lealtà scisse nei figli della terza generazione dei nazisti. Il caso di Lisa>> di Hendrika Halberstadt-Freud       

 <<Ritorno a Dresda. La visione di una psicoanalista sul trauma e sulla guarigione>> di Maria Ritter                                                

Sezione: I DISAGI DELLE CIVILTà MEDIO-ORIENTALI

 

<<Esplorazioni psicoanalitiche sulla crisi medio-orientale>> di Yolanda Gampel               

 <<Riflessioni psicoanalitiche su Israele e l’assedio di Gaza>> di Judith Deutsch               

 <<Ricordare, ripetere e non elaborare: sulla possibilità di interagire nel conflitto israelo-palestinese>> di Hans-Jürgen Wirth                                    

 

Sezione: PSICOANALISI, MEMORIA ED ARTE

 

<<Alla ricerca del Sé tra le pieghe della memoria>> di Franca Mazzei           

 <<I luoghi del sogno e della memoria nel cinema>> di Massimo Maisetti           

 <<Medea… un’identità altra>> di Santa Fizzarotti Selvaggi      

 

Sezione: LA VERGOGNA E IL TRANSFERT

 

<<La vergogna nel transfert>>  di Cosimo Trono        

 <<Ho la vergogna>> di Abram Coen               

 <<Fra-i-due, o la vergogna vinta dalla collera>> di Guy Dana                       

 

                            


 

 Ringraziamenti del curatore:

 

Vorrei esprimere riconoscenza e  ringraziare tutti coloro che, a vario titolo, hanno dato il loro contributo alla rivista di psicoanalisi “Frenis Zero”, nei sei anni della sua vita. Il 5 aprile 2008 si tenne a Lecce il primo convegno internazionale organizzato da Frenis Zero il cui titolo era “Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria”. I relatori erano: Manuela Avakian (scrittrice di Taranto), Uccio Biondi (artista di Brindisi), Abram Coen (psichiatra di Parigi), Ambra Cusin (psicoanalista S.P.I. di Trieste), Guy Dana (psicoanalista di Parigi), Santa Fizzarotti Selvaggi (psicoterapeuta e scrittrice di Bari), Giovanni Invitto (filosofo dell’Università di Lecce), Nicole Janigro (analista e saggista di Milano),  Massimo Maisetti (critico cinematografico di Milano), Franca Maisetti Mazzei (psicoanalista di Milano) e Cosimo Trono (psicoanalista di Parigi). Questo libro ha preso spunto dai temi affrontati in quel convegno per ampliarli grazie ai contributi di eminenti psicoanalisti che hanno messo a disposizione i loro scritti  per inaugurare un progetto editoriale ed una collana di libri che vorrebbero porre la psicoanalisi e la storia del Mediterraneo ai due poli di una riflessione ‘al confine’ tra psicologia e sociologia, tra  psicoterapia degli individui e dei gruppi e clinica delle psicopatologie sociali. Desidero ringraziare anche Silvia Godelli, Assessore alla Cultura ed al Mediterraneo della Regione Puglia, e Giuseppe Luigi Palma, Presidente Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, per aver introdotto con competenza in quell’occasione i lavori congressuali. Un sentito ringraziamento va anche  ai membri del  comitato scientifico di Frenis Zero, ed in particolare a Brenno Boccadoro (Ginevra), Marina Breccia (Pisa), Mario Colucci (Trieste), Lidia De Rita (Bari), Patrizia Guarnieri (Firenze), Livia Marigonda (Venezia), Predrag Matvejevic’ (Zagabria), Salomon Resnik (Parigi), Mario Rossi Monti (Firenze) e Mario Scarcella (Messina). Nicole Janigro in qualità di Direttore Editoriale di Frenis Zero ha avuto quel ruolo di interlocutore competente e generoso nel progettare  l’impianto generale del libro e valorizzarne l’eterogeneità dei contributi: gli incontri avuti con lei a Milano  sono riusciti a rendere possibile un lavoro di tessitura artigianale senza il quale questo libro non avrebbe avuto ‘né capo né coda’. A lei la più grande stima e il maggior riconoscimento per il lavoro svolto. Un ultimo ringraziamento a mia moglie Lucia, per i suoi sempre saggi consigli, ed a mia figlia Maria Giovanna, per aver emotivamente partecipato alla preparazione di questo libro.

