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Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

Edizioni "Frenis Zero"

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  "VECCHIE E NUOVE SPIEGAZIONI DELL'AZIONE TERAPEUTICA"

 

 

  Incontro con Joseph D. Lichtenberg

     Foto: Joseph D. Lichtenberg

 

 

 

Questo testo è il resoconto scritto da Giuseppe Leo della conferenza tenuta a Milano il 6 febbraio 2010, in occasione del II Congresso Nazionale dell'ISIPSE' (Istituto e Scuola di Psicologia del Sé e Psicoanalisi Relazionale), dallo psicoanalista statunitense.

Joseph D. Lichtenberg è medico psichiatra e psicoanalista. E' membro dell'"International Council for Psychoanalytic SelfPsychology", membro e didatta del "Whashington Institute for Contemporary Psychoanalysis and Psychotherapy", membro dell' "International Psychoanalytic Association" (I.P.A.), nonché membro dell' IAPSP e dell'IARPP.

 


 Abstract:

Il lavoro ha come obiettivo quello di esporre come la pratica clinica si può integrare con la teoria dei sistemi motivazionali. Vengono prese in considerazione modalità di intervento terapeutico caratteristiche della psicoanalisi classica, in particolare la teoria del transfert, e confrontate con i processi di cambiamento promossi dall’esperienza d’oggetto-Sé.

 

 Joseph Lichtenberg esordisce nella sua conferenza affrontando il tema dell'azione terapeutica da un punto di vista storico, in particolare ponendo le due questioni a) di quali siano le linee-guida che aiutano gli analisti a intraprendere delle scelte efficaci e b) di cosa spieghi l'efficacia terapeutica, il meccanismo d'azione degli approcci efficaci. Queste due domande sono state poste in modo persistente sin dagli esordi della psicoanalisi, sin dall'ascolto di Anna O. da parte di Breuer. Freud si è sempre sforzato di affrancarsi dal sospetto dei critici della psicoanalisi che l'agente terapeutico fosse l'influenza "ipnotica" del terapeuta: <<i modelli teorici di Freud, dapprima topografici e in seguito strutturali>> dice Lichtenberg <<hanno eliminato il marchio d'infamia dell'influenza, ma c'è stato un prezzo da pagare>>. Le metafore utilizzate dagli analisti per spiegare l'azione terapeutica sono state, di volta in volta, varie: da quella del <<chirurgo che utilizza una tecnica sterile garantita dalla neutralità, dall'astinenza e dall'anonimato>>, a quella dell'archeologo <<che preserva accuratamente la sacralità del sito degli scavi e dell'esplorazione>>, ed infine quella dell'analista come schermo bianco <<sul quale il paziente poteva proiettare immagini veridiche di figure significative passate>>. Una psicologia "a una persona" caratterizzava, secondo Lichtenberg, la teoria analitica: una persona forniva le libere associazioni e veniva aiutata a risolvere le difese e le resistenze. Aggiunge poi Lichtenberg che <<se gli analisti si trovavano a non essere in grado di mantenere la loro posizione tecnica, il processo della psicologia "a una persona" era quello inverso e il controtransfert dell'analista diventava il soggetto della loro analisi>>. Il meccanismo dell'azione terapeutica veniva individuato nell'introspezione, ottenibile attraverso due vie: la prima consisteva nell'eliminare le difese attraverso l'interpretazione delle fantasie che emergevano attraverso le associazioni libere; la seconda si realizzava quando, una volta che le pulsioni sessuali ed aggressive infantili inconsce rimosse e le fantasie ad esse correlate erano state rese consce, si riorganizzavano le rappresentazioni simboliche del sé e dell'altro, dovendo l'Io subentrare laddove prima c'era l'Es. Anche gli sviluppi post-freudiani, rappresentati dalla psicologia dell'Io (Zatzal, Greenson), dalla teoria kleiniana, da Ferenczi e da Sullivan vengono ricondotti da Lichtenberg a questa modalità "a una persona" di concepire l'azione terapeutica.

Un periodo di transizione, compreso tra il 1970 ed il 1985, viene quindi ad essere caratterizzato dall'introduzione da parte di Kohut della psicologia del Sé e dell'analista come ascoltatore empatico, ma anche dall'introduzione ad opera di Mitchell e Greenberg del punto di vista relazionale e dell'analista come co-creatore del transfert, e ancora da quella ad opera di Racker della concezione dell'analista come utilizzatore di controtransfert, dall'enfasi da parte di Reik del concetto di "ascolto con il terzo orecchio", ed infine della concezione di Bion dell'analista come contenitore e facilitatore di 'reverie'. Ancora, sono collocabili in questo periodo di transizione, le critiche da parte di Gill, di Rapaport e di George Klein dell'ipotesi strutturale e del concetto di energie psichiche, nonché i contributi rilevanti dell'"infant research" ad opera di Bowlby, Stern, Sander, Spitz, Winnicott e Trevarthen.

