Joseph Lichtenberg
esordisce nella sua conferenza affrontando il tema dell'azione
terapeutica da un punto di vista storico, in particolare ponendo
le due questioni a) di quali siano le linee-guida che aiutano gli
analisti a intraprendere delle scelte efficaci e b) di cosa
spieghi l'efficacia terapeutica, il meccanismo d'azione degli
approcci efficaci. Queste due domande sono state poste in modo
persistente sin dagli esordi della psicoanalisi, sin dall'ascolto
di Anna O. da parte di Breuer. Freud si è sempre sforzato di
affrancarsi dal sospetto dei critici della psicoanalisi che
l'agente terapeutico fosse l'influenza "ipnotica" del terapeuta:
<<i modelli teorici di Freud, dapprima topografici e in seguito
strutturali>> dice Lichtenberg <<hanno eliminato il marchio
d'infamia dell'influenza, ma c'è stato un prezzo da pagare>>.
Le metafore utilizzate dagli analisti per spiegare l'azione
terapeutica sono state, di volta in volta, varie: da quella del
<<chirurgo che utilizza una tecnica sterile garantita dalla
neutralità, dall'astinenza e dall'anonimato>>, a quella
dell'archeologo <<che preserva accuratamente la sacralità del sito
degli scavi e dell'esplorazione>>, ed infine quella dell'analista
come schermo bianco <<sul quale il paziente poteva proiettare
immagini veridiche di figure significative passate>>. Una
psicologia "a una persona" caratterizzava, secondo Lichtenberg, la
teoria analitica: una persona forniva le libere associazioni e
veniva aiutata a risolvere le difese e le resistenze. Aggiunge poi
Lichtenberg che <<se gli analisti si trovavano a non essere in
grado di mantenere la loro posizione tecnica, il processo della
psicologia "a una persona" era quello inverso e il controtransfert
dell'analista diventava il soggetto della loro analisi>>. Il
meccanismo dell'azione terapeutica veniva individuato
nell'introspezione, ottenibile attraverso due vie: la prima
consisteva nell'eliminare le difese attraverso l'interpretazione
delle fantasie che emergevano attraverso le associazioni libere;
la seconda si realizzava quando, una volta che le pulsioni
sessuali ed aggressive infantili inconsce rimosse e le fantasie ad
esse correlate erano state rese consce, si riorganizzavano le
rappresentazioni simboliche del sé e dell'altro, dovendo l'Io
subentrare laddove prima c'era l'Es. Anche gli sviluppi
post-freudiani, rappresentati dalla psicologia dell'Io (Zatzal,
Greenson), dalla teoria kleiniana, da Ferenczi e da Sullivan
vengono ricondotti da Lichtenberg a questa modalità "a una
persona" di concepire l'azione terapeutica.
Un periodo di transizione,
compreso tra il 1970 ed il 1985, viene quindi ad essere
caratterizzato dall'introduzione da parte di Kohut della
psicologia del Sé e dell'analista come ascoltatore empatico, ma
anche dall'introduzione ad opera di Mitchell e Greenberg del punto
di vista relazionale e dell'analista come co-creatore del
transfert, e ancora da quella ad opera di Racker della concezione
dell'analista come utilizzatore di controtransfert, dall'enfasi da
parte di Reik del concetto di "ascolto con il terzo orecchio", ed
infine della concezione di Bion dell'analista come contenitore e
facilitatore di 'reverie'. Ancora, sono collocabili in questo
periodo di transizione, le critiche da parte di Gill, di Rapaport
e di George Klein dell'ipotesi strutturale e del concetto di
energie psichiche, nonché i contributi rilevanti dell'"infant
research" ad opera di Bowlby, Stern, Sander, Spitz, Winnicott e
Trevarthen.