 

 

 

 Prefazione di Nicole Janigro:

 

 

 

A 70 anni dalla morte di Freud il concetto di trauma, filo rosso della storia della psicoanalisi, ritorna al centro del dibattito in un’accezione che estende il suo campo semantico ma, insieme, amplifica le possibilità per il soggetto di fare esperienze individuali e collettive di cura. La teoria psicoanalitica riparte dal “modello traumatico” di Janet mentre la pratica psicoanalitica si confronta con le forme attuali dei man made disasters - un paesaggio che alterna modernità e barbarie. La percezione di vulnerabilità dell’uomo contemporaneo, tecnologicamente potente nella costruzione di protezioni e protesi che differiscano il suo impatto con il mondo, diventa estrema nell’esposizione alla “normale infelicità umana” e  ritrova la visione dei maestri, Freud e Jung: è la realtà l’evento traumatico.

L’avvenire della psicoanalisi rimane legato alle sue capacità ermeneutiche di accrescere ed elaborare il confronto con il negativo (secondo recenti ricerche nelle interazioni tra madre/neonato solo il 40%  ha una valenza positiva), sfidare gli effetti che produce sul singolo l’incontro con la distruttività umana - l’appartenere  a una specie implicata in storie di male nell’espressione densa di Paul Ricoeur.

Tra le due pulsioni, Eros e Thanatos, può così prevalere la ricerca dell’incontro con l’altro: è la situazione relazionale il sito in grado di creare e ricreare l’umano, a permettere di trasformare il “corpo estraneo” in un luogo di dolore (come scrive Masud Khan in Lo spazio privato del sé). Il trauma non può essere condiviso, a subirlo si è da soli, ma se muta in sofferenza, il dolore che sprigiona può essere detto – e condiviso.   

La storia del trauma accumula significati, interseca le vicende della Grande Storia, viaggia tra l’Europa e gli Stati Uniti, da ferita che segna e impregna – il piercing che marca il corpo – a lacerazione generativa di nuovi significati per l’esistenza: da una reazione negativa (PTSD), o neutrale (Resilience), a una positiva Adversity Activated Development (AAD) . La ricerca di un modello clinico si è storicamente appoggiata sul lavoro del lutto, ha considerato cruciale l’esperienza dell’abuso, oggi riflette sulle affinità e differenze tra violenza domestica e violenza bellica. L’analogia della situazione sta nel potere che il carnefice possiede sulla vittima, nel bisogno di empatizzare con il cattivo – il genitore, il torturatore. In entrambi i casi il terapeuta attraversa zone di ambiguità e di corresponsabilità – sempre il nemico è un altro umano.

 

I contribuiti qui proposti non temono di meticciarsi con linguaggi altri, di spostarsi dal piano clinico a quello antropologico, etologico, biologico. Il materiale copioso, stratificato e meditato, è già un passo avanti nel processo di continuo aggiornamento che permette di unire in una cornice di senso le visioni del mondo interno con il mondo esterno, creare capacità  e possibilità di simbolizzazione. Gli autori sono psicoanalisti, ma anche operatori sul campo, critici letterari e scrittori: testimoni, da un punto di vista diverso, di ciò che può essere osservato dentro e fuori la stanza d’analisi. E se “ogni uomo è un popolo”, la pratica clinica si autorizza a passare dal piano del singolo a quello collettivo per affrontare, anche a partire dalle autobiografie del terapeuta e della storia della sua esperienza, case study che rappresentano la progressione storica delle forme di annientamento e di sterminio del vecchio Novecento e del nuovo secolo: Armenia, Shoah. Bosnia, Israele, Argentina, Mediterraneo. Proprio dalle riflessioni emerse durante il convegno internazionale “Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria”, promosso dalla rivista Frenis Zero a Lecce nell’aprile 2008, ha preso l’avvio questa raccolta di testi. Infatti, il Mare Nostrum - “culla della civiltà” o bacino vergognoso? – emblematicamente racchiude la disperazione del mondo dei diseredati (e le patologie del “processo di denarcisizzazione”) e quella del mondo degli eccessi narcisistici decadenti con le sue patologie da ansia di vivere.