Nella psicologia del Sé l'analista viene concepito <<come persona che partecipa in immersione empatica, comprende e spiega, e attraverso il suo funzionamento normativo, diventa un oggetto del sé che completa il bisogno di struttura del sé del paziente, dove vi siano dei deficit>> afferma Lichtenberg. Inoltre, la teoria dei sistemi motivazionali che Lachmann, Fosshage e Lichtenberg hanno proposto ha finito per essere inclusa in questa psicologia "a una persona", in cui la "leva" terapeutica è stata concepita come il risultato della trasformazione del livello esplicito del funzionamento mentale attraverso l'interpretazione e la maggiore consapevolezza degli stati motivazionali fluttuanti,delle loro origini e del contesto in cui essi emergevano come dominanti. Ma, avverte Lichtenberg, l'attuale concezione dei sistemi motivazionali, da lui stesso introdotta, prevede un punto di vista teorico radicalmente differente da quello di una psicologia "a una persona": <<la nostra attuale espansione della teoria dei sistemi motivazionali (...)>> specifica Lichtenberg <<ci sposta verso una prospettiva intersoggettiva (Stolorow) di influenza bidirezionale>>. In più, attualmente si è sempre più diffusa la convinzione che l'efficacia dei trattamenti dipenda da cambiamenti sia a livello esplicito che implicito, e che in ogni scambio diadico dotato di caratteri di intimità molto di ciò che viene elaborato avvenga al di fuori della consapevolezza.

Lichtenberg passa quindi ad affrontare gli 'spostamenti' contemporanei, iniziando a prendere in esame l'evoluzione del concetto di empatia. Secondo lui, tre sono stati i punti di vista contrastanti a partire dalla originaria formulazione di Kohut. Intanto, l'empatia per alcuni analisti ha rappresentato <<un ritorno non scientifico alle influenze mistiche>>. Tuttavia, questo punto di vista è stato ampiamente scartato in quanto molti analisti hanno trovato che l'ascolto empatico non contraddicesse  i fondamenti psicoanalitici della propria attività, per quanto gli approcci analitici di partenza potessero essere notevolmente variegati. Una conferma della "scientificità" della centralità dell'empatia nel processo terapeutico è venuta dalla scoperta dei 'neuroni-specchio'.Così, si è addivenuti alla consapevolezza che <<le informazioni inconsce a livello implicito fluiscono e vengono corrisposte in entrambe le direzioni>> afferma Lichtenberg <<sono, cioé, bidirezionali. Il paziente è esposto agli stessi comportamenti ed espressioni non verbali e risposte viscerali che emana il terapeuta>>. Secondo Lichtenberg, però, c'è qualcosa che in tutte le descrizioni dell'empatia generalmente si omette. Intuire da parte dell'analista uno stato d'animo nell'analizzando significa trarre inferenze riguardo alle sue intenzioni, ai suoi obiettivi, ai suoi modelli di pensiero e relazionali, e riguardo ai caratteri rappresentati dalla narrazione. L'analista, quindi, col ritorno dell'attenzione a sé, inferiscono qualcosa anche su ciò che attiene i propri sentimenti e le proprie risposte. Non si tratta, per Lichtenberg, di un qualcosa che scelgono di fare solo gli analisti più attenti all'empatia: è un qualcosa di più ampiamente inerente al processo terapeutico stesso, anzi, in modo ancora più generale, alla dotazione che l'evoluzione ha dato all'uomo quale essere che è alla continua ricerca di significati. Talora le intuizioni e le inferenze sono talmente rapide che avvengono al di fuori della consapevolezza, quindi ad un livello implicito tanto per l'analizzando quanto per l'analista. Altre volte le inferenze si formano in maniera più intenzionale e consapevole. In tutti i casi, per l'analista, nel trarre un'inferenza, risulta fondamentale avere un modello che "spieghi" gli affetti, le intenzioni e gli obiettivi del paziente. Inoltre, la conoscenza esplicita che lui ha del passato del paziente e le proprie esperienze che lui stesso ha maturato da analisi precedenti devono fondersi insieme per formare qualsiasi inferenza specifica.

 

 

        

 

 

 

 

 

 (fine della prima parte - continua - to be continued)
 

 

 

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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