Nella psicologia del Sé
l'analista viene concepito <<come persona che partecipa in
immersione empatica, comprende e spiega, e attraverso il suo
funzionamento normativo, diventa un oggetto del sé che completa il
bisogno di struttura del sé del paziente, dove vi siano dei
deficit>> afferma Lichtenberg. Inoltre, la teoria dei sistemi
motivazionali che Lachmann, Fosshage e Lichtenberg hanno proposto
ha finito per essere inclusa in questa psicologia "a una persona",
in cui la "leva" terapeutica è stata concepita come il risultato
della trasformazione del livello esplicito del funzionamento
mentale attraverso l'interpretazione e la maggiore consapevolezza
degli stati motivazionali fluttuanti,delle loro origini e del
contesto in cui essi emergevano come dominanti. Ma, avverte
Lichtenberg, l'attuale concezione dei sistemi motivazionali, da
lui stesso introdotta, prevede un punto di vista teorico
radicalmente differente da quello di una psicologia "a una
persona": <<la nostra attuale espansione della teoria dei sistemi
motivazionali (...)>> specifica Lichtenberg <<ci sposta verso una
prospettiva intersoggettiva (Stolorow) di influenza bidirezionale>>.
In più, attualmente si è sempre più diffusa la convinzione che
l'efficacia dei trattamenti dipenda da cambiamenti sia a livello
esplicito che implicito, e che in ogni scambio diadico dotato di
caratteri di intimità molto di ciò che viene elaborato avvenga al
di fuori della consapevolezza.
Lichtenberg passa quindi ad
affrontare gli 'spostamenti' contemporanei, iniziando a prendere
in esame l'evoluzione del concetto di empatia. Secondo lui, tre
sono stati i punti di vista contrastanti a partire dalla
originaria formulazione di Kohut. Intanto, l'empatia per alcuni
analisti ha rappresentato <<un ritorno non scientifico alle
influenze mistiche>>. Tuttavia, questo punto di vista è stato
ampiamente scartato in quanto molti analisti hanno trovato che
l'ascolto empatico non contraddicesse i fondamenti
psicoanalitici della propria attività, per quanto gli approcci
analitici di partenza potessero essere notevolmente variegati. Una
conferma della "scientificità" della centralità dell'empatia nel
processo terapeutico è venuta dalla scoperta dei 'neuroni-specchio'.Così,
si è addivenuti alla consapevolezza che <<le informazioni inconsce
a livello implicito fluiscono e vengono corrisposte in entrambe le
direzioni>> afferma Lichtenberg <<sono, cioé, bidirezionali. Il
paziente è esposto agli stessi comportamenti ed espressioni non
verbali e risposte viscerali che emana il terapeuta>>. Secondo
Lichtenberg, però, c'è qualcosa che in tutte le descrizioni
dell'empatia generalmente si omette. Intuire da parte
dell'analista uno stato d'animo nell'analizzando significa trarre
inferenze riguardo alle sue intenzioni, ai suoi obiettivi, ai suoi
modelli di pensiero e relazionali, e riguardo ai caratteri
rappresentati dalla narrazione. L'analista, quindi, col ritorno
dell'attenzione a sé, inferiscono qualcosa anche su ciò che
attiene i propri sentimenti e le proprie risposte. Non si tratta,
per Lichtenberg, di un qualcosa che scelgono di fare solo gli
analisti più attenti all'empatia: è un qualcosa di più ampiamente
inerente al processo terapeutico stesso, anzi, in modo ancora più
generale, alla dotazione che l'evoluzione ha dato all'uomo quale
essere che è alla continua ricerca di significati. Talora le
intuizioni e le inferenze sono talmente rapide che avvengono al di
fuori della consapevolezza, quindi ad un livello implicito tanto
per l'analizzando quanto per l'analista. Altre volte le inferenze
si formano in maniera più intenzionale e consapevole. In tutti i
casi, per l'analista, nel trarre un'inferenza, risulta
fondamentale avere un modello che "spieghi" gli affetti, le
intenzioni e gli obiettivi del paziente. Inoltre, la conoscenza
esplicita che lui ha del passato del paziente e le proprie
esperienze che lui stesso ha maturato da analisi precedenti devono
fondersi insieme per formare qualsiasi inferenza specifica.
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