E’ il sentimento della vergogna che caratterizza il nuovo tipo umano: la vergogna che il carnefice non può provare, che misura l’allarme sociale, dà il segnale, si trasforma in sintomo. La vergogna che protegge e pietrifica: un concetto guida per affrontare il confine, la differenziazione tra il privato e il pubblico nella consueta intimità/estraneità dell’incontro terapeutico.

Il confine appare un altro concetto nevralgico: confini naturali, cortine di ferro, barriere inedite che vorrebbero dividere l’umanità globalizzata, creolizzata: check point reali e metaforici. Dopo tragiche violenze collettive diventa essenziale riuscire a ricreare una distanza, separare i morti dai vivi, trovare un nuovo posto agli oggetti, rievocare chi era vivo nei gesti delle sue mani. Ma il rapporto con il confine dice anche le nostre modalità di attaccamento ai luoghi, l’esistenza di una frontiera rende evidente la loro importanza affettiva, denota la necessità di localizzare – nella nostra mente-mondo. Perché, come il morto che si è potuto seppellire, il “localizzato” può essere visitato, ricordato, dunque rimosso, elaborato,… dimenticato.

Mentre è continua la mutazione antropologica e sono incredibilmente accresciute le nostre conoscenze sul funzionamento di mente-cervello, si è ormai affermata l’idea della non unitarietà della psiche. Per comprendere gli effetti che crea l’evento traumatico appaiono ancora produttive le intuizioni (sviluppate nel 1933 in Confusione delle lingue tra gli adulti e il bambino) di Ferenczi  sulla dissociazione:  “questa sconnessione della percezione che rende la persona del tutto indifesa”. “Menti scisse” producono  “lealtà scisse”: rompere il silenzio, violare il segreto significa trasgredire all’ordine instaurato, ritrovare la possibilità di rappresentazione e di parola. L’importante esperienza di lavoro clinico con la terza generazione erede del nazismo conferma il bisogno di tempi di elaborazione storicamente lunghi – induce al confronto con le politiche dell’emergenza che richiedono la risoluzione del trauma in tempo reale.

Il punto di vista transgenerazionale racconta gli spostamenti della colpa, rende palese la ricerca dell’analista nemico con il quale ripetere il conflitto ebreo-tedesco, dell’analista confessore che assolve mentre si fa sempre più complesso l’intreccio tra la Grande Storia e la nevrosi familiare. La coppia analitica che osa entrare in contatto con il “residuo radioattivo” della Shoah rimbalza nella coppia analitica israeliana-palestinese – è quasi un’azione di mediazione culturale quella che oggi terapeuti israeliani e palestinesi cercano collaborando in gruppo. E la bussola è sempre quella: la capacità dell’umano di empatizzare con un proprio simile.

Ricordare diventa così, prima ancora che un compito analitico e individuale, un imperativo collettivo: in molti paesi il giorno della memoria ha assunto uno statuto di rituale laico, una sorta di rito di fondazione della contemporaneità che cerca di sfuggire al suo disagio. Intanto, gradualmente ma progressivamente, il tempo della seduta è scivolato dal passato al presente, il qui e ora della partita segnata dal transfert e dal controtransfert. In questo campo è il ricordo a far da “infiltrato”, l’angoscia che il risvegliarlo produce è imparentata con quella che lo protegge.

La riflessione sulla memoria è plurale: sull’uso pubblico della memoria, cruciale per la storia delle identità nazionali e fondamentale per le vicende del singolo; sulle molteplici valenze di cinema e memoria; sull’acquisizione del concetto di memoria implicita, importante per le modalità, non solo verbali, attraverso le quali può essere richiamato il trauma.

Oggi, per la clinica, non esistono più steccati tra la cura del trauma nel bambino, dell’adulto, nel gruppo. Così come alla talking cure sono affiancate metodiche diverse: l’uso delle arti, del disegno, della scrittura, del diario, dell’Emdr, della Sandplay therapy. Per affrontare la vista della realtà, perché la sofferenza si esprime anche attraverso un disturbo dell’immagine, per riuscire a ricomporre la storia personale fatta di realtà storica, narrativa, fenomenica e psichica. Che nell’unicità dell’incontro con l’Altro ritrova la possibilità di una rigenerazione.

     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

        

 